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 2015  dicembre 10 Giovedì calendario

Aspettando che la Yellen alzi i tassi

Non c’è un solo banchiere centrale al mondo che nei prossimi giorni possa, non dico riposare tranquillo, ma nemmeno star sveglio senza danzare con i fantasmi. Man mano che ci si avvicina all’ultima riunione annuale del comitato della Federal Reserve cresce l’attesa per le conseguenze sulle economie emergenti e in particolare sulla Cina di quello che sarebbe il primo aumento dei tassi di interesse americani da otto anni. La risposta è che i rischi finanziari sono elevati e le risorse per controllarli non sono infinite, ma la volontà politica di tenere tali rischi sotto controllo è incoraggiante.
Come detto i rischi sono significativi e le risorse non infinite. Ieri il renminbi è tornato al minimo contro il dollaro raggiunto dopo la sorprendente svalutazione dell’agosto scorso. Gli investitori stanno vendendo titoli denominati in valuta cinese per proteggersi dal deprezzamento, man mano che la Banca di Cina usa le proprie riserve valutarie per vendere dollari e così controllare il calo della moneta nazionale. L’uscita di capitali dalla Cina, proseguita per quasi tutto il 2015, alimenta il timore che le riserve, pur gigantesche, possano ridursi troppo rapidamente per consentire alla Banca di Cina di ammortizzare ancora a lungo l’instabilità finanziaria provocata dalla divergenza tra un rialzo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti e le condizioni monetarie invece accomodanti, necessarie all’economia cinese in rallentamento.
Nei giorni scorsi, la Banca dei regolamenti internazionali aveva definito la situazione sui mercati finanziari globali una «fragile calma». È in effetti una calma ingannevole. Nelle economie emergenti si sta sviluppando una sensibilità senza precedenti dei rendimenti in moneta locale alle variazioni dei rendimenti delle obbligazioni americane. Significa che da alcuni mesi i rendimenti in moneta locale delle economie emergenti salgono più che in proporzione agli aumenti dei rendimenti di mercato americani. Le ripercussioni di un rialzo dei tassi americani sulla stabilità finanziaria nelle economie emergenti possono dunque essere imponenti.
Negli ultimi anni le buone prospettive di crescita in Cina e in alcuni altri paesi si sono accompagnate con un forte aumento dei debiti, dovuto anche a tassi d’interesse molto bassi in tutto il sistema finanziario globale. Nei soli ultimi cinque anni il credito è aumentato di un quarto rispetto al pil nella media dei paesi emergenti più grandi. Nonostante i tassi d’interesse fossero bassi, i volumi di indebitamento crescente delle famiglie e delle imprese hanno fatto aumentare oltre la media gli oneri totali per il servizio dei debiti. Se i tassi d’interesse aumentassero, crescerebbero anche i rischi di crisi debitoria.
Ma qual è l’interesse delle autorità cinesi? Dopo la svalutazione a sorpresa di quest’estate gli investitori temono che le autorità cinesi possano ricorrere a nuovi deprezzamenti del cambio per recuperare un po’ di crescita attraverso l’export, anziché lasciar fallire le imprese che non riescono a sopravvivere con un cambio stabile. Questa strategia potrebbe essere d’aiuto nella lotta globale contro la deflazione, ma trasmette incertezza a tutte le economie emergenti che competono o commerciano sugli stessi mercati dei produttori cinesi. Il risultato è di acuire ancor più le tensioni man mano che cresce la divergenza tra le politiche monetarie delle diverse aree del mondo.
È possibile tuttavia che gli investitori interpretino nel modo sbagliato gli obiettivi delle autorità cinesi. L’interesse di Pechino è infatti quello di accettare la trasformazione dell’economia cinese da fabbrica globale a struttura più bilanciata sui servizi. In termini reali l’economia reale cinese è 2,5 volte più grande di dieci anni fa e conta tuttora per un terzo della crescita economica globale. Ma, come ha sottolineato di recente Ben Bernanke, dopo aver spinto agli eccessi gli investimenti e l’export, la leadership cinese punta ora sullo sviluppo dei servizi, commercio, salute, istruzione, finanza e trasporti, spesso attraverso piccole imprese disciplinate dai mercati, anziché dai piani di partito.
I servizi contano ancora solo per metà dell’economia cinese contro l’80% dell’economia americana. Nel terziario la produttività cresce più lentamente e quindi l’intera economia non avrà più tassi di sviluppo esorbitanti. Ma sarà anche meno dipendente dall’export e da un eccesso di investimenti di lunga durata. Quindi il modello di sviluppo futuro della Cina dipenderà meno di prima da condizioni monetarie eccessivamente generose.
Lo sviluppo di una classe media anche in Cina richiederà anzi condizioni economiche stabili in modo che le famiglie sentano meno la necessità di accumulare risparmi e di più la possibilità di consumare.
Il fatto che di recente il Fondo monetario abbia incluso il renminbi nel paniere dei diritti speciali di prelievo è un riconoscimento alla ricerca di maggiore stabilità economica e finanziaria da parte di Pechino. Naturalmente non c’è garanzia che la razionalità del disegno politico prevalga sulla furia o la paura dei mercati. Ma gli ultimi mesi, in particolare se paragonati con l’analogo periodo del 2013 (il cosiddetto taper tantrum) in cui si attendeva l’inversione dei tassi americani, fanno pensare che anche le crisi possano essere riassorbite in tempi più rapidi che in passato. Infatti, dopo un anno trascorso nella scomoda condizione di trattenere un terribile starnuto, anche i mercati sembrano invocare una decisione, qualunque sia, alla Signora Yellen.