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 2015  dicembre 10 Giovedì calendario

L’auto che va ad acqua c’è già

Un’autovettura che, semplificando il concetto, funziona ad acqua. Che si trasforma in idrogeno. Che a sua volta, attraverso la tecnologia fuel cell, diventa energia per un motore elettrico, rilasciando dal tubo di scappamento solamente vapore. Cioè acqua che ritorna acqua.
Non è un miraggio, anche se si chiama Mirai. Che in giapponese, non a caso, vuol dire futuro. E non è un prototipo, ma un’automobile vera, prodotta in serie e già sul mercato. In Germania, insieme a Danimarca e Inghilterra uno dei soli tre Paesi dove è in vendita, costa 66 mila euro più Iva. L’ha inventata Toyota ed è la risposta più estrema alla necessità di contenere le emissioni nocive della mobilità per il futuro del Pianeta. Come spiega l’ingegnere Yoshikazu Tanaka, che del Progetto Mirai è il direttore, «la sostenibilità è da sempre il cuore delle aspirazioni del nostro marchio che da molti anni si è posta come obiettivo primario quello di trovare alternative ai carburanti di origine fossile. Nel 1997 abbiamo lanciato la Prius, prima auto ibrida su larga scala: in quel momento l’ibrido (motore elettrico abbinato a quello tradizionale ndr) era la tecnologia futuribile migliore. Oggi Toyota ha 30 modelli di vetture con questo tipo di alimentazione, venduti in 90 mercati mondiali».
Dopo 8 milioni di ibride vendute però avete cambiato rotta...
«L’ibrido resta un’opzione validissima ma più di 20 anni di studi, ricerche e test su prototipi in ogni condizione, ci hanno consentito di entrare in una nuova era. Il risultato è la Mirai, l’auto che rappresenta l’evoluzione naturale dell’ibrido, perché genera elettricità per rifornire i suoi motori combinando idrogeno e ossigeno e restituendo all’ambiente solo emissioni sotto forma di acqua. Dai 3 ai 5 minuti per fare il pieno, e 550 km di autonomia: non è un sogno, è realtà».
In più le auto fuel cell, come potenzialmente posso fare alcuni prototipi già presentati, supereranno l’attuale concetto di semplice mezzo di trasporto, potendosi trasformarsi anche in generatori mobili di corrente...
«L’idea è esattamente questa. La tecnologia ci consente di sfruttare l’energia generata dall’auto per caricare apparecchi esterni, persino di emergenza. Al Salone di Tokyo abbiamo presentato la FCV Plus che, quando è posteggiata in garage, può rifornire le utenze di casa o dell’ufficio. Insomma, se un giorno venisse realizzata potrebbe far parte integrante della rete elettrica, cui potrà essere collegate in maniera wireless per immettervi energia».
Dal punto di vista della sostenibilità, pare un progetto perfetto. Ma tornando alla Mirai, la sua realizzabilità di larga scala è ancora un’utopia?
«Siamo solo alla prima parte del progetto. La seconda prevede lo scioglimento di un circolo vizioso. Se le infrastrutture ad idrogeno non esistono, non esiste nemmeno la vettura ad idrogeno. Ma al tempo stesso, se non c’è domanda di auto ad idrogeno, non c’è la necessità di offrire stazioni di rifornimento ad idrogeno. Come costruttori abbiamo fatto la nostra parte, confezionando il prodotto perfetto per il futuro: ora ci serve una mano per costruire una società a idrogeno».
E avete deciso di regalare la vostra tecnologia pur di diffonderla...
«Esattamente: Toyota possiede 6.000 brevetti relativi all’auto a idrogeno e 70 sulle relative stazioni di rifornimento sui quali abbiamo liberalizzato i diritti. Chiunque può accedervi per usarli o svilupparli e iniziare il viaggio».
Ma l’idrogeno è davvero pulito, o questa corsa a trovare alternative pulite a tutti i costi ne sta sottovalutando le criticità che comunque esistono?
«L’idrogeno è estraibile da numerose fonti diverse, molte delle quali richiedono ancora l’uso dei carburanti fossili. Altri metodi però consentono di raggiungere i medesimi risultati attraverso sistemi completamente rinnovabili, attraverso l’acqua, o processando rifiuti come letame e immondizia. O ancora attraverso l’elettrolisi, usando energie pulite come quella solare e quella eolica».
Secondo recenti calcoli della Facoltà di Scienza e Ingegneria della Waseda University, in Giappone, sole e vento però non basteranno mai per produrre idrogeno su larga scala. E servirà comunque ricavarlo per almeno il 20% dal nucleare...
«La questione è molto complessa e dibattuta. Ed è un bene che lo sia. Per tutti. Siamo solo all’inizio di un viaggio molto interessante. Anzi, vitale».