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 2015  dicembre 11 Venerdì calendario

Come si passa dal Pd a Forza Italia. Il caso di Francantonio Genovese

A chi ancora s’illude che, nel Palazzo, esistano la destra e la sinistra e che stia per arrivare una legge sui conflitti d’interessi, segnaliamo l’avvincente caso di Francantonio Genovese. E non perché abbia appena traslocato dal Pd a Forza Italia passando dalla prigione, come nel Monopoli. Ma per la sua biografia retrostante, che può tranquillamente prescindere dalle accuse che gli muovono i magistrati di Messina che l’hanno messo in galera per un anno e ai domiciliari per 7 mesi, dandogli tuttora l’obbligo di dimora. Nel 2012, ben prima che fosse indagato e poi arrestato, Franca Rame lanciò sul Fatto un appello a Bersani perché non lo ricandidasse alle elezioni del 2013, a causa dei suoi strepitosi conflitti d’interessi. Naturalmente la “Commissione di garanzia” del Pd decise che era candidabilissimo. Figlio del sei volte senatore dc Luigi Genovese, nipote dell’otto volte ministro Nino Gullotti, lui stesso nato nella Dc, poi convertito al Ppi, alla Margherita e al Pd, deputato regionale dal 2001, sindaco di Messina dal 2005, coordinatore regionale del Pd dal 2008, prima veltroniano, poi franceschiniano, poi bersaniano, poi renziano e ora forzista, Genovese è detto “Franzantonio” perché azionista e dirigente della “Caronte”, la società di Pietro Franza per i traghetti dello Stretto.
Non c’era bisogno di attendere il suo arresto per sapere che uno così non avrebbe mai dovuto sedere in Parlamento, né in Comune: i suoi conflitti d’interessi erano noti a tutti, bastava leggere Avanti popolo di Gian Antonio Stella (2006) o Se li conosci li eviti di Peter Gomez e del sottoscritto (2008). Infatti Veltroni gli affidò nel 2007 il neonato Pd in Sicilia e nel 2008 la stesura delle liste elettorali nell’isola. A lui parve brutto escludersi, e si incluse. Lo stesso fece tre anni fa Bersani, fregandosene di una puntata di Report sugli scandali degli enti di formazione siciliani finanziati dalla Regione e controllati dalla sua famiglia. L’apoteosi del clientelismo e del familismo. La società Lumen presieduta dal deputato regionale Franco Rinaldi, cognato di Genovese e marito di Elena Schirò, che lavora alla Lumen. Rinaldi e Genovese soci nella Training Service. L’Nt Soft in mano ai nipoti di Genovese e Rinaldi. L’Esofop guidata dalla cognata di Rinaldi e amministrata da Chiara Schirò, moglie di Genovese. La sede di Enaip e Aram affittata da una società in cui compare Genovese. E così via. Ciò malgrado, anzi per questo, Franzantonio restò in lista: tutti sanno come si procaccia i suoi voti, ma nessuno può farne a meno.
Alle parlamentarie 2012 fu il candidato Pd più votato d’Italia con 19.590 preferenze. Appena rieletto deputato, fu puntualmente indagato (e la moglie arrestata). E nessuno fece una piega. Neppure Renzi, che anzi incassò il suo pacchetto di voti per vincere le primarie e diventare segretario. Già, perché Franz aveva subito colto l’alto significato ideale della rottamazione, che funziona così: se non stai con Renzi, lui ti rottama. Tempo tre mesi e arrivò pure il mandato di cattura per peculato, truffa, riciclaggio e associazione a delinquere (sempre sui corsi di formazione-patacca). Sfortuna volle che la Camera votasse l’autorizzazione a procedere alla vigilia delle elezioni europee: se il Pd l’avesse salvato dalle manette, com’è usanza in questi casi, avrebbe regalato voti ai 5Stelle e vanificato in parte l’effetto degli 80 euro, scordandosi il trionfo del 40,8%. Così lo sacrificò. E lui prese a covare la sua vendetta. Oddio, il Pd se lo sarebbe tenuto stretto (tanto si era comicamente “autosospeso”), ma è stato più lesto Gianfranco Micciché, il ras siciliano di Forza Italia, rivale di Franz da una vita. Ingolosito da quel bell’arrestato sul mercato, è andato a trovarlo ai domiciliari e gli ha fatto un discorsetto: “Il nostro presidente è un pregiudicato reduce dai servizi sociali, il nostro fondatore è in galera per mafia, l’ultimo nostro governatore è dentro per favoreggiamento mafioso, manchi solo tu e completiamo l’album”. La classica offerta che non si può rifiutare (anche perché il Pd aveva appena salvato Azzollini).
Ora molti forzisti siciliani protestano e minacciano di andarsene (nel Pd?). Non perché sia arrivato uno di sinistra (figuriamoci) o un ex galeotto (uno più, uno meno). Ma perché sanno che Genovese non arriva gratis, né da solo. Chi prende lui prende tutto il blocco, famigliare e clientelare. E i posti da spartire non sono più quelli dei bei tempi: qualcuno rischia di restare col culetto scoperto. Lui non prova “alcun imbarazzo” a passare da sinistra a destra, anche perché non s’è mai posto il problema della differenza. Nei lunghi mesi in gattabuia ha riflettuto, si è confrontato con il confessore (“ci siamo scritti con Cuffaro, lo ritengo un uomo straordinario”) e ha scoperto che la democrazia è in pericolo: con Renzi si rischia “una deriva autoritaria”, mentre “Forza Italia è un baluardo della democrazia parlamentare”, “un’alternativa non solo vincente, ma anche convincente nella dignità dei valori, nella civiltà delle idee e nella libertà delle preposizioni”. Libertà provvisoria, s’intende. Quindi “io non cambio idea, cambio impostazione”. Per restituire al Paese quel “credito internazionale” che solo un detenuto con l’obbligo di dimora e un processo per associazione a delinquere può garantire. Al posto di Renzi, oltre a ringraziare i magistrati e FI per avergli ripulito il Pd messinese a sua insaputa, ci domanderemmo come sia possibile che un Genovese sia stato per tutta la vita del centrosinistra. E quanti Genovese ci siano ancora nel Pd. Così, fra una rottamazione e l’altra, se avanza tempo.