Corriere della Sera, 10 dicembre 2015
In Francia pensano di creare una loro Guantanamo dove rinchiudere i terroristi
Un centro di internamento per migliaia di sospetti islamisti non ancora condannati? Il governo francese sembra non escludere l’idea, a giudicare dal parere di costituzionalità chiesto al Consiglio di Stato.
In Francia sono schedate con la lettera «S» le persone sottoposte a controlli «per prevenire minacce gravi alla sicurezza pubblica o alla protezione dello Stato, qualora delle informazioni o degli indizi reali siano stati raccolti a loro carico». Si tratta in totale di circa 20 mila persone (compresi estremisti di destra o antagonisti di sinistra), delle quali 10 mila sono sospettate di islamismo radicale e vicinanza agli ambienti jihadisti.
Il governo si è rivolto al Consiglio di Stato con questa domanda: «Può la legge autorizzare una privazione di libertà degli interessati a titolo preventivo e prevedere la loro detenzione in centri previsti a questo scopo?».
In sostanza, si legge nel documento diffuso ieri dal sito Lundi Matin, l’ufficio del primo ministro Manuel Valls sonda l’ipotesi di costituire dei centri di internamento preventivo per islamisti, giudicati in grado di commettere un giorno attentati terroristici in Francia.
In gran parte dei casi gli «schedati S» sono musulmani incensurati ma sospettati a vario titolo: perché magari hanno effettuato viaggi in Siria, Yemen o in altri Paesi del Medio Oriente, o anche solamente perché a un certo punto delle loro vite si sono lasciati crescere la barba, giudicato un segno di radicalizzazione.
Il testo precisa che l’obiettivo è «accrescere la sorveglianza di individui conosciuti dai servizi di polizia che presentano degli indizi di pericolosità, in particolare le persone oggetto di una scheda S». Si vorrebbe evitare quel che è successo già troppe volte, e cioè che uno schedato S possa comunque entrare in azione e uccidere: erano schedati Mohamed Merah a Tolosa nel 2012, i fratelli Kouachi e Coulibaly a gennaio di quest’anno, l’attentatore del Thalys e i kamikaze del Bataclan il 13 novembre.
L’ipotesi di uno o più centri di detenzione preventiva per migliaia di cittadini sospetti ma non ancora condannati va al di là della realtà di Guantanamo, il campo di prigionia nella base di Cuba dove gli Stati Uniti tengono rinchiusi «combattenti illegali» ma non cittadini americani.
Il documento del primo ministro ha suscitato emozione in Francia, riaprendo la questione dell’equilibrio tra tutela delle libertà e lotta al terrorismo, un dibattito che era passato un po’ in secondo piano con le elezioni regionali e l’affermazione del Front National.
Il direttore del giornale online Mediapart, Edwy Plenel, ha parlato subito di «macchina infernale dello stato di emergenza», e il governo si è sentito in dovere di fare marcia indietro. Il documento è vero e nessuno lo contesta, ma secondo l’ufficio del primo ministro si tratta dell’adempimento di una promessa fatta dal presidente Hollande in occasione del suo discorso solenne al Congresso riunito a Versailles il 16 novembre, tre giorni dopo gli attentati.
Hollande annunciò che, in uno spirito di unità nazionale, avrebbe valutato anche le proposte dell’opposizione e le avrebbe sottoposte al vaglio del Consiglio di Stato. In quei giorni Laurent Wauquiez, esponente di spicco dei Républicains di Sarkozy, chiedeva appunto la creazione di un campo di internamento per gli «schedati S».
Il governo socialista adesso sembra preoccupato di prendere le distanze da un’idea di dubbia legalità, ma avrebbe potuto farlo subito. Coinvolgere il Consiglio di Stato appare come un modo per tastare il terreno, e non escludere a priori alcuno strumento nella lotta al terrorismo.