La Stampa, 11 dicembre 2015
«Je suis Bossetti», online si vendono tutine da bebè, cellulari e calendari per raccogliere fondi da dare alla famiglia del presunto assassino di Yara Gambirasio
Ad accendere la miccia è stato un articolo del Corriere Bergamo, che ne ha dato notizia, ma soprattutto il titolo discutibile scelto per l’iniziativa, “Je suis Bossetti”, con esplicito rimando alla campagna di solidarietà scattata dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Lo slogan compare persino su una tutina per bebè, offerta per un minimo di 40 euro. Ma è possibile contribuire alla causa comprando anche cover per cellulari e calendari. La promotrice non ha gradito l’inattesa pubblicità e dal social network se l’è presa con i giornalisti, sottolineando che nessuno ci guadagna e che l’unica finalità è sostenere la famiglia del presunto assassino di Yara Gambirasio.
Più o meno lo stesso obiettivo di chi, con maggior discrezione, si reca in parrocchia a Sotto il Monte (cui appartiene Piana di Mapello, dove abitano i Bossetti) e lascia offerte in busta a monsignor Claudio Dolcini, pregandolo di consegnarle a Marita Comi. La moglie di Bossetti sta cercando lavoro inutilmente da un anno: tra i tre figli da mantenere e le spese legali c’è poco da stare allegri, di qui l’intenzione di alcuni compaesani di aiutarla in modo concreto e in forma del tutto anonima. Nessuno si pronuncia sulla colpevolezza di Bossetti, le vicende processuali interessano poco: si tratta di puri e semplici gesti di carità cristiana.
Intanto stamattina riprenderà il procedimento nel tribunale di Bergamo. In aula compariranno gli ufficiali del Ris di Parma, chiamati a spiegare quali e quanti test sono stati effettuati per individuare il dna dell’imputato sul cadavere di Yara. La difesa li aspetta al varco, pronta a mettere in discussione la validità del metodo utilizzato.