Corriere della Sera, 12 dicembre 2015
La Merkel è preoccupata di dover pagare il conto italiano
Giorni fa a Bruxelles Wolfgang Schäuble ha suggerito qualcosa che non era nei patti: rinviare il salvataggio europeo delle banche greche al mese prossimo. Sembra un dettaglio del calendario, ma produrrebbe un terremoto. Con le regole in vigore con il 2016, questa proposta porterebbe al taglio dei conti e degli investimenti bancari di decine di migliaia di greci, quindi anche alla prospettiva che al ministro delle Finanze di Berlino interessa di più: un aiuto europeo più leggero alle banche di un altro Paese.
Non succederà (probabilmente). Eppure l’ultimo piccolo strappo tedesco lascia intravedere la tela di fondo: l’Italia sta cercando di negoziare una soluzione per le sue banche entro un sistema dell’euro percorso da attriti crescenti; negli ultimi mesi il peso di questa tensione si sta scaricando sempre di più sui fragili equilibri fra gli istituti di credito e i governi, in vista di quella che dovrebbe diventare – chissà quando – una vera e propria «Unione bancaria».
In particolare una proposta della Commissione europea ha mandato Schäuble su tutte le furie, e adesso lo induce a tenere alta la guardia verso l’Italia. È un progetto che la Germania non voleva sul tavolo proprio adesso: una garanzia comune dell’area euro su tutti i conti correnti fino a 100 mila euro. Sarebbe la pietra di volta per costruire l’unione bancaria e far capire a 300 milioni di cittadini che l’euro è utile, ed è qui per restare. Le file davanti agli sportelli in Grecia l’estate scorsa hanno dimostrato che non se ne può fare a meno: i risparmiatori e i correntisti rischiano di non credere alle garanzie sui loro conti offerte dai governi più indebitati, se questi sbandano. Serve una tutela europea, come promessa che non tornerà più un panico agli sportelli come quello visto ad Atene cinque mesi fa.
Di qui la proposta di una garanzia comune dell’area euro, prevista nei piani dell’Unione bancaria. Di qui però anche la frenata di Berlino. Schäuble e l’intera opinione pubblica in Germania non intendono rischiare di dover pagare per stabilizzare le banche di altri Paesi. Non, almeno, fino a quando le banche e il debito pubblico tutta l’Europa del Sud – soprattutto in Italia – non sembreranno ai tedeschi davvero in sicurezza. E per adesso non è così.
Visto dall’Italia, può apparire un amaro paradosso. Il debito pubblico italiano viaggia oggi su livelli di 59,8 miliardi di euro (il 3,7% del Pil) più di quanto doveva a causa del contributo del governo di Roma ai salvataggi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Irlanda fra il 2010 e il 2012. Nel frattempo, proprio grazie a quegli interventi, le banche tedesche sono uscite miracolosamente illese da investimenti a rischio per un totale di 334 miliardi nei quattro Paesi in crisi. Fin qui il contribuente italiano ha pagato per salvare gli istituti tedeschi. Non il contrario.
Vista dalla Germania, la prospettiva è diversa. Né a Berlino, né a Francoforte nessuno crede più che l’Italia cerchi più di ridurre il suo enorme debito pubblico. Le continue richieste di «flessibilità» a Bruxelles sul bilancio pubblico – inclusa l’ultima misura «anti-terrorismo», il bonus da 500 euro per mandare i 18enni a teatro – hanno convinto tutti in Europa che il governo di Matteo Renzi non farà alcun tentativo di risanare il debito.
Il governo italiano la vede in modo diverso: prevede un calo del debito già dal prossimo anno. Ma per il modo in cui vengono viste le banche italiane, lo scetticismo a Berlino e a Bruxelles sulla finanza pubblica di Roma conta molto. Nel bilancio degli istituti di credito italiani si trovano titoli del Tesoro per 403,6 miliardi di euro (in ottobre); qualunque incrinatura della fiducia dei mercati verso il governo potrebbe innescare una crisi bancaria nel Paese. È per questo che Schäuble non intende esporsi offrendo garanzie dirette o indirette sui conti correnti italiani. Gli elettori tedeschi non lo perdonerebbero. È per questo, anche, che il ministro delle Finanze di Berlino sta mettendo pressione sull’intero sistema istituzionale di Bruxelles per affrontare la questione italiana. Dalla Commissione Ue, la Germania pretende una strettissima applicazione delle regole che impongono a azionisti, obbligazionisti e (da gennaio) ai correntisti di pagare in caso di salvataggi pubblici. Secondo Schäuble più perdono soldi queste categorie, meno onerosi dovranno essere gli interventi oggi nazionali e domani magari del resto d’Europa. Di qui l’intransigenza di Bruxelles sui casi Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti. Di qui, soprattutto, l’inflessibilità della Commissione su tutte le proposte del governo italiano per liberare le banche dai loro 200 miliardi di crediti in default. Verso Roma c’è sfiducia e la sfiducia semina paralisi. Per i tedeschi, che in passato non l’hanno applicato a se stessi, non bisogna transigere dal principio che gli interventi pubblici si riducono colpendo i creditori privati. In caso contrario, Berlino teme di dover pagare di più per l’Italia o altri Paesi in futuro.
È qui che ogni negoziato sulle banche italiane a Bruxelles, immancabilmente, si blocca. Per gli stessi timori Schäuble, avanza anche un’altra proposta: spingere gli istituti a diversificare gli investimenti, liberandosi della loro enorme esposizione sul debito pubblico italiano. Il governo dovrebbe trovarsi altri finanziatori. Ammesso (non concesso) che sia un bene, e che Schäuble vinca questa partita, per il modello-Italia sarebbe un cambiamento radicale.