la Repubblica, 10 dicembre 2015
Rinascere uccidendo il Padrino. Francis Ford Coppola racconta
«I am Francis and I come from Napa Valley». Coppola si presenta con una disponibilità insolita rispetto al burbero atteggiamento degli incontri degli ultimi anni. «Ho attraversato momenti difficili, ho fatto cose stupide ma ora sto bene. Vivere in campagna, tra il verde, gli animali, i silenzi, i profili delle montagne ti riporta la serenità. La natura è più efficace di ogni medicina» dice il regista che per la terza volta al Festival di Marrakech (XV edizione) è presidente della giuria internazionale – per l’Italia c’è Sergio Castellitto. «Non vado pazzo per i festival ma qui è diverso, non c’è un mercato, non c’è l’affanno di chi compra e vende, non c’è un giornalismo maligno e agguerrito, felice quando può stroncare un film e un autore, come succede altrove. E amo il Marocco, la sua gente, il suo cibo, la cultura araba».
I film degli ultimi anni appartengono ai momenti difficili?
«Ho fatto tre film molto personali, consapevole della scarsa possibilità di successo ma li ho fatti volutamente, come se volessi uccidere Coppola che ha fatto Il padrino. Sapevo di non poter più fare blockbuster come quello. Come uno studente sono andato da solo in Romania e Argentina per raccontare piccole storie: una specie di rinascita. Adesso sto cercando un’altra rinascita con un progetto molto ambizioso».
Che cosa racconterà?
«Forse sarà l’ultimo film che farò ma sarà molto lungo, il titolo è Distant vision. Non un film in cui insaccare tutto, come tanti film-salsiccia di oggi. È la storia di tre generazioni di una famiglia di emigrati italiani a New York, un modello è I Buddenbrook di Thomas Mann. In Distant vision il racconto comincia con l’arrivo della televisione e poi lo sviluppo delle nuove tecnologie. Sarà ripreso dal vivo con decine di telecamere in movimento, in diretta come in teatro».
Sarà per il cinema o per la tv?
«Non c’è più differenza fra cinema e tv. Puoi avere in casa uno schermo grande e vedi I Soprano come un film di venti ore. Tra qualche anno i metodi tradizionali di distribuzione non esisteranno più, si potrà scegliere come e dove vedere quel che si vuole».
E dunque com’è il futuro del cinema?
«Non morirà mai, come la letteratura, è impensabile un mondo in cui non si raccontano storie. È importante sperimentare, altrimenti saremmo fermi al muto, ma è dura perché esperimento significa rischio e l’industria non ama rischiare. Un autore che non rischia fa film senz’anima. Da giovane dicevo che fare un film senza rischiare è come far nascere un bambino senza fare sesso. Quando mi chiedevano com’ero riuscito a fare un film come Il padrino, di successo popolare e apprezzato dai critici, rispondevo “ho rischiato”».
Si è chiesto le ragioni del successo di “Il padrino”?
«Penso che fosse la giusta combinazione della storia scritta da Mario Puzo e la mia conoscenza dei comportamenti di una famiglia italiana, che ne ha fatto anche un film personale. La presenza di attori mai visti, Marlon Brando in una versione nuova, la fotografia, la musica meravigliosa, i dialoghi. Le battute celebri, come “Solo i veri amici possono tradire” o “Un’offerta che non si può rifiutare”, Puzo diceva che venivano da sua madre. Il pubblico ama gli eroi negativi, Corleone suscita simpatia perché non lo vedi mentre commette crimini. Se lo avessero visto mentre uccide, non sarebbe stato così amato».
Un “Padrino 4”?
«Impossibile. Puzo non c’è più e la storia della famiglia si è conclusa con la trilogia, che pure avevo esitato ad accettare. Non rinnego nulla, non sarei nella mia posizione di oggi se non fosse per Il padrino ma non mi piace la tendenza a tornare sullo stesso film con i prequel o i sequel. Ora l’ennesimo Star wars, mi dispiace che il mio amico George Lucas si sia incastrato nella trappola della produzione. Mi auguro che faccia tanti soldi, che ne esca fuori e faccia un altro film».
Lei si considera sempre un outsider?
«Sempre di più. Conosco molti attori e registi ma non conosco più tutti quelli del business. Il piacere di fare un film era sempre rovinato dall’ansia, la paura dell’insuccesso, di non avere soldi per un altro film. I soldi guadagnati nel cinema li ho investiti nel vino, un business che funziona in tutto il mondo, guadagno di più che con i film. Pensare che da giovane non bevevo. Ora vivo in campagna come un nonno, ma un nonno con molti soldi».
In apertura del festival lei ha citato il Corano e parlato dell’Islam come di una “beautiful religion”.
«Sono arrabbiato con molti media che, in questa situazione delicata, citano il Corano in modo scorretto. Io l’ho letto, chi lo conosce sa che parla di un Dio misericordioso, di una religione della benevolenza e non della collera, una religione che nel XIII secolo è stata al centro della grande civiltà araba».
Non vorrebbe girare un film in Medio Oriente?
««Il mio interesse per questa parte del mondo è parte della mia educazione, mia nonna era nata a Tunisi, parlava l’arabo, il francese, l’italiano, ho sempre amato la storia di questi paesi, ma è un interesse personale, non per un film. Ma se dovessi fare un film con un messaggio di pace sarebbe molto piccolo, racconterei la storia di una famiglia che si prepara a celebrare il matrimonio di una figlia, le trepidazioni per la festa, i nervosismi, l’ansia per la riuscita. Non ci sarebbe nessuno che spara. Un film sulla pace non deve mostrare la violenza ma raccontare la normalità della vita, le gioie e i dolori della gente comune».