Corriere della Sera, 11 dicembre 2015
A proposito della pensione dei magistrati
Dobbiamo quindi dare ragione a chi osserva: non è possibile che i giudici amministrativi decidano su tutto, dall’iscrizione a un asilo alla chiusura di un’ambasciata, e quindi propone di ridurne il raggio di azione (Matteo Renzi)? A chi suggerisce di sopprimerli, perché legano le gambe all’Italia (Romano Prodi)? A chi afferma che non si può morire di diritto amministrativo (Cottarelli)?
A leggere il recente intervento del Consiglio di Stato, che ha fermato all’ultimo momento il pensionamento dei più alti magistrati ordinari, si sarebbe tentati di rispondere positivamente a queste domande.
Ecco brevemente la vicenda. I magistrati andavano in pensione a 72 anni. Silvio Berlusconi portò l’età del pensionamento a 75. Questa è stata poi abbassata per diverse categorie di dipendenti pubblici, ma per i magistrati norme del 2014 e del 2015 hanno assicurato progressività, fino al dicembre 2016, nella riduzione da 75 a 70 dell’età del pensionamento. Nel giugno scorso il Consiglio superiore della magistratura e il ministro della giustizia comunicano a un magistrato che ha già largamente superato i 70 anni il collocamento in pensione dal primo gennaio 2016.
Questi presenta a fine novembre un ricorso straordinario e il Consiglio di Stato all’inizio di dicembre sospende l’esecuzione del pensionamento, spiegando in modo molto sommario che il ricorrente aveva riposto un ragionevole affidamento a lavorare fino a 75 anni e che la funzionalità del suo ufficio potrebbe essere danneggiata dalla sua assenza.
Si tenga conto che quasi un centinaio di persone si trovano nella stessa situazione, che la sospensiva è stata concessa in una procedura assimilabile a quelle giudiziarie e senza che si sia dato modo al Ministero della giustizia di intervenire nel contradittorio, e che gli organi giurisdizionali non ricorrono solitamente a provvedimenti cautelari in materia di pensionamenti.
Gli interrogativi si affollano. Come può il Consiglio di Stato affermare che va tutelato un ragionevole affidamento, quando le leggi da applicare avevano assicurato proprio ai magistrati un notevole gradualismo, per assicurare la continuità delle funzioni? Come può il Consiglio di Stato ergersi a giudice della funzionalità degli uffici giudiziari, quando per questo compito ci sono il ministro della Giustizia e il Consiglio superiore della magistratura?
Come può il guardiano delle leggi sollevarsi contro la legge, impedendone l’applicazione? Come può quella categoria di dipendenti pubblici, i magistrati, che aveva ottenuto – a differenza di altre categorie – una riduzione progressiva dell’età del pensionamento, opporsi a decisioni prese nel corso degli ultimi anni, dando così argomenti a chi ritiene l’Italia un Paese bloccato dal prevalere di corporazioni che si annidano proprio nella macchina dello Stato?
Le lezioni che si traggono da questa vicenda sono: il diritto amministrativo e i giudici amministrativi sono importanti, quali garanti dei diritti dei cittadini, non come tutori improvvisati di aspettative di categoria; il Consiglio superiore della magistratura deve preoccuparsi della funzionalità della giustizia e non aspettare anni nel fare le nomine sui posti che si liberano per pensionamenti, nell’attesa che le correnti si mettano d’accordo; le leggi vanno rispettate, non beffate.