la Repubblica, 11 dicembre 2015
Pallotta scopre quant’è dura fare il presidente della Roma
Dicono abbia seguito gli ultimi istanti di Roma-Bate sulle scalette della tribuna autorità, come a risparmiarsi lo scempio dei fischi di tutto lo stadio ai calciatori. Un paio di giorni ancora, poi James Pallotta ripartirà per gli States, avvilito come mai prima d’oggi. La qualificazione agli ottavi dolce come un bicchiere di arsenico, il progetto stadio limpido come una chimera, la crisi cronica di rigetto dell’ambiente capitolino, pronto a vomitare rabbia e delusione di fronte a qualsivoglia iniziativa sua e della società, persino quelle benefiche. Mr President era arrivato in Italia per sottoporre a una sorta di check-up la sua Roma, convinto avesse un raffreddore di stagione curabile con poche mosse indovinate: ha scoperto invece un quadro clinico allarmante. Il progetto stadio non decolla, la squadra s’è smarrita, lo scetticismo verso l’attuale gestione è a livelli record, addirittura un dirigente ha dovuto cambiar scuola al figlio per evitargli di essere vittima di insulti inaccettabili. Ieri il presidente ha tentato di rattoppare il rapporto con i tifosi dopo le uscite a caldo di mercoledì. Ha assicurato di sentirsi “sulla stessa lunghezza d’onda dei sostenitori, che ci trasmettono tanto calore”, salvo sgranare gli occhi (“È frustrante”) di fronte all’impianto praticamente vuoto – 26mila e spicci – per una gara decisiva. Mentre l’altro stadio, quello del futuro, resta impantanato in difficoltà sempre meno sormontabili. Il chiacchiericcio della città suggerisce come l’unico modo per sbloccare il progetto sia rinunciare a Tor di Valle e trasferirlo magari a Tor Vergata, sfruttando gli scivoli politici dell’Olimpiade. Ma vorrebbe dire ricominciare da capo o quasi poche settimane prima che sia ultimata la documentazione definitiva, e nessuno prende in considerazione l’idea. Pure le istituzioni locali sembrano però divertirsi a boicottarlo: “Appena verrà presentato il progetto definitivo, integrato come già richiesto ad agosto, siamo pronti ad avviare la Conferenza dei servizi”, ha specificato la Regione dopo l’incontro con i manager del club. Come a ricordare che aspettano ancora una mossa della Roma. Anche per questo forse il presidente Zingaretti ha disertato l’appuntamento: aveva fatto lo stesso il commissario straordinario Tronca il giorno prima. E pure il prefetto Gabrielli, che la delegazione giallorossa la incontrerà oggi, pare trattarlo più da questuante che non come interlocutore credibile: «Mi hanno chiesto un invito solo dopo la mia tirata d’orecchie e allora ho trovato un buco per vederli». Pallotta, sconcertato, si chiede quale sia la ragione di tanta ritrosia e qualche risposta se l’è pure data. Intanto il rischio è che il passo successivo sia una progressiva, ma inesorabile disaffezione al sogno. E che lui, stanco e sfiduciato, possa rivedere il suo coinvolgimento nella Roma. Il clima ambientale intanto pare riflettersi sulla squadra, e gli umori scadono: a chi festeggiava nello spogliatoio quella qualificazione strappata tra i fischi uno dei leader ha ricordato bruscamente che c’è poco da essere felici, oggi. Garcia in fondo non vince da un mese e ha pure rischiato di essere sostituito, subito dopo il ko di settembre col Bate. Dzeko s’è incupito, costa tantissimo e segna quanto un Bojan qualsiasi (3 gol in 13 gare di campionato). La squadra manca completamente di personalità e quando va in crisi fatica a uscirne. E mentre il ds pensa al mercato con i soldi della Champions (13 milioni serviranno per un difensore e un’ala) domenica a Napoli si giocherà contro il mostro Higuain per non dover rinunciare prima di Natale all’obiettivo scudetto. A dicembre, con un ottavo di Champions in tasca e la vetta lontana cinque punti, pare già l’apocalisse.