Corriere della Sera, 11 dicembre 2015
Filippo Penati assolto perché «il fatto non sussiste»
Emersa nel luglio 2011 quando la gip Anna Magelli negò l’arresto di Filippo Penati ai pm monzesi che lo chiedevano sulla base di gran parte degli atti compiuti dai pm milanesi a partire dal maggio 2010, la storia finisce ieri – dopo quasi 5 anni e in un processo iniziato nel maggio 2013 – con la sentenza del Tribunale di Monza che assolve tutti da tutto. A cominciare proprio dall’ex sindaco pds di Sesto San Giovanni, poi presidente ds della Provincia di Milano, quindi capo della segreteria politica dell’allora segretario del Pd Bersani, nel 2010 candidato al Pirellone sconfitto dal pdl Formigoni, e vicepresidente del Consiglio regionale lombardo al momento dell’inchiesta e delle dimissioni.
Tre erano i filoni. I pm Franca Macchia e Walter Mapelli contestavano a Penati che illeciti contributi elettorali per 363.000 euro nel 2009-2011 gli fossero stati versati da 18 amministratori di società dietro lo schermo della fondazione «Fare Metropoli». E qui, dopo ieri, si ha la curiosa situazione di due sentenze opposte in due città. A Milano nel 2013 i pm Robledo e D’Alessio avevano infatti chiesto l’archiviazione di alcuni dei finanziatori (tra i quali l’ex banchiere Ponzellini) nel presupposto che non fossero consapevoli che contribuire a «Fare Metropoli» equivaleva a dare finanziamenti elettorali illeciti a Penati. Ieri, invece, i giudici di Monza hanno assolto il percettore Penati nel presupposto esattamente opposto, e cioè che i finanziatori fossero perfettamente consapevoli che «Fare Metropoli» era un veicolo elettorale di Penati. Ciò significa che l’ex sindaco ben poteva pensare che gli imprenditori rispettassero poi l’obbligo di dichiarare i contributi e dunque in assenza dell’elemento psicologico va assolto «perché il fatto non costituisce reato».
La sentenza di ieri (presidente Giuseppe Airò, a latere Giusi Barbara e Elena Sechi) proscioglie poi il costruttore Giuseppe Pasini e l’imprenditore dei trasporti urbani Piero Di Caterina per il reato di corruzione, imputato loro per le tangenti (le ultime datate novembre 2006) attorno ai progetti di riqualificazione urbanistica delle aree industriali ex Marelli e ex Falck a Sesto San Giovanni. La prescrizione si somma ai 20 mesi patteggiati nel 2012 da un ex assessore comunale all’Edilizia, da una geometra e da un architetto; e si aggiunge alla prescrizione che Penati (indagato di concussione) nel maggio 2013 si tenne stretta, nonostante solenni annunci di volervi rinunciare.
Ancora l’accusa ipotizzava che Penati, non potendo restituire a Di Caterina i soldi che costui asseriva di avergli dato negli anni per le esigenze del partito, si sarebbe sdebitato facendogli una serie di favori da presidente della Provincia. Ad esempio spendendosi per una triangolazione nel 2008-2010, messa per iscritto dallo stesso Di Caterina quando nell’aprile 2010 spedì a Penati e Binasco una esplicita mail, genuino riassunto secondo la Procura e invece furbescamente precostituita ad avviso dei legali di Penati, Matteo Calori e Paolo Vivian: Bruno Binasco (n.2 del gruppo autostradale Gavio) avrebbe firmato un simulato preliminare d’acquisto di un immobile di Di Caterina, al solo scopo di concedergli una caparra di 2 milioni in caso (poi verificatosi) di mancato esercizio dell’opzione. In cambio avrebbe però avuto un favore da Penati «amministratore di fatto» della Milano-Serravalle (società autostradale controllata dalla Provincia): e cioè una transazione da 18 milioni di euro su pretese di Codelfa (società del gruppo Gavio-Binasco) sui cantieri della terza corsia dell’autostrada A7. Su questo punto, in attesa delle motivazioni, l’assoluzione di ieri «perché il fatto non sussiste» (pur con il richiamo al secondo comma della «prova insufficiente») fa immaginare che il Tribunale abbia ritenuto il contratto preliminare non simulato, non preordinato a mascherare una tangente di 2 milioni, ma rispondente a un vero iniziale interesse di acquirente e venditore, poi venuto meno per dinamiche commerciali: e se il contratto non è simulato, allora cade il nesso con i 18 milioni della Milano-Serravalle alla Codelfa di Binasco, e non ci sono atti di Penati contrari a doveri d’ufficio.
Nei vari filoni sono assolti anche l’ex segretario della Provincia, Antonino Princiotta; l’ex capo di gabinetto di Penati, Giordano Vimercati (l’unico su richiesta dei pm); Binasco e il suo manager Norberto Moser; gli ex dirigenti di Milano-Serravalle, Massimo Di Marco e Gianlorenzo De Vincenzi; l’architetto Renato Sarno («sentenza coraggiosa» dice il difensore Marcello Elia); e la Codelfa come persona giuridica ai sensi della legge 231.