Corriere della Sera, 11 dicembre 2015
Destra e sinistra sono superate, dice il sindaco di Firenze Nardella
Sindaco Nardella, oggi a Firenze comincia la Leopolda, mentre la minoranza si riunisce a Roma. Che cos’è oggi il Pd? È ancora un partito di sinistra?
«Deve essere un partito capace di parlare a tutti gli italiani, superando i vecchi paradigmi dei partiti del secolo scorso. Lo schema della contrapposizione tra destra e sinistra non è più sufficiente a leggere il nostro tempo. Dobbiamo costruire un’alternativa del tutto nuova».
Ma questo è il Partito della nazione. O il Partito del premier, se preferisce.
«Non mi appassionano i nomi. Ma la formula è quella. L’importante è che sia un partito legato alla dimensione del governo, non della lotta. Vicino ai territori, in modo da suscitare nuove forme di partecipazione. E con un leader forte».
La sinistra pd chiede invece che Renzi lasci la segreteria.
«Sarebbe un grave errore. Un partito moderno schiera il suo leader. E non si costruisce una riserva mentale; si identifica con la missione riformatrice del governo. Renzi ha l’età, la cultura e la determinazione per interpretare la leadership di questo progetto. Che passa anche da un’altra idea d’Europa, molto diversa dalla burocrazia ingessata di Bruxelles e dal rigorismo imposto in questi anni dalla Germania».
I suoi colleghi sindaci di Milano, Genova e Cagliari lanciano invece un appello a ricostruire un’alleanza di sinistra con Sel.
«Mi pare la nostalgia per una restaurazione impossibile, almeno a livello nazionale. Lo dico anche da sindaco: a Firenze Sel vota contro pregiudizialmente sempre. Non so come possa riunire la sinistra. Quale sinistra, poi? Quella antisistema? La svolta di Tsipras dimostra che la scorciatoia dei populismi è sbarrata, ammesso che sia mai esistita. Quella socialdemocratica? Ma la socialdemocrazia in tutta Europa è alla canna del gas».
Proprio in questi giorni, in Francia e in Spagna i partiti socialisti sono impegnati in difficili campagne elettorali...
«Guardiamo alla realtà. Dalla crisi e ora dal terrorismo viene una pericolosa spinta a destra. Noi dobbiamo fronteggiare i populismi conservatori, che puntando alla disgregazione dell’Europa in un rigurgito di nazionalismo fanno oggettivamente il gioco dei fondamentalisti islamici. L’argine non può essere certo il fortino in cui chiudersi. Dobbiamo dare una risposta diversa».
Mezza Europa va in guerra e il governo Renzi dà l’impressione di nascondere la testa sotto la sabbia.
«Non è così. L’Italia ha una forte presenza militare nei Balcani e in Medio Oriente, più della Germania. La posizione del governo è giusta e condivisibile: basta guerre al buio, basta con la logica per cui intanto si bombarda e poi si vedrà. Investiamo in sicurezza e nello stesso tempo in cultura, educazione, integrazione».
È sicuro che la spinta a destra non ci sia anche in Italia? Al referendum sulle riforme costituzionali, e in un eventuale ballottaggio con Grillo, Renzi rischia.
«È vero, si sta formando un’armata Brancaleone. Un’ammucchiata “tutti contro Renzi”. È un fronte vasto, che va da Fassina a Salvini, passando per Grillo e Brunetta. Se il Pd rispondesse schiacciandosi a sinistra, commetterebbe un errore fatale».
Quindi secondo lei il Pd dovrebbe imbarcare Alfano, e magari pure Verdini?
«Certo che no. Al di là dei nomi, noi non dobbiamo aggregare ceto politico; il ceto politico noi lo stiamo sfoltendo, con l’abolizione delle Province, con la riforma del Senato. E non si tratta di fare una nuova Dc. Dobbiamo essere centrali, non centristi. L’Italicum disegna un quadro bipolare. Da una parte ci sarà il polo Brancaleone, unito solo dall’ostilità al premier e dalla velleità pericolosa di portare l’Italia fuori dalla moneta unica e dall’Europa. Dall’altra parte ci sarà il partito della responsabilità e della fiducia nel futuro».
Le primarie per scegliere i candidati sindaci funzionano ancora? A Milano, ad esempio.
«Sì. Purché non diventino un regolamento di conti romani, un grimaldello in mano alle minoranze interne per far saltare candidature autorevoli. O per lanciare un nuovo movimento politico. Sarebbe un uso improprio delle primarie, un dispetto che i milanesi non meritano».
Non è che Sala rischia di perdere?
«Decideranno i cittadini. Personalmente spero proprio di no: l’ho visto all’opera, e credo sarebbe un ottimo sindaco».
E Bassolino?
«Non lo seguo quando dice che in questi anni non è emersa una successione. Che cos’ha fatto lui per farla emergere? Mi fanno ridere gli esponenti della vecchia guardia che ci accusano di non aver rinnovato il Pd. A Bari, a Reggio Calabria, a Novara, a Pesaro nuovi sindaci democratici dimostrano che il rinnovamento è in corso. Per questo la Leopolda è fondamentale. Così come servono altre forme di partecipazione e di organizzazione. Compresi i banchetti nelle piazze».
Alla Leopolda oggi non ci saranno neppure le bandiere del Pd.
«Non ci sono mai state e ogni volta si monta una polemica ormai stucchevole. Noi dobbiamo aprire il Pd a energie, idee, competenze nuove rispetto alle vecchie strutture partitiche del secolo scorso. Anche perché l’Italia, non solo la politica, ha un drammatico problema di selezione delle classi dirigenti».