la Repubblica, 11 dicembre 2015
Come Giotto manipolò San Francesco
Quale Francesco? Quello del meraviglioso testamento, che «con un soprassalto di disperata energia» vuole ancora i suoi frati «illetterati e sottomessi a tutti», o quello clericale e conformista degli affreschi in cui Giotto impagina una storia riscritta da san Bonaventura (capo dell’ordine, ma anche cardinale), e bollata dalla Curia romana? Quello davvero minore, che si firma «frate Francesco piccolino, vostro servo» e passa la vita tra i lebbrosi e gli ultimi di ogni specie, o quello che è celebrato per sempre sulle pareti della Basilica superiore di Assisi (circondato da cavalieri vestiti di vaio, cardinali e pontefici coperti d’oro e di porpora), cioè il Francesco reso letteralmente inimitabile dal miracolo delle stimmate, e dunque in qualche modo sterilizzato, depotenziato, disinnescato? E i suoi veri seguaci sono quelli rasati e calzati che studiano, posseggono e scalano la gerarchia fino al soglio pontificio, o sono i frati scalzi, barbuti, disposti a seguire il grido modernissimo di Francesco: «Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà»?Fin dal titolo, è questa la domanda che percorre le oltre quattrocento pagine dell’ultimo, bellissimo libro di Chiara Frugoni. È l’eterna domanda che investiga e interroga il rapporto tra il carisma profetico e la sordità del potere istituzionale. Non è difficile sentirla attuale oggi, quando ci chiediamo se un altro Francesco vada riconosciuto nel candore evangelico di affermazioni e atti che appaiono rivoluzionari, o invece nella vischiosità ineludibile di un potere mondano che processa giornalisti e non accredita ambasciatori perché omosessuali. O quando ci chiediamo se Assisi sia – a fine Duecento come oggi – un epicentro di vita spirituale, o invece una grande macchina da soldi, e se gli affreschi stessi della Basilica, oggi messi a dura prova dal respiro delle masse, siano ancora un testo vivo, o solo un’attrazione moralmente afona.Chiara Frugoni cerca il suo Francesco, posando uno sguardo nuovo – uno sguardo felicemente infantile: cioè limpido, aperto, incredibilmente concreto – sul ciclo di Giotto. Lo fa da storica, ma conoscendo minuziosamente il lavoro degli storici dell’arte, e interloquendo con i migliori: per esempio con Luciano Bellosi per la cronologia e le attribuzioni, con Bruno Zanardi per la genesi materiale, con Donal Cooper e Janet Robson per la lettura iconografica. E il risultato è straordinariamente importante: perché ci restituisce assai aumentata la conoscenza di uno dei testi figurativi più alti, e controversi, della nostra storia culturale.Come tutti i libri davvero riusciti, Quale Francesco? parla a tutti.Saranno gli specialisti a vagliare la proposta di leggere i sei candelabri visibili nella Preghiera di San Damiano come un’allusione a santa Chiara e alle sue cinque prime sorelle; a discutere sulle implicazioni del profilo diabolico che la Frugoni ha per prima, e indiscutibilmente, individuato nelle nuvole che portano in cielo l’anima di Francesco appena morto; a soppesare il nesso tra le profezie dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore sull’avvento di un ordine «colombino» e la presenza ricorrente delle colombe nei grandi riquadri giotteschi; o, ancora, a valutare il ruolo di menabò iconografico che può aver avuto il perdutoaurifrisium (cioè il paliotto tessuto di fili d’oro) donato all’altare della Basilica da Nicola IV, primo papa francescano e grande promotore della decorazione pittorica assisiate.Ma – anche grazie ad una prosa felicissima, ad una eccezionale capacità di sedurre il lettore – la domanda centrale del libro parla invece a tutti: ed è difficile staccarsi dal filo della narrazione, dalla malìa di strepitose fotografie di dettaglio che permettono di vedere il ciclo di Giotto come forse non lo si è mai visto prima. E quella domanda è: se Francesco (morto nel 1226) avesse potuto guardarsi nello specchio di Giotto (1288-92 circa), si sarebbe riconosciuto? La risposta della Frugoni è no: ed è un no profondamente convincente.Emblematico è il caso del presepe di Greccio: un grande evento popolare, in cui Francesco fece celebrare la messa natalizia della notte alla presenza di un bue e di un asino in carne ed ossa, viene invece raffigurato come una specie di rappresentazione simbolica, con gli animali ridotti a piccole statue di terracotta, con i poveri fuori della porta, con lo stesso Francesco rivestito da una improbabile dalmatica diaconale dorata. Un Francesco prigioniero del suo stesso ordine, insomma: e Francesco prigioniero sarebbe un perfetto sottotitolo per il libro. Specie pensando ancora al Testamento, dove il santo si fa povero fino a spogliarsi della sua stessa volontà, e con essa del radicalismo del suo progetto: «E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani».Uno dei tradimenti contro il vero Francesco riguarda da vicino i nostri giorni. Nella quarta campata della parete nord, i committenti chiedono a Giotto di dipingere un Francesco pronto a gettarsi nel fuoco per sbugiardare e umiliare il Sultano, e i musulmani in genere. Ma la Frugoni ricorda che il fondatore aveva ordinato ai suoi frati di vivere anche tra i non cristiani «senza liti, senza dispute», «non con l’abituale criterio della contesa dottrinale contro Ebrei od eretici, ritenendosi soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio, dunque anche ai musulmani... Solo se si fosse creato un clima di reciproco rispetto, se fosse piaciuto a Dio, i frati avrebbero potuto parlare di Cristo e della loro fede». Ma – continua la Frugoni – «quando la ritroviamo negli affreschi di Assisi, da una predica per convertire siamo passati a una sfida per vincere».