Corriere della Sera, 10 dicembre 2015
Identificato il terzo terrorista del Bataclan. Decisivo un sms inviato alla madre
«Tuo figlio è morto da martire il 13 novembre con i suoi fratelli». Non ci sarebbero mai arrivati. Ci è voluto un sms tremendo e pietoso al tempo stesso, una moglie che dalla Siria dice a una madre di non cercare più il figlio, di non spedirgli più soldi per indurlo a tornare a casa, il suo destino si è compiuto.
Il messaggio è stato inviato il 30 novembre. La madre di Foued Mohamed-Aggad vive da anni in Marocco, separata dal marito rimasto in Francia. Per quattro giorni la donna ha provato a richiamare. Nessuna risposta. Allora ha chiamato un avvocato a Parigi, gli ha chiesto di girare l’informazione agli inquirenti. Il 9 dicembre ha saputo, lei e tutti gli altri che dalla sera di venerdì 13 novembre cercano di ricomporre il mosaico di una strage. Quel ragazzo di 23 anni che fino al 2013 vagheggiava su Facebook di poter guidare un giorno una Lamborghini e passava il suo tempo a guardare le partite di calcio nei bar, è il terzo uomo del Bataclan, quello che sparava dalla balconata e si è fatto saltare in aria nell’atrio dell’ingresso del locale. Anche lui, come e più degli altri, non è certo uno sconosciuto.
Erano diventati famosi, tutti. Per i media erano «la banda di Strasburgo». Dieci ragazzi, dieci amici. Venivano da quelli che l’intelligence francese chiama con un eufemismo «quartieri sensibili», il Neuhof, la Meinau. Andavano spesso oltreconfine, in Germania, in un locale arabo di Kehl, dall’altra parte del Reno. Erano diventati amici di Mourad Farès, predicatore itinerante e reclutatore, l’ennesimo di questa vicenda. Nel giro di pochi mesi sono partiti tutti per la Siria. Era il dicembre del 2013. Alcuni si credevano in missione umanitaria, altri volevano raggiungere l’Isis. Due di loro sono morti quasi subito, uccisi dall’esercito siriano a un posto di blocco. Gli altri sono ripartiti dopo poche settimane, alcuni hanno raccontato delle torture e delle umiliazioni subìte dai miliziani del Califfato, tutti sono finiti in carcere, compreso Karim, il fratello maggiore di Foued.
Lui è l’unico a non essere tornato indietro. Nell’aprile del 2014 ha postato le sue foto con la bandana dell’Isis. Sorrideva. Alla madre e alla sorella scriveva spesso di voler morire da kamikaze, ma in Iraq. Anche lui era stato etichettato dalle autorità con la «S» che indica i soggetti radicalizzati in odore di jihad. Forse il problema è che ce ne sono diciassettemila, secondo le ultime stime. Ma il risultato è che la scoperta dell’identità del terzo uomo segna l’ennesima sconfitta dei servizi segreti francesi, che solo ora scoprono come anche Mohamed-Aggad fosse tornato in patria.
Adesso sappiamo che il commando del Bataclan era composto per intero da terroristi francesi. Quello che ha colpito nei ristoranti invece era in prevalenza di nazionalità belga. Ne facevano parte Abdellhamid Abaoud, la mente degli attentati, l’unico che avrebbe dovuto sopravvivere, Brahim Abdeslam, il fratello del grande latitante Salah, e forse anche quest’ultimo, se fanno fede le testimonianze di alcuni superstiti. Nati a Molenbeek, alla periferia di Bruxelles, vicini di casa, cresciuti nella stessa via, la rue du Prado.
Di sicuro c’è che Salah ha condotto allo Stade de France i tre terroristi in missione per una ecatombe durante Francia-Germania. L’unico gruppo misto, almeno in apparenza, composto da Bilal Hadzi, francese nato in un’altra banlieue belga, da un cittadino siriano, così sembra dal passaporto ritrovato accanto al suo corpo, e da Ahmed al Mohmod, un perfetto sconosciuto a tutte le Polizie europee del quale si conosce solo il nome. Ci deve pur essere una logica, anche nei massacri. Solo che è difficile da trovare.