La Stampa, 10 dicembre 2015
Il prezzo basso del petrolio fa crescere il Pil
Forse ce ne accorgiamo di meno, rispetto al passato, perché ne usiamo di meno. Ma il prezzo del petrolio basso ci ha aiutato già e ci aiuterà ancora. La Banca d’Italia aveva già stimato che il barile di greggio a 60 dollari ci dava 0,2 punti di prodotto lordo in più in ragione annua; se resterà sui 40 com’è adesso (e pare che possa durare) potrebbe venirne facilmente un altro 0,1%.
Il Centro studi della Confindustria dà una cifra più alta, +0,6%. Eppure sembra che la collettività nazionale stenti a rallegrarsene. L’alta tassazione fa sì che il prezzo della benzina alla pompa non sia calato gran che, ma questo è un problema di tutta Europa, non solo nostro. Mentre, se si guarda alla struttura dell’economia, i vantaggi risultano maggiori per noi che per la Germania o la Francia.
Non usiamo più tanto petrolio quanto ne usavamo prima. Abbiamo imparato a risparmiarlo. Nei 42 anni dalla prima crisi energetica sono avvenute trasformazioni enormi. Allora, nel 1973, il 75% dell’energia utilizzata in Italia veniva prodotta bruciando 103 milioni di tonnellate di petrolio all’anno. Oggi con meno di sessanta milioni di tonnellate copriamo il 35% del fabbisogno.
Eravamo abituati a vedere la bolletta della luce appesantirsi o alleggerirsi a seconda delle quotazioni del greggio. Non più. Ora la produzione di elettricità dipende ancora abbastanza dagli idrocarburi, ma si tratta di metano, il cui prezzo va per conto proprio (è calato assai meno).
E ahinoi, almeno un quarto della bolletta va in incentivi alle energie rinnovabili, imposti per svincolarsi dal petrolio.
Non tutti, poi traiamo vantaggi dai carburanti che costano meno. Benché circolino in Italia 60 auto ogni cento persone (uno dei valori più alti al mondo), secondo i calcoli di due economisti della Banca d’Italia, Ivan Faiella e Alessandro Mistretta, un terzo delle famiglie non acquista benzina o gasolio. Siamo un Paese di anziani, e gli anziani non hanno più l’auto oppure non la usano.
Insomma quello che banalmente si continua a definire l’oro nero non è più tanto importante nelle nostre vite. E forse ai prezzi che possono anche calare in questi tempi ci abbiamo fatto il callo, mentre prima era un evento rarissimo. Inoltre l’inflazione zero, causata anche dal petrolio, sminuisce l’effetto espansivo dei tassi di interesse bassissimi stabiliti dalla Banca centrale europea.
Ma se restiamo a ciò che meglio si conosce del funzionamento dell’economia, l’Italia risulta avvantaggiata rispetto agli altri grandi Paesi europei, perché non ha (quasi) pozzi e ha una importante industria manifatturiera che consuma assai. Nell’insieme del mondo, beneficiano soprattutto i Paesi poveri; il Fmi aveva già calcolato un effetto medio fino a +0,7%.
La novità degli ultimi tempi non è soltanto che il prezzo del greggio è calato ancora; è che i più prevedono che resterà basso a lungo. L’Arabia Saudita ha probabilmente perso la sua battaglia: lasciando cadere le quotazioni sperava di buttar fuori dal mercato i produttori Usa che usano la nuova tecnica del fracking. Non solo non ci è riuscita, ma l’arma sembra esserle scappata di mano.
Sugli effetti strategici, corrono ipotesi contrastanti. Scarso guadagno dal petrolio per lungo tempo indebolirà sia la Russia sia le forze islamiche; meno spesa per l’energia rafforzerà Cina e India. Dal lato opposto, la crescente autonomia energetica degli Stati Uniti li renderà meno interessati alla stabilità politica del Medio Oriente, con rischi per l’Europa.