Corriere della Sera, 11 dicembre 2015
Stoya, la donna che sta rivoluzionando il mondo del porno
Due mesi prima che dichiarasse su Twitter di essere stata stuprata dal suo collega ed ex fidanzato, la star del porno James Deen, Stoya sedeva su una panchina di Madison Square Park a Manhattan. Difficile immaginare che, da lì a poco, la sua dichiarazione – smentita da Deen – avrebbe causato una reazione a catena nel mondo della pornografia (a oggi sono nove le performer che dicono di essere state vittime della violenza sessuale di Deen) e dato origine a un dibattito globale sull’idea di «consenso» che prescinde dallo stare in coppia e dalla professione. Eppure, nell’aria dolce del settembre newyorkese, inquinata solo dal fumo delle sue (tante) sigarette, la porno performer nata nella Carolina del Nord 29 anni fa appare naturalmente la riformatrice di un settore stantio.
Il progetto TrenchCoatx
A marzo, insieme alla collega Kayden Kross, ha lanciato TrenchCoatx, un sito pornografico «pay-per-scene»: paghi solo quello che vuoi vedere. «A un certo punto ho realizzato che se volevo continuare a essere libera avevo due opzioni: andare in pensione o mettermi in proprio. Ho scelto la seconda». È stato solo l’inizio di una serie di decisioni importanti, come ad esempio quale anima dare alla piattaforma: «Quando vai in homepage non vedi immediatamente seni enormi, scene hard e oggetti fallici – spiega —. Proponiamo una pornografia lontana dallo stereotipo “maschile” di sudiciume e prevaricazione». Il progetto non è rivolto solo ai consumatori abituali di filmografia per adulti: «C’è tanta gente curiosa che magari non guarda porno perché il modello classico la fa sentire a disagio». Attenzione però a pensare che si tratti di soft porno : «Ci sono tutti gli ingredienti della pornografia solo che, magari, devi cercarli un secondo». Caratteristica di Trenchcoatx è un buon sistema di filtri: «Gli utenti possono creare un profilo e selezionare sia le loro preferenze, sia quello che nella navigazione non vogliono incontrare». Il termine è s quick, che si riferisce alla sensazione fisica di repulsione, senza giudizio morale. Nella sua nuova vita da imprenditrice, la performer – passato da modella, apparizioni in videoclip (l’ultimo di Amanda Palmer), una rubrica fissa su Vice e un paio di editoriali sul New York Times – dedica parecchio tempo alle lettere degli utenti: «Alcuni mi chiedono dov’è il sesso. Vi assicuro che è facile trovarlo, per cui mi domanda se la difficoltà dipende dal fatto che siamo state io e Kayden, due donne, a disegnarlo». Nessun allarme o desiderio di fare un passo indietro: «Non è l’utenza che mi interessa, il mercato è pieno di quel tipo di porno».
Il porno femminista non esiste
Più volte Stoya è stata identificata come «femminista» e anche quest’ultimo progetto potrebbe sembrare un esempio di «pornografia per donne». «Il concetto è di per sé semplicistico: innanzitutto perché vuol dire che tutte le donne, ovvero quasi il 50% della popolazione, hanno la stessa idea di porno, ed esclude che ce ne siano tante che ameranno sempre l’idea di essere sottomesse. Quando lavoravo per un studio che realizzava film per coppie e women friendly, il 90% degli utenti erano uomini. Non ci interessano i dati demografici, vogliamo tutti». Non le piace essere definita femminista. «Una donna che fa le sue scelte è chiamata di default femminista. Ho passato buona parte della mia carriera a lottare contro questo stereotipo. Per sette anni sono andata sul set, ho lavorato, indossato l’uniforme – scegliendo da sola solo la biancheria —, e dopo un paio di settimane prendevo il denaro: questo non è né più né meno femminista che andare in ufficio». Non ama neanche essere considerata un simbolo di «diversità» nel porno: «Ci sono tante performer intelligenti, colte, brune, esili, che lavorano nel settore perché vogliono farlo o perché devono pagare l’affitto. Eppure, ogni volta che arriva una nuova regista o performer non bionda e con il seno piccolo le persone annunciano la rivoluzione».
Dietro questo atteggiamento si nasconde un’ossessione: «Rendere più tenero quello che non lo è, ma questo non aiuta una profonda comprensione delle cose».
La bufala della cultura
Negli ultimi anni la pornografia è uscita dai confini classici per entrare nelle accademie e nei circoli intellettuali. Un passaggio che Stoya rinnega: «Io rispetto Sasha Grey (l’ex attrice porno diventata scrittrice ndr ) ma lei non fa altro che prendere le distanze dal suo passato. Io posso scrivere e leggere, ma sono e resto una performer per adulti». C’è un problema innanzitutto di etichette: «Chi si definisce attore porno si identifica in una categoria: attore vuol dire finzione. Io non mento nella misura in cui non sono capace di fare sesso con una persona che non trovo attraente. Mi piace fare sesso sul set come lo faccio nella vita privata». Dunque gli altri non sono autentici? «Il punto è che quando si parla di teatro e cinema accettiamo che ci siano diversi ruoli e stili, ma non crediamo possa essere così anche per la pornografia». Il desiderio di Stoya è portare attenzione sulle sfumature del suo settore: «Quando dopo il mio primo articolo sul NYT, il giornale ha pubblicato un’altra performer ho pensato: finalmente fanno scrivere di sesso persone competenti». Ci può essere un’educazione alla pornografia? «Bisogna ricordare che è intrattenimento, non documentario. È facile capire che “Fast and Furious” non è un film sull’educazione stradale, eppure quando questo schema si applica al porno, le persone fanno difficoltà». La performer ammette che avrebbe difficoltà a parlare di sesso con un figlio adolescente: «Meno male che non ne ho». Figli no, ma genitori sì. Il padre ha dichiarato in un’intervista di aver smesso di guardare porno a causa della figlia. E la madre?: «Adesso che faccio l’imprenditrice, finalmente ho un modo per renderla fiera di me».