il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2015
Intanto i partiti si regalano 16 milioni di euro
Una pioggia di soldi ai partiti. Dieci milioni di euro dalla Camera e, nei prossimi giorni, ne arriveranno sei dal Senato. Ieri l’ufficio di presidenza di Montecitorio ha dato il via libera al pagamento dei rimborsi elettorali alle forze politiche relativi al 2013. Una decisione legittima, ma che in pratica elude il decreto del governo Letta sull’abolizione, seppur graduale, del finanziamento pubblico. Da una parte, infatti, la politica ha deciso di abolire le ingenti elargizioni che ogni anno rimpinguavano le loro casse, ma dall’altro i partiti si sono fatti una leggina per aggirare l’ostacolo. Così, ieri, ecco arrivare i soldi, con la sola opposizione del Movimento Cinque Stelle, che ha abbandonato la riunione dell’ufficio di presidenza.
Ricapitoliamo i fatti. Nel febbraio 2014 il governo Letta abolisce il finanziamento pubblico, che in realtà era già stato cancellato con un referendum nel lontano 1993, salvo poi risorgere cambiando dicitura: rimborso elettorale. Una pioggia torrenziale di denaro pubblico. Che per un ventennio ha consentito spese pazze dei partiti con assunzioni a raffica, sedi faraoniche, sostentamento ai giornali di partito, apertura di fondazioni, e così via. Dunque, Letta mette fino a tutto questo con una legge che taglia i rimborsi del 25 per cento nel 2014, del 50 per cento nel 2015, del 75 per cento nel 2016 fino allo zero nel 2017. Da quell’anno le forze politiche non percepiranno più niente.
Allargando le maglie della contribuzione volontaria dei privati e al 2 per mille che però, come si è visto lo scorso anno, è stato un flop. Per accedere alle risorse ancora esistenti, però, i partiti devono avere un certificato di trasparenza: i bilanci devono essere controllati da un’apposita commissione che li deve approvare entro il 30 giungo di ogni anno. Il problema, però, è che tale commissione si è trovata in difficoltà per mancanza di personale, come ha spiegato il suo presidente Luciano Calamaro.
Insomma, non è riuscita a esaminare i bilanci delle forze politiche del 2013. Così i fondi che ancora spettano ai partiti sono stati congelati: si tratta di 45,5 milioni dal 2013 al 2015, di cui i 10 di ieri sono solo una tranche. Un bel problema per strutture che, senza finanziamenti pubblici, rischiano la chiusura. Come si è visto per Forza Italia, costretta a licenziare il personale e ad abbandonare la sede di San Lorenzo in Lucina. O per la Lega di Salvini che, al suo massimo storico di consensi, è stata costretta a chiudere la storica sede di Via Bellerio a Milano.
E così, con i partiti a boccheggiare in crisi di ossigeno, che t’inventa il Palazzo? Il ddl Boccadutri, approvato in soli due giorni in entrambi i rami del Parlamento. La leggina prende il nome dal deputato dem che l’ha proposta: Sergio Boccadutri, palermitano, classe 1976, eletto con Sel e poi passato al Pd nel giugno 2014. La leggina sblocca i finanziamenti congelati: i partiti riceveranno i soldi anche senza la bollinatura sui bilanci da parte della commissione. Il ddl prevede anche l’incremento di personale: sette persone in più che si sono aggiunte alle cinque previste dal governo Letta. Il 14 ottobre scorso il ddl Boccadutri è passato in Senato, sbloccando i finanziamenti, con il solo voto contrario di grillini e Lega, mentre Sel si è astenuta.
L’ultimo capitolo ieri, con la decisione della Camera di erogare 10 milioni in assenza di bilanci certificati. “È assurdo e umiliante ratificare una legge che elude i controlli. Per di più è incostituzionale, in quanto retroattiva. Abbiamo chiesto di non votare e attendere il parere dell’Avvocatura di Montecitorio, ma ci è stato negato”, ha spiegato il grillino Luigi Di Maio. “Entro 48 ore le casse dei partiti saranno rimpinguate con i soldi dei cittadini. Una notazione speciale va alla Lega Nord che da una parte annuncia battaglia alla legge Boccadutri, dall’altra intasca i soldi come tutti gli altri”, aggiunge il neo capogruppo M5S alla Camera Davide Crippa. Ricordando anche che solo i grillini hanno rinunciato finora a rimborsi elettorali per 42 milioni di euro. Insomma, come già accaduto nel 1993, sembra che la politica proprio non riesca a rispettare le leggi che tagliano il finanziamento pubblico.