La Stampa, 11 dicembre 2015
Belforte Monferrato, il mini-comune della provincia di Alessandria che ha più posti di lavoro che abitanti
Cinquecentotrenta anime e settecento posti di lavoro che stanno per diventare 750 ma potrebbero, perché no, arrivare a mille. Così Belforte Monferrato, mini-comune della provincia di Alessandria, dopo aver centrato il considerevole traguardo di 1,5 posti di lavoro per abitante ambisce a centrare quello di due posti per abitante: anziani e bambini compresi. Non si vede perché dubitarne. Qualche giorno fa ha aperto un emporio alimentare chic, presto arriveranno i genovesi di Tonitto (dolciumi e gelati, spostano qui la produzione), si attende l’apertura di un centro medico, nel piano regolatore ci sono ancora dieci ettari destinati ad attività artigianali o industriali e le manifestazioni d’interesse non mancano. Niente nuvole nere.
Posto giusto
Tutto questo succede – ti spiegano – perché i belfortesi si trovano nel posto giusto, lungo il confine tra Liguria e Piemonte. Ai piedi della collina su cui s’arrampicano le loro case passa l’autostrada Genova-Gravellona Toce. E giusto lì sotto una mano felice ha piazzato il casello di Ovada (che, a dispetto del nome, si trova nel territorio di Belforte). Non è un belvedere, è diventato un’occasione grazie alla vicinanza con Genova. Qui è Piemonte dal punto di vista geografico, ma la sagra estiva è quella delle trofie al pesto, l’appartenenza tira più al mare che ai vitigni del Monferrato. «Prima non c’era niente – racconta il sindaco di Belforte, Franco Ravera -. Mio padre ha lavorato a Genova per cinquant’anni, era sul treno alle cinque meno un quarto del mattino e tornava a casa alle nove di sera». Dell’occasione ha preso saldamente le redini il sindaco stesso: in carica da dodici anni – «ma il mio è uno sgabello, non una poltrona, io amministro davvero prendendo il caffè tutti i giorni con i miei concittadini» -, Ravera ha fatto di questa microindustrializzazione una bandiera. Che ha effetti sorprendenti anche all’anagrafe: per quanto piccolo e incastrato tra lo Stura e l’Appennino, Belforte non è un paese di nonnetti. «Abbiamo 80 bambini nelle scuole – dice Ravera -. Fuggire non è più l’unica alternativa al lavoro nei campi». Così, dall’alto della collina su cui sta il paese vero e proprio, si vedono nella conca sotto allineati gli scatoloni di cemento nei quali lo sviluppo si fa: un’azienda siderurgica, l’immancabile centro commerciale, un paio di mobilifici, un outlet cinese. S’era anche parlato di un interessamento di Ikea, visto che nel week end «i genovesi in trasferta per la spesa qui sono moltissimi». E chi abita nei dintorni si mette al lavoro: cassieri, baristi, ristoratori. Anche quaranta agenti alla Polstrada e il personale dei due Autogrill sull’A26. Insomma, si può fare. Viene perfino voglia di chiedere dov’è la fregatura.
Lista civica
Ravera, eletto con una lista civica in un Comune che ha una robustissima tradizione di sinistra, se la ride: «Grazie a questa storia del casello ci siamo tolti il lusso di continuare a gestire l’acqua. Da soli non ce la facevamo, abbiamo messo insieme le forze di diversi Comuni del circondario, ma il servizio idrico resta saldamente nelle mani pubbliche. Quell’acquedotto l’hanno costruito i nostri genitori negli anni Cinquanta, non lo molliamo». Ancora: con l’arrivo di Tonitto iniziano i lavori di bonifica dall’amianto in una vecchia struttura abbandonata da anni. Hai capito il casello. Che infatti non manca di scatenare gelosie di vicinato: le barriere, lo svincolo e tutto l’armamentario. Il nome lo ha dato la più blasonata (e vicinissima, giusto attraversato il ponte) Ovada, ora si fa sentire Acqui Terme, cui una menzione nel cartellone verde dell’A26 in condominio con Ovada piacerebbe moltissimo. Digerire un casello autostradale, inventarsi il minidistretto di Belforte e proteggere l’acquedotto dall’onda della privatizzazione potrebbe rivelarsi più facile che mettersi d’accordo sul nome.