Corriere della Sera, 11 dicembre 2015
«Le pare che se fosse una truffa le farei tenere tutti questi soldi lì?» disse il funzionario di Banca Etruria al pensionato
C’è una frase, nei resoconti del tragico suicidio del pensionato di Civitavecchia, che dice tutto a proposito del dramma di chi ha perso i risparmi investendo nelle obbligazioni subordinate. È attribuita a quel funzionario di Banca Etruria a cui Luigi D’Angelo si era rivolto per sentirsi rassicurare dopo aver ricevuto la lettera con la quale gli comunicavano che il «profilo di rischio» del suo investimento era peggiorato assai. «Le pare che se fosse una truffa le farei tenere tutti questi soldi lì?», gli dice il funzionario. E vogliamo credere che fosse in buona fede, almeno se è vero che anche i suoi genitori, come si premura di precisare, avrebbero comprato gli stessi titoli. Ma le sue parole rivelano quanto sia profonda l’ipocrisia occultata dietro certi formalismi [leggi anche il Fatto del giorno]. Chiunque oggi voglia investire i risparmi subisce in banca un lungo interrogatorio teso ad accertare la sua propensione al rischio, e deve poi sottoscrivere un questionario chilometrico spesso incomprensibile se non agli investitori professionisti. E siccome costoro non hanno alcun bisogno di compilare questionari, va da sé che la procedura riguarda esclusivamente i semplici risparmiatori, anche quelli che mettono da parte poche migliaia di euro. La firma sotto quel documento serve ad ammettere la propria ignoranza in materia di investimenti finanziari e a liberare quindi la banca da ogni responsabilità. Se il questionario dice che puoi al massimo acquistare dei Bot avendo precisa consapevolezza di ciò che stai acquistando, e invece poi compri delle obbligazioni subordinate, sono fatti tuoi. Eri stato avvertito. Ecco la risposta che il sistema ha dato agli scandali Cirio e Parmalat, nonché alle vergognose scorribande dei tanti titoli spazzatura che hanno massacrato per anni, a cominciare dai famosi bond argentini, i risparmiatori italiani. Peccato che tale risposta abbia il solo scopo di mettere le banche al riparo dalle conseguenze giudiziarie senza tutelare concretamente la generalità dei risparmiatori. Quanti di loro, dopo aver firmato l’ammissione di assoluta ignoranza, hanno poi fatto investimenti rischiosissimi, convinti allo sportello da argomentazioni come quelle usate, magari in buonafede, con Luigi D’Angelo? E quanti sono stati invece vittime di una strategia in piena regola, che non prevedeva nemmeno la buonafede? Il fatto è che i formalismi introdotti a salvaguardia delle banche non hanno onorato il compito che ci si doveva aspettare, ovvero garantire l’assoluta trasparenza su ciò che viene venduto ai risparmiatori, assolvendo perfino certe discutibili modalità con cui determinati prodotti vengono piazzati ai più fragili e incauti. Il commissario europeo ai servizi finanziari Jonathan Hill ieri si è spinto a dire che le quattro banche hanno venduto «prodotti non adatti a persone che forse non sapevano cosa stessero comprando», proprio come ai tempi dei bond Cirio e Parmalat. E non è una coincidenza, sostengono gli osservatori più esperti, se il fenomeno è andato diffondendosi negli ultimi tempi più nei piccoli centri e negli istituti di provincia. Che il mancato salvataggio delle quattro banche avrebbe avuto conseguenze ancora più gravi, come afferma il governo, può forse essere vero. Ed è inaccettabile che l’Unione Europea, dopo che la Germania ha impiegato 270 miliardi di risorse pubbliche per evitare (e in certi casi a più riprese) il crac delle proprie banche, opponga ora questioni di lana caprina a questo intervento. Ma è altrettanto palese che non ci si può illudere di risolvere così il problema, facendo pagare il conto più grosso ai risparmiatori e ad azionisti nella grande maggioranza, riteniamo, alquanto ignari. Soprattutto perché sarebbe socialmente insopportabile il ripetersi di fatti simili, su scala simile. E qui è innanzitutto il sistema bancario a doversi far carico delle proprie responsabilità: le ipocrisie formali non servono a nulla se il rapporto con la clientela non è limpido. Quanto al governo e alla Banca d’Italia grava su di loro il compito di garantire ai risparmiatori che la trasparenza sia un dogma irrinunciabile per chiunque venda loro un qualsiasi prodotto finanziario. Con pene esemplari, e applicate veramente, in caso contrario. Soltanto così, dopo questo ennesimo scandalo, si potrà ristabilire davvero la piena fiducia nel mercato.