l’Espresso, 11 dicembre 2015
Ritratto di Albert Rivera, l’uomo nuovo della Spagna
L’uomo nuovo, fin troppo annunciato, della Spagna si chiama Albert Rivera, ha 36 anni, è bello e ha grandi doti di comunicazione. Tanto da essere riuscito nell’impresa di rubare il monopolio del “cambio politico” a Pablo Iglesias, di Podemos, che fino a qualche mese fa sembrava il predestinato a raccogliere i cocci del bipolarismo spagnolo, coi socialisti e i popolari del premier Mariano Rajoy in grave crisi, almeno a giudicare dai sondaggi. Con la stella di Podemos calante, a salire nel firmamento è quella dei “Ciudadanos” di Rivera, movimento che sfida la Casta iberica da posizioni moderate. Albert è diventato il beniamino dei programmi televisivi, gli imprenditori cercano di essere inseriti nella sua agenda. Al ricevimento del 12 ottobre a Palazzo Reale, nel giorno della hispanidad, si è formata la fila per andargli a stringere la mano, una folla non sempre disinteressata: «Ma io so distinguere», dice lui, «mi accorgo subito della sincerità di chi ho davanti, lo capisco da come si avvicinano, da come camminano».
L’ascesa di Ciudadanos è stata impressionate: alle Europee del 2014 il partito arancione si fermò al 3,16 per cento, 15 mesi dopo in Catalogna, nelle elezioni più tese della storia spagnola, i voti si sono moltiplicati per sei: 18 per cento, ovvero primo partito anti indipendenza. Oggi i sondaggi dicono che Ciudadanos contende il secondo posto ai socialisti di Pedro Sánchez, attestandosi intorno al 20 per cento, non lontani dal primo, occupato dai Popolari di Mariano Rajoy, il premier dato per sconfitto per anni, che ha trovato nuova linfa dalla sfida indipendentista catalana e da un’economia non più agonizzante. Quarto posto previsto per Podemos. Nelle rilevazioni sui leader, Rivera è nettamente in testa, oltre la metà degli spagnoli dichiara di apprezzarlo (Rajoy è venti punti sotto). Un dato, poi, fa ben sperare i suoi: gli indecisi (intorno al 40 per cento) sono attratti dal fascino del capo di Ciudadanos e lo indicano come concreta opzione di voto. Una certezza c’è già: nessuno avrà la maggioranza assoluta e il partito di Rivera sarà decisivo per formare il governo, una situazione già vissuta a livello locale, nelle amministrative di marzo e maggio: in Andalusia Ciudadanos ha favorito la socialista Susana Díaz e nella regione di Madrid, appoggio alla popolare Cristina Cifuentes. Stavolta Albert a ogni comizio ribadisce che non appoggerà né Rajoy né Sánchez, perché alla Moncloa andrà lui: «O arriviamo primi o niente governo».
L’aria da predestinato lo accompagna da un po’. Un aneddoto lo rivela: Albert a 25 anni divenne leader di un partitino, Ciutadans (nella lingua di Barcellona) sorto in contrapposizione all’emergere nel nazionalismo catalano di Jordi Pujol. La scelta fu casuale: si decise di affidare il vertice del movimento in base all’ordine alfabetico (per nome). Il caso volle che il giovane avvocato, figlio di un commerciante di elettrodomestici del quartiere umile della Barceloneta, con presunte simpatie di destra (è spuntata una sua lettera di adesione al Pp) fosse un fuoriclasse e non solo nel nuoto (ha vinto due campionati catalani di rana). «Il primo comizio fu impressionante», ricorda Francesc de Carreras, fondatore di Ciutadans, costituzionalista, «c’erano 400 persone, nessuno si aspettava che grazie all’alfabeto fosse salito al potere uno così, eppure era già un leader». La madre, María Jesús, lo aveva capito da tempo: «Mi preoccupava, da bambino chiedeva il giornale e leggeva le pagine di politica».
Con Rivera presidente il partito vive di pochi alti e molti bassi, nel 2009 tocca il fondo alleandosi con l’ultradestra europea. Poi, qualcosa cambia: la Spagna si ribella alla crisi e alla corruzione dei partiti. Il movimento degli indignados segna un’epoca. Se ne avvantaggia da subito Podemos, ma Rivera capisce che con quei temi, la critica alla partitocrazia, non si pesca solo a sinistra.
«Dietro al boom ci sono i poteri forti», dicono i critici. La prova starebbe in una frase del presidente del Banco Sabadell, Josep Oliu, pronunciata in un convegno: «Servirebbe un Podemos di destra». Secondo i cospirazionisti, per salvare i propri interessi, i potenti avrebbero scaricato il Pp, puntando (finanziandolo) sul giovanotto dal volto pulito, un “pijo” (fighetto), che sa parlare alla gente. Juan Carlos Monedero, il fondatore di Podemos in ambigui rapporti con il Venezuela chavista, è andato oltre, descrivendo Rivera come un cocainomane (è stato denunciato e ha chiesto scusa). Sempre elegante, Albert non rientra nelle etichette classiche, si professa repubblicano, ma stima il re Felipe VI, con il quale si è intrattenuto spesso in conversazioni private. È stato sposato per 10 anni con una psicologa di Barcellona, dalla quale ha avuto un figlia di 4 anni, Daniela, con la quale alla fine di ogni comizio parla via Skype. Chi ci lavora lo dipinge come autoritario e secchione. Non è particolarmente colto, in un dibattito ha ammesso di non aver mai letto un libro di Kant (non è l’unico), ma «ha una capacità di apprendimento fuori dal comune», ancora de Carreras, «tutte le informazioni che ottiene dopo dieci minuti le usa per argomentare una tesi».
In tv fa sempre figuroni e nei primi dibattiti elettorali ha saputo difendersi e attaccare, mettendo in crisi soprattutto Pedro Sánchez, con il quale l’affinità è poca. Meno astio sembra esserci con Pablo Iglesias, sebbene la distanza ideologica con Podemos sia incolmabile: «Con loro non potremmo mai stringere un patto». Con Rajoy si sono visti due volte alla Moncloa, ma mai pubblicamente, visto che il premier rifiuta i faccia a faccia elettorali. Davanti alle domande identitarie, “siete di destra o di sinistra?”, Albert si defila. Di fatto, però, Ciudadanos vuole occupare quel centro che in Spagna non ha mai avuto spazi rilevanti. In politica economica l’impostazione è liberista, “giù le tasse” è lo slogan, seguito però da una critica alla precarietà del lavoro. In politica estera l’atlantismo è accentuato: Ciudadanos è l’unico partito che teorizza l’invio di truppe a sostegno degli alleati in Siria. Nel programma elettorale c’è anche la legalizzazione delle droghe leggere, l’abolizione del Senato e la riforma dell’orario di lavoro. Molta della sua fama, certo, viene dalla Catalogna, dove, nel pieno dell’onda indipendentista, ha scelto un’ottima candidata, Inés Arrimadas, bella andalusa di 34 anni, capace di sfidare Artur Mas e di sedurre il resto di Spagna. «Rivera ha difeso l’integrità della Spagna da un punto di vista democratico, non con la solita retorica patriottica, ragiona Francisco J. Vanaclocha, politologo dell’università Carlos III di Madrid, «e questo gli ha giovato in tutto il Paese, facendolo emergere come leader nazionale». Secondo Vanaclocha, Rivera dovrebbe in qualche modo ringraziare Podemos: «Il partito di Iglesias ha fatto da apripista, il suo successo iniziale ha mostrato che il sistema dei partiti poteva essere scalfito. Quella via adesso è percorsa da Ciudadanos”.