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 2015  dicembre 11 Venerdì calendario

Rinvio dopo rinvio il processo su Vatileaks si è già fermato

Solo in rarissimi casi i giudici di un tribunale italiano hanno rinviato l’udienza “a data da destinarsi”. E la giustizia italiana non è certo da prendere come esempio per la velocità dei procedimenti. In Vaticano alla terza udienza del processo su VatiLeaks 2 per l’utilizzo di documenti riservati, dopo che la Corte ha ammesso dodici testimoni proposti dalle difese, tutto inizia a bloccarsi e a complicarsi. E i tempi si allungano. Il dibattimento si ferma fino a quando il tribunale della Città del Vaticano non deciderà quando tornare in aula. Intanto il processo è in stand-by. E questa pausa si potrebbe allungare fino all’inizio del prossimo anno. O riprendere quando le acque, agitate mediaticamente attorno a questo processo che vede imputate cinque persone, fra cui due giornalisti, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, si saranno calmate. È possibile che le titubanze e le contraddizioni dei giudici emerse in queste prime tre udienze possano essere state provocate dall’effetto mediatico, un particolare sottovalutato dalle autorità politiche e giudiziarie dello Stato pontificio. Da quando l’informazione internazionale ha puntato i riflettori su questo processo, togliendolo dall’angolo buio in cui le autorità vaticane volevano spingerlo per sottrarlo alla comunicazione pubblica, quello che doveva essere un procedimento rapido e immediato, da chiudere prima dell’apertura della porta santa, sembra invece aver cambiato rotta e programma, come se le autorità papaline ne avessero perso il controllo. L’informazione sta cercando di rendere trasparente questo dibattimento, che continua ad essere vietato a tutto il pubblico. Tutto ciò conferma la forza della comunicazione, capace di superare ogni barriera nei Paesi occidentali, rendendo più chiaro ogni particolare, ogni evento. A quaranta giorni dall’arresto di monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, spagnolo, 54 anni, già segretario della prefettura degli Affari economici e della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative della Santa Sede (Cosea), istituita dal Papa nel luglio 2013 e successivamente sciolta dopo il compimento del suo mandato, il Vaticano appare sempre in fibrillazione. Vallejo Balda è ancora detenuto in una cella della gendarmeria, dove trascorrerà anche il Natale. Mentre la lobbista italiana Francesca Immacolata Chaouqui, 33 anni, già componente della Cosea, dove era stata assunta proprio su segnalazione di Vallejo Balda, imperversa sugli schermi televisivi e rilascia interviste, anche ai giornali, dove si possono cogliere messaggi o frecciatine. Adesso nel processo lei entra a gamba tesa chiedendo e ottenendo di chiamare a deporre personalità come il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, l’altro porporato Santos Abril y Castelló, arciprete di Santa Maria Maggiore e presidente della Commissione di vigilanza dello Ior, l’elemosiniere pontificio monsignor Konrad Krajewski. Testimoni importanti che hanno portato il promotore di giustizia Gian Pietro Milano e il presidente Dalla Torre ad evidenziare che i testi chiamati a deporre riferiscano solo su fatti specifici attinenti alla causa e non dare generiche valutazioni sulle persone. La difesa della lobbista ha motivato la citazione del cardinale Abril per mostrare che «l’agire della Chaouqui era nell’interesse del Santo Padre», quella del cardinale Parolin «perché può riferire sui rapporti lavorativi intercorrenti tra Vallejo e Chaouqui». Già subito dopo la notizia dell’accoglimento da parte della Corte di questa testimonianza, dal Vaticano è stato fatto filtrare che il segretario di Stato non ha mai avuto contatti con la Chaouqui, facendo notare, tra l’altro, che la Commissione Cosea è stata costituita nel luglio 2013 mentre lui era ancora nunzio in Venezuela, e al suo arrivo in Vaticano l’alto prelato si è piuttosto adoperato perché venisse sciolta, com’è avvenuto nel maggio 2014.
La deposizione di Krajewski è stata motivata dalla difesa della lobbista perché «questa donna è stata dipinta come un “mostro” e invece lui può descrivere la reale persona, dedita a tante opere di bene e di carità».
La Corte ha pure accolto la richiesta, sempre della Chaouqui, di effettuare una perizia informatica sulle conversazioni whatsapp, sms e email tra Vallejo e la lobbista, perché secondo la difesa della donna gli atti risulterebbero mancanti di alcuni messaggi. E così sarà fatta una perizia d’ufficio. Solo dopo si fisserà la data della ripresa del dibattimento. C’è da aspettarsi che altre conversazioni private possano saltar fuori. Saranno sentiti anche l’ex direttore del “Corriere della Sera”, Paolo Mieli, e il giornalista Paolo Mondani, richiesti da Nuzzi. Spunta anche, tra i testi citati in aula, il nome di Mario Benotti, ex capo segreteria del Sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi, indagato con la Chaouqui e il marito Corrado Lanino nell’inchiesta della procura di Terni ora confluita a Roma, la cui deposizione nel processo vaticano è stata chiesta dalla difesa di monsignor Lucio Vallejo Balda.
La Corte presieduta da Giuseppe Dalla Torre, tra le altre cose, ha respinto le due eccezioni difensive della Chaouqui: quella che contestava la competenza giurisdizionale del Tribunale vaticano, essendo i presunti reati commessi in territorio italiano. Per la difesa, in Italia sono avvenuti sia l’accesso ai documenti tramite password elettronica sia, secondo l’atto d’accusa, il passaggio di carte “brevi manu”.
Personalità di rilievo siederanno dunque davanti ai giudici per rispondere alle domande di accusa e difesa ed entrare così, ancor di più, nei segreti del Vaticano, svelando retroscena e intrecci lobbistici. In tutto questo monsignor Vallejo non domanda di essere scarcerato, sorride agli altri imputati e sostiene di non stare bene, tanto da aver chiesto alla Corte una “perizia psicologica”, finalizzata a verificare il suo stato di labilità e di influenzabilità. I giudici l’hanno respinta, in quanto “non ammissibile” perché questo esame non è previsto dall’ordinamento. Ha ammesso invece l’acquisizione agli atti di una perizia psichiatrica a cui si era sottoposto lo stesso prelato, il cui referto è attualmente conservato nel suo appartamento. Uno dei nodi principali nell’udienza è stato comunque quello dell’ammissione dei testimoni.
Fittipaldi è stato l’unico a non aver citato testimoni: ha chiesto solo l’acquisizione di tre articoli de “l’Espresso” dell’estate 2014 per dimostrare che le sue inchieste sono precedenti al contestato passaggio di documenti riservati, e quindi la sua estraneità ai fatti.