la Repubblica, 11 dicembre 2015
I 42 alleati del Califfo
Togliendo dall’acronimo della sua vecchia sigla le due ultime lettere, l’allora Isis, ha realizzato un capolavoro politico. Escludendo ogni riferimento all’Iraq e alla Siria, e proponendosi, solo, come Stato Islamico il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi ha osato l’inosabile. Rilanciando il mito di fondazione dell’islam, la cui comunità si vuole transnazionale. Rivelando l’ambizione di un attore politico e religioso che si vuole globale e si propone di dare nuova forma all’ordine mondiale attraverso l’abbattimento dei confini degli stati nazionali esistenti. Un assalto al cielo, che ha entusiasmato molti gruppi islamisti radicali insoddisfatti dalla linea di Al Qaeda, ritenuta insieme troppo proiettata sul lungo periodo e sullo scontro con il Nemico lontano: gli Stati Uniti. Una strategia che, grazie anche alla dimostrazione di forza dell’Is nella Mezzaluna fertile, ha condotto molti di quei gruppi a affiliarsi o a promettere obbedienza al Califfo Nero.
Sarebbero quarantadue secondo il Global Terrorism Index pubblicato dallo IEP. Dei quali trenta avrebbero fatto formale patto di obbedienza e dodici promesso fedeltà e sostegno a Al Baghdadi. Nella mappa geopolitica di membri e alleati dell’Is, spiccano il Medioriente e l’Africa, ma il vessillo nerocerchiato garrisce anche al vento dell’Oceano Pacifico, nelle Filippine, in Malesia o sui monti del Caucaso. L’adesione al Califfato dei singoli gruppi che operano nei contesti nazionali, consente a un attore dalle dichiarate ambizioni globali di perseguire l’obiettivo di una possibile continuità territoriale. Se si guarda allo spazio in cui operano i Quarantadue, due in più della colazione anti-Is, si può intravvedere una strategia che, in presenza di determinate condizioni, potrebbe dare forma a un’unitàspaziale capace di far nascere un nuovo Leviatano islamista. Un mega-Stato che per popolazione e risorse energetiche, diventerebbe un ineludibile protagonista della scena mondiale. Dalla Penisola Arabica sino ai territori palestinesi e all’Egitto, dove opera l’omonima Provincia del Sinai dell’Is, dalla Libia dove l’Is ha ormai una consolidata presenza a Sirte, alla Tunisia dei molti foreign fighters, dall’Algeria di Junda al Khalifah sino al Mali dove l’indebolimento dell’Aqmi ha fatto lievitare i gruppi filo-Califfato, sino al Nord della Nigeria dove opera quel Boko Haram, che ha ormai esteso il suo raggio d’azione a alcune aree del Camerun, del Niger e del Ciad, l’Is continua a raccogliere adesioni. Se alcune delle aree che costituiscono l’enorme heartland islamista radicale cadessero sotto il suo controllo altre, come in un effetto domino, seguirebbero lo stesso destino. In altri contesti, invece, i gruppi che guardano al Califfato devono fare i conti con una consolidata presenza qaedista. Se ai piedi della Montagna di Babele, il Caucaso dai molti popoli e lingue, l’Is guadagna spazi, nella regione afghano-pakistana, storico feudo di Al Qaeda, la sua penetrazione è, per il momento, meno rapida.Il meccanismo dell’adesione diretta o della promessa di sostegno ha, dunque, nella strategia dell’Is, la funzione di costituire un unico fronte; di bypassare attraverso la politica delle alleanze quei confini che ne ostacolano la saldatura. Mostrando come ovunque si combatta la medesima battaglia. E puntando a unificare ciò che oggi si presenta a macchia di leopardo. Impresa assai difficile ma che certo non pare un ostacolo a chi guarda al mondo attraverso un’ideologia che tutto spiega e promette.