il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2015
Quella piccola distrazione di Bankitalia costata 180 milioni
La Banca d’Italia ha gravi responsabilità nel dissolvimento di 2,6 miliardi di euro non provocato ma ufficializzato dal cosiddetto salvataggio di Banca Marche, Popolare Etruria, Cassa di Ferrara e Cassa di Chieti. La prova delle colpe di Bankitalia è evidente in un caso esemplare, l’aumento di capitale da 180 milioni collocato a marzo del 2012 da Banca Marche presso i suoi sportelli. L’intera cifra è stata vaporizzata il 22 novembre scorso per decisione della Banca d’Italia, e rappresenta una quota significativa dei 2,6 miliardi bruciati. L’accusa a Bankitalia non viene da quella che il governatore Ignazio Visco liquiderebbe sbrigativamente come “stampa scandalistica”. È scritta negli atti ufficiali della Consob, l’altra autorità di vigilanza, che con Bankitalia si divide i compiti per una normativa confusa che aiuta a non trovare mai un responsabile.
Il 24 ottobre 2011, l’assemblea degli azionisti di Banca Marche ha approvato l’aumento di capitale, proposto dal cda per “aumentare la capacità patrimoniale” e “rafforzare il ruolo della banca nello scenario competitivo”. Ai piccoli azionisti che nell’occasione hanno sollevato perplessità il presidente Michele Ambrosini ha risposto piccato che “Banca Marche è un’eccellenza del territorio”, e ha rivendicato “che la banca ha subito ispezioni anche frequenti in questi ultimi anni da parte della Banca d’Italia, senza però che emergessero mai problematiche come quelle che taluno dipinge”.
Il 6 febbraio 2012, la Consob approva il prospetto informativo, 290 pagine che gli investitori dovrebbero leggersi integralmente prima di sottoscrivere l’ordine di acquisto delle nuove azioni. I dati di bilancio esposti sono fermi al 30 giugno 2011, perché il bilancio dell’anno non è ancora stato approvato. Così gli investitori leggono che i crediti deteriorati (di difficile recupero) sono il 10,5 per cento del totale del credito erogato, mentre al momento dell’aumento di capitale stanno già galoppando verso il 16 per cento. Ma la cosa più grave è che nel prospetto non si trova cenno a una letteraccia che proprio il governatore Visco ha scritto al vertice di Banca Marche il 9 gennaio, circa un mese prima che venisse pubblicato il prospetto.
Bankitalia dice di aver trovato con le recenti ispezioni “elementi di crescente criticità, riconducibili soprattutto alle diffuse carenze presenti negli assetti di governance e nel sistema di controllo interno e alla rilevante esposizione ai rischi di natura creditizia e finanziaria”, e invita la banca a sostituire al più presto il direttore generale Massimo Bianconi, oggi indagato per gravi reati. Insomma, Banca Marche, scrive Visco, è a pezzi, e infatti l’aumento di capitale è necessario per rattoppare i conti, minati dalla mala gestio di Bianconi &c: le sofferenze altro non sono che il risultato di crediti generosamente dati ad aziende inaffidabili, ma molto amiche dell’oligarchia che regnava sulla banca. È ciò che denunciano da almeno due anni gli ispettori e i commissari nominati dalla Banca d’Italia nel 2013. Nonostante tutto, il giorno dopo la pubblicazione del prospetto, il presidente Ambrosini reagisce ad articoli di stampa “malevoli” con una lettera aperta che rassicura gli investitori: “La Nostra Banca, la Vostra Banca, non è stata mai così liquida e patrimonializzata come oggi”. Un inganno sfrontato. Bankitalia tace: dal successo dell’aumento di capitale dipende la mitica stabilità.
Il 5 agosto scorso, dopo oltre tre anni, la Consob ha multato il cda e il collegio sindacale di allora per aver nascosto al mercato la lettera di Visco: 420 mila euro, con le quote maggiori (60 mila a testa) per Ambrosini e Bianconi.
Gli accusati si sono difesi in modo strepitoso, sostenendo di aver agito “allo scopo di tutelare la tenuta gerarchica della struttura” e “al fine di non creare inutili allarmismi”. La Consob replica che proprio perché la lettera di Visco “aveva un carattere allarmante doveva essere comunicata ai potenziali investitori”. E invece i vertici, accusa l’autorità presieduta da Giuseppe Vegas, furono concordi “in merito all’occultamento all’autorità di vigilanza e al pubblico delle valutazioni negative di Bankitalia sulla situazione economico-patrimoniale” della banca.
Sta tutto in questa frase: “Occultamento all’autorità di vigilanza delle valutazioni negative di Bankitalia”. Ma non è Bankitalia l’autorità di vigilanza? Come si possono accusare i vertici di Banca Marche di aver occultato al mercato le valutazioni di Bankitalia? Non è Bankitalia che ha autorizzato l’aumento di capitale, secondo i dettami dell’articolo 56 del Testo unico bancario, perché non in contrasto “con una sana e prudente gestione”? Dobbiamo dunque concludere che, spettando alla Consob la vigilanza sulla sollecitazione del pubblico risparmio, i severi vigilanti di Bankitalia si sono ritenuti esentati dal leggere il prospetto di collocamento e dall’avvertire il mercato e la stessa Consob (che nulla sapeva della lettera di Visco) della sua natura sostanzialmente mendace?
Adesso tocca a governo e Parlamento dire agli azionisti truffati di Banca Marche chi vigila sulla vigilanza. E perché Visco non fa una piega quando le sue lettere “allarmanti” (Consob dixit) vengono tenute segrete (Consob dixit).