Corriere della Sera, 12 dicembre 2015
Il computer che impara come l’uomo
Un algoritmo ha spiazzato i giudici e molti non capivano se i simboli che avevano davanti agli occhi erano frutto di una macchina o di un uomo. Così il test di Turing ha decretato una nuova espressione di intelligenza artificiale conquistata da un gruppo di ricercatori americani e raccontata sulla rivista Science. Il matematico britannico Alan Turing dopo aver decifrato i messaggi criptati dai nazisti con la macchina Enigma, aiutando in maniera decisiva la vittoria degli alleati, nel 1950 aveva ideato una prova per misurare la capacità di manifestazioni intelligenti delle macchine. L’illustre scienziato suicida, celebrato anche nel recente film T he Imitation Game, è stato uno dei padri dell’intelligenza artificiale, a cui si applicava studiando il cervello umano.
Il test metteva a confronto i risultati prodotti in maniera anonima da una macchina e da una persona. Se la differenza non si coglieva, questo indicava la raggiunta capacità della stessa macchina. Ed è quello che è accaduto alla New York University grazie ad un algoritmo, cioè un procedimento matematico, che caricato su un computer ha permesso all’elaboratore di riconoscere e riprodurre una serie di caratteri disegnati da una persona. Ma non solo. Si è andati oltre generandone di nuovi perfettamente omogenei a quelli indicati.
Finora – spiega Ruslan Salakhutdinov, docente di Computer Science all’Università di Toronto e uno degli autori dell’algoritmo – per far imparare dieci caratteri con significati precisi ad una macchina bisognava sottoporre, per ciascuno, seimila esempi per un totale di 60 mila esempi, tutti necessari perché attraverso un processo di affinamento il computer arrivasse ad un risultato accettabile. Ora basta soltanto qualche esempio e la macchina ne coglie subito il contenuto e lo riproduce. I ricercatori hanno sottoposto alla macchina 1.600 tipi di caratteri scritti a mano in 50 sistemi di scrittura diversi, compreso il sanscrito e il tibetano. Quindi li hanno sottoposti ad una commissione di esperti chiedendo di distinguere fra quelli umani e quelli artificiali. E i giudici sono rimasti spiazzati non cogliendo differenze. La macchina con il suo nuovo programma di apprendimento contenente l’algoritmo e battezzato «Bayesian Program Learning», aveva vinto.
La corsa verso l’intelligenza artificiale sta accelerando negli ultimi anni e sia in Europa che negli Stati Uniti sono in corso due grandi programmi di ricerca per capire il funzionamento del cervello umano, curarne eventuali anomalie, ma cercando anche di costruirne uno artificiale. Per il momento i supercomputer disponibili in grado di macinare miliardi e miliardi di operazioni al secondo (il più potente al mondo è il cinese Tianhe-2 con 33,8 petaflop al secondo, cioè quadrilioni di calcoli al secondo) lavorano con dei codici finalizzati ai compiti che devono risolvere. Dimostrano, quindi, delle capacità intelligenti mirate in modo specifico: disegnare una barca, un aeroplano o la molecola di un farmaco. Nello stesso modo funzionava il supercomputer Deep Blue che sbaragliò il campione di scacchi Garry Kasparov. Il nuovo algoritmo, invece, amplia in modo significativo le capacità di apprendimento della macchina anche se bisognerà aspettare prima di vederlo utilizzato nella nostra quotidianità.