Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2015
I problemi del Venezuela (e di Maduro)
Petrolio ai minimi, inflazione ai massimi. Negozi vuoti, piazze piene. È questa la fotografia del Venezuela di Nicolas Maduro, presidente in carica di un Paese sprofondato in una crisi senza fine.
L’opposizione conservatrice ha stravinto, ottenendo i due terzi dei seggi alle elezioni legislative di domenica. La grande incognita riguarda la stabilità del Paese: sarà una transizione tranquilla o violenta? Il prezzo del petrolio risalirà? Le attuali quotazioni (sotto i 40 dollari al barile) consentono effettivi spazi di manovra nella politica economica del Paese? Domande aperte che non stemperano i timori di una crisi dilatata nel tempo.
Il governo in carica è stato bocciato senza appello: le ultime decine di migliaia di schede scrutinate confermano la forza antagonista dei conservatori che ottengono 112 seggi su 167 del Parlamento. Che sarà teatro di scontri politici molto accesi, dato che il presidente Maduro resterà in carica per altri 3 anni.
I 112 seggi in Parlamento consentono all’opposizione di approvare leggi in modo autonomo, bypassando l’esecutivo, e permettono la convocazione di un referendum per porre fine al mandato di Maduro. L’opposizione, guidata da Jesus Torrealba, chiede al governo l’adozione di misure economiche e sociali di emergenza.
Le prime decisioni di Maduro sembrano improntate al dialogo: «Ho chiesto al Consiglio dei ministri di presentare le dimissioni per avviare un processo di ristrutturazione, di rinnovamento e profondo rilancio di tutto il governo nazionale», ha dichiarato Maduro. E oggi il partito sarà convocato per una giornata di consultazioni con l’auspicio di «critiche e autocritiche costruttive».
Toni concilianti che però non leniscono i disagi dei venezuelani, stremati da un’inflazione superiore al 100% annuo, da un’economia petrolio-dipendente, incapace di generare redditi e occupazione al di là del perimetro energetico. Il Pil del 2015 subirà una contrazione del 10% rispetto al 2014. Il controllo dei cambi e la continua svalutazione del bolivar (la moneta venezuelana) scoraggiano l’attività di qualsiasi attività economica. Al di là delle dichiarazioni di Maduro, per ora concilianti, desta preoccupazione la scelta politica dell’ala più dura del chavismo.
In allusione alla annunciata liberazione da parte della nuova maggioranza del leader Leopoldo Lopez, da Palacio Miraflores sono arrivate dichiarazioni durissime: non vi sarà nessuna amnistia.
Altro tema caldo è quello della gestione della comunicazione tv e radiofonica. L’esito delle elezioni politiche di domenica determina, secondo alcuni osservatori, la fine della Rivoluzione bolivariana avviata 14 anni fa dall’ex presidente Hugo Chavez, scomparso nel 2013.
Difficile fare previsioni: di certo verranno avviate riforme economiche mirate a modificare radicalmente l’impostazione statalista attuale. Troppa centralizzazione, da cui consegue burocrazia, inefficienza e corruzione. Sono stati questi gli errori imperdonabili della gestione Chavez-Maduro, anche se è il crollo del prezzo del greggio il primo responsabile dell’aggravamento della recessione.
Il lascito di Chavez è un’eredità populista ma anche popolare difficile da smantellare: la consapevolezza, per grandi masse di poveri, di aver acquisito, nel 2000, elementari diritti di cittadinanza.