la Repubblica, 11 dicembre 2015
Putin, il meglio maschio del bigoncio, e la voglia di guerra mondiale
La sortita atomica di Putin, a prescindere da ogni accurata analisi dello scacchiere internazionale eccetera eccetera, è l’ennesimo, schietto, efficace segnale di un nuovo clima, di una psicologia in mutazione. Il leader russo è il meglio maschio del bigoncio (altro che il suo amichetto italiano), e in questo momento è l’idolo mondiale di tutti gli appassionati delle maniere forti, di qualunque idea politica essi siano. Logico che sia proprio lui il più convincente nunzio della guerra che incombe ovunque, e quasi la si respira. Non le guerre locali, digeribili con un semplice colpo di telecomando; la guerra mondiale, quella che squassa il pianeta intero, non essendo plausibile che nella globalizzazione di ogni cosa solamente la guerra se ne rimanga nel suo angolino local. La guerra – purtroppo – ha una sua naturale familiarità con noi umani; dirla “disumana” è solo un esorcismo. Ce ne stavamo dimenticando, noi occidentali sotto i settant’anni, perché siamo una piccola nicchia felice (prima e ultima nella storia?) vissuta lontano da ogni trincea o rifugio antiaereo. Secondo Vonnegut (“Mattatoio numero 5”) la guerra è imposta da vecchi porci a ragazzi mandati a morire. Io adoro Vonnegut, ma mi sembra siano parecchi anche i giovani porci attratti dal bagno di sangue (vedi Parigi). Troveranno presto, in tutto il mondo, degli emuli uguali e contrari.