Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 11 Venerdì calendario

Che cosa c’entrano il cardinal Bertone e Gianni Rivera con questa storia della Banca Etruria?

L’Italia è rimasta scossa dalla vicenda del pensionato di Civitavecchia che si è suicidato dopo che la sua banca, quella dell’Etruria, gli aveva fatto sparire 110 mila euro di investimenti. Luigi D’Angelo, prima di uccidersi, ha scritto una lettera in cui ha denunciato «lo smacco subito». Poi si è appeso alla ringhiera del terrazzo. Il destino, mai cinico e baro come in questo caso, vuole che proprio nella città laziale qualcun altro, a quello stesso istituto, abbia lasciato un «buffo» da 34 milioni di euro. Un buco che probabilmente ha costretto la banca a rivalersi sui clienti che avevano messo da parte un gruzzoletto anziché chiedere mutui milionari.
La società in questione, la Privilege Yard spa, avrebbe dovuto costruire megayacht ed è fallita a giugno senza averne varato neppure uno. Nonostante godesse di ottima stampa ed efficaci agganci con le banche. Alla fine gli amministratori, molti dei quali vip della politica e delle professioni, che si sono succeduti sulla tolda di comando dell’azienda hanno lasciato debiti per circa 210 milioni. Una voragine che, dopo il fallimento, ha convinto il sostituto procuratore civitavecchiese Lorenzo Del Giudice ad aprire un fascicolo per bancarotta fraudolenta contro un numero di indagati che sta crescendo col tempo. Al momento a Libero risulta che siano poco meno di una decina. A questi signori la Banca dell’Etruria ha elargito decine di milioni di euro di mutui e di fidi. La Privilege fleet management co., la finanziaria del gruppo, dal 2011 in liquidazione, avrebbe dovuto restituirli entro il 31 dicembre del 2014, ma due giorni prima l’istituto decise di prolungare i termini del rientro di 18 mesi per evitare di inserire nel bilancio del 2014 quei soldi come «sofferenza». Apertura di credito inspiegabile visti i procedimenti giudiziari, le richieste di ammissione al concordato preventivo e i tavoli istituzionali di salvataggio che hanno costellato la storia aziendale.
L’indagato principale nonché ideatore del progetto è il settantacinquenne ex ad Mario La Via, mentre il presidente era un generale della Guardia di finanza in pensione, l’ottantenne Giovanni Verdicchio. I consiglieri sino al fallimento sono stati gli avvocati Giulio Simeone e Giorgio Assumma e i due figli venticinquenni di La Via, Maria e Guglielmo. Nel 2007 un comunicato stampa della società informava che dietro alla Privilege c’era la Ultrapolis investment 3000: «È una multinazionale con sede a Singapore, Hong Kong, Stati Uniti e Londra. Il presidente è l’ex segretario dell’Onu Perez de Cuellar, gli azionisti sono Robert Miller, proprietario nel mondo di duty free shops, tra i maggiori azionisti di Louis Vuitton e Cnn, e Mario La Via finanziere internazionale, proprietario di banche private, ideatore creativo e dominus dell’imponente progetto navale». Nel 2004 la Ultrapolis, quartier generale nel paradiso fiscale delle isole Bermuda, aveva presentato un progetto da 900 milioni per un parco giochi da realizzare a Roma. L’ex ministro dc Vincenzo Scotti avrebbe avrebbe dovuto essere il presidente di Ultrapolis Italia, ma del luna park non venne posta neppure la prima pietra. Abortito questo progetto, si puntò sulle barche e nel 2007 Scotti divenne il presidente della Privilege Fleet. Tra i consiglieri anche «Sua altezza reale Pavlos di Grecia» e Gianni Rivera, ex sottosegretario alla Difesa in tre governi di centro-sinistra, dal 2011 liquidatore della società. Nel cda di Privilege yard si sono avvicendati Mauro Masi, all’epoca capo di gabinetto del vicepremier Massimo D’Alema, e altri professionisti del livello di Tommaso Di Tanno, Alessandro Perrone e Serafino Gatti. Tra gli sponsor di Ultrapolis e Privilege c’era anche l’imprenditore e manager pubblico Gian Carlo Elia Valori: «È l’uomo che ha caldeggiato la scelta di Civitavecchia presso i nostri committenti» ha detto La Via.
Nel 2007 dilagò il tormentone del panfilo ordinato a Civitavecchia dalla coppia hollywoodiana Brad Pitt-Angelina Jolie. Ovviamente era una panzana. Da allora nessuno degli altri presunti armatori dei nove lussuosissimi yacht previsti dal business plan è uscito allo scoperto e la procura ci dirà se siano mai esistiti. Certo qualcuno avrebbe potuto accorgersi prima di quello che bolliva nel porto di Civitavecchia come sostiene con Libero Mario Pergolesi, titolare di una delle società che per anni hanno lavorato dentro al cantiere: «Nel 2007 ci fu la prima concessione dell’autorità portuale per 38 mila metri quadrati, ne seguì un’altra nel 2009 e nel 2010 si arrivò a un’area di quasi 11 ettari. Ma non è possibile fare un cantiere di quella importanza e non avere un bacino di carenaggio per riparazioni e manutenzioni? Per me quello era un investimento immobiliare: costruivano capannoni, ma non tiravano mai fuori un prodotto. Era chiaro che qualcosa non quadrava».
Pergolesi racconta quello che ha visto con i propri occhi: «Io avevo 40 persone a bordo, la Pergolesi srl era un’azienda nata per il cantiere: ci facevano montare un pezzo e poi ce lo facevano togliere per far lievitare i prezzi. A un certo punto abbiamo montato i blocchi della nave, abbiamo chiuso lo scafo e poi l’abbiamo tagliato di nuovo per mettere dentro i generatori Quando la Privilege è fallita mi sono molto arrabbiato perché era evidente che quello che stavamo facendo era un giochino. L’ho detto a tutte le autorità, da quelle portuali al sindaco, ma non mi hanno voluto ascoltare. Era evidente che La Via era molto potente, che aveva dietro persone importanti e che noi dovevamo stare muti». Il ricordo che più fa arrabbiare Pergolesi è la grande festa organizzata nel 2012 per il battesimo della chiglia della seconda nave: «Hanno speso moltissimi soldi per brindare a quel pezzo di ferro che è rimasto lì abbandonato». Nello stesso periodo l’azienda pagava alla Pergolesi solo degli acconti e nel dicembre 2013 gli operai sono stati messi in cassa integrazione. Sino al fallimento del giugno scorso. Ora gli inquirenti dovranno dire se quel crac sia stato un semplice incidente di percorso imprenditoriale o non piuttosto un ingegnoso e delinquenziale piano per sottrarre al sistema bancario italiano centinaia di milioni di euro, da occultare all’estero. Se fosse così, i complici potrebbero essere molti e molto in alto.