la Repubblica, 11 dicembre 2015
Le differenze tra Sergio Leone e Quentin Tarantino spiegata da Ennio Morricone
«Schubert, Beethoven o Bach? Niente da fare. Questo è il mio compositore preferito, questo è il mio uomo». Seduto negli studi di Abbey Road Quentin Tarantino – visibilmente emozionato – introduce così Ennio Morricone, corteggiato per anni e ora finalmente convinto a scrivere la colonna sonora per The Hateful Eight, per cui ieri è arrivata anche la nona nomination ai Golden Globe per il compositore. «Ma, onestamente, io non ci avevo nemmeno pensato, credevo che dopo l’Oscar alla carriera non si potesse nemmeno essere più candidati ai premi», riflette ironico Morricone che, con il film di Tarantino – in sala il 4 febbraio, ma la colonna sonora uscirà il 18 dicembre – torna a cimentarsi con il genere 40 anni dopo la sua ultima partitura per un film western.
Erano anni che Tarantino la inseguiva. Come ha fatto a convincerla?«Dal 2009, da quando mi aveva chiesto di scrivere la colonna sonora di Bastardi senza gloria, ma non avevo tempo. Questa volta ci ha riprovato, ma stavo terminando le musiche del film di Tornatore e ho dovuto ridirgli di no».Cosa le ha fatto cambiare idea?«Il giorno prima dei David di Donatello, lo scorso giugno, è venuto a trovarmi a Roma, a casa, chiedendomi solo un tema, nient’altro. Ha insistito, io ho accettato e poi ho scritto l’intera partitura».Partendo unicamente dalla sceneggiatura, senza nessuna immagine.«Sì, e mi ha dato carta bianca, fiducia totale, non ha voluto nemmeno sentire nulla fino a quando non ci siamo incontrati a Praga per le registrazioni. E lì era talmente soddisfatto che mi ha detto che ha già pronto il prossimo film su cui lavorare».E lei?«Gli ho chiesto di non fare le cose all’ultimo momento, come in questo caso, ma di coinvolgermi prima di iniziare a girare. C’è più tempo per riflettere e capire la direzione da prendere».“The Hateful Eight” segna il suo ritorno al western quarant’anni dopo “Un genio, due compari e un pollo” di Damiano Damiani.«Esattamente, e proprio per questo The Hateful Eight doveva essere qualcosa di nuovo. Ogni regista deve avere la sua musica e per Tarantino ho cercato di intraprendere una strada mai percorsa: scrivere musica più sinfonica, con timbri e strumenti diversi. Però lo non considero un western: è un film con una collocazione temporale precisa, subito dopo la Guerra di secessione. Non basta un cappellaccio in testa a fare un genere».Qual è il suo film preferito di Tarantino?«Bastardi senza gloria. La scena iniziale, con il dialogo tra Christoph Waltz e il contadino, la reputo un capolavoro assoluto. Un pezzo di teatro trasferito al cinema».Su Django Unchained aveva espresso delle perplessità perché troppo violento.«Sì, in alcuni passaggi il cinema di Tarantino è molto violento, ma spesso – e questo l’ho capito dopo, riflettendoci – la violenza ha una sua logica, è necessaria per far parteggiare lo spettatore per la vittima. Come, per esempio, nella scena del cane che sbrana lo schiavo inDjango Unchained».Quanto sono diversi Sergio Leone e Tarantino?«Infinitamente diversi. Sergio voleva continuamente essere rassicurato, gli facevo sentire qualcosa al pianoforte e lui poi chiamava qualcun altro per sapere che ne pensava. Aveva sempre bisogno di testimoni (ride, ndr). Tarantino non ha nemmeno fatto richieste, c’è stata una fiducia incondizionata su tutto».Lei ha vinto un Oscar, alla carriera, nel 2007, dopo cinque nomination andate a vuoto. C’è stato un momento in cui era diventata un’ossessione?«No, un’ossessione no, ma a un certo punto, lo ammetto, mi scocciava non averne ancora vinto uno, soprattutto quello per Mission, che lo meritava. Ero in sala quella sera del 1987 e quando premiarono Herbie Hancock parte del pubblico dissentì platealmente».E se dopo la nomination al Golden Globe arriva l’Oscar, che fa?«Ancora non ci ho pensato. Ma se me lo danno, me lo prendo».