La Stampa, 10 dicembre 2015
È un informatico australiano l’inventore del Bitcoin?
Un imprenditore di Sidney dalle molteplici attività – non sempre di successo; un 44enne autodidatta ed eclettico; una personalità complessa, che per anni ha vissuto nell’ombra, in bilico fra desiderio di riservatezza e riconoscimento sociale. È questo l’identikit di Craig Wright, un programmatore di Sydney che, secondo la doppia indagine di due testate americane, sarebbe niente di meno che Satoshi Nakamoto, il misterioso inventore di bitcoin. I tentativi di individuare il creatore della nota moneta digitale ormai si sprecano. E ancora sono aperte le ferite del mancato scoop di Newsweek, quando il settimanale pensò di aver scovato Nakamoto nelle vesti di un modesto ricercatore americano, scatenando una bagarre mediatica che si risolse in un buco nell’acqua. Questa volta però le due testate coinvolte – Wired e Gizmodo – hanno raccolto in modo indipendente una grande quantità di indizi. Manca, come sempre, la pistola fumante, la prova provata che Wright sia davvero Nakamoto. Ma gli indizi sono tanti e tali da dover considerare principalmente due ipotesi: che questa volta Nakamoto sia stato effettivamente trovato; oppure, che qualcuno abbia messo in piedi un elaborato inganno, fatto di documenti falsi, mail contraffatte, testimoni complici (o a loro volta ingannati).
Tra gli indizi raccolti dai giornalisti ci sono ad esempio una serie di email di Wright, anche di anni fa – passate alla stampa da una fonte anonima, un hacker che le avrebbe sottratte allo stesso Wright – in cui l’australiano dice di essere Nakamoto o l’inventore di bitcoin. Ci sono mail che mostrano come l’australiano nel 2014 abbia usato un indirizzo – satoshi@vistomail.com – utilizzato in precedenza da Nakamoto. Ci sono post sul suo blog datati 2008 che alludono al paper fondativo di bitcoin pubblicato dopo. Ma soprattutto c’è un documento che mostra come nel 2013 Wright abbia investito in una start-up l’equivalente di 23 milioni di dollari in bitcoin: all’epoca quella cifra rappresentava l’1,5 per cento della moneta digitale. E poi, ancora, Wright avrebbe costituito un fondo contenente 1,1 milioni di bitcoin, insieme a un amico e collaboratore, l’americano Dave Kleiman. Una cifra che si avvicina al “tesoretto” accumulato da Nakamoto. A dire il vero è proprio la figura di Kleiman – genio dell’informatica, costretto su una sedia a rotelle e morto nel 2013 – che alla fine dell’indagine giornalistica emerge, anche psicologicamente, come un possibile Satoshi. Se i documenti sono autentici, lo pseudonimo di Nakamoto avrebbe dunque coperto lo sforzo congiunto di Kleiman, di Wright e forse anche di altri. Restano molti interrogativi: chi e perché avrebbe smascherato Wright? La comunità dei bitcoiner era ieri molto cauta, se non scettica. Interessante anche la reazione della polizia australiana, che ieri ha perquisito la casa di Wright, anche se ha negato un collegamento con le notizie uscite sui giornali.
Del resto la tesi che bitcoin sia stato inventato da più di una persona è sempre stata la più accreditata. Ora, almeno due di quelle persone – Wright e Kleiman – sarebbero state individuate. Ma una appare quanto meno contraddittoria; e l’altra non può più parlare.