D di Repubblica, 5 dicembre 2015
Gli over 60 americani ingoiano sette pillole al giorno. Troppe per stare bene
Usciamo dallo studio del medico brandendo il foglietto miracoloso: la ricetta. Un’altra pillola, possibilmente con una “x”, una “y” nel nome scelto dalla sezione marketing della casa farmaceutica soltanto perché suona bene, senza nessuna relazione con l’impronunciabile principio attivo, si aggiungerà all’armamentario che dovremo ingerire ogni giorno. A digiuno, prima dei pasti, dopo i pasti, prima di dormire, al risveglio o quando ce ne ricordiamo, per inseguire il sogno della salute e della lunga vita.
Sono in media sette al giorno i farmaci da ricetta che un americano over 60 inghiotte regolarmente, uno ogni tre ore e mezza, senza contare integratori, estratti, tisane, erbette assunte volontariamente, su consiglio di un’amica, di un imbonitore visto in tv o scoperto in Internet. Troppe, a volte, perché il paziente se ne ricordi. O perché le accetti.
I medici lamentano che i loro pazienti non seguono le istruzioni e fanno di testa loro, magari rischiando la vita. Nel sito di social medicine kevinmd.com, dove professionisti della sanità riportano le loro esperienze firmandosi con nome, cognome e titolo, la dottoressa Valerie Jones racconta di una paziente che era afflitta da uno dei problemi più diffusi, l’ipertensione.
Le aveva ordinato un diuretico a basso dosaggio, ma i controlli successivi non avevano indicato alcun miglioramento. Le aveva allora aumentato la dose, di nuovo senza abbassamenti di pressione. E di nuovo, cambiando farmaco e accrescendo dosaggio.
Fu quando la signora restò vedova e il figlio si trasferì da lei per aiutarla, che il mistero venne risolto: aveva cassetti pieni di flaconi del diuretico intatti, che mai aveva inghiottito. Diligentemente, il figlio la obbligò a prenderli e la donna finì al pronto soccorso violentemente disidrata: la dose altissima e non necessaria l’aveva, scrive la dottoressa, «rinsecchita come un chicco di uva passa».
I medici americani firmano 4,3 miliardi di ricette all’anno, e i consumatori spendono quasi quattrocento miliardi di dollari per acquistarle e ormai molti medici cominciano a dubitare della efficacia di questa valanga di pillole riversate su persone di ogni età e dei rischi che oltrepassano i benefici.
«Ascoltiamo di più i pazienti e meno le statistiche», invitano molti giovani medici spaventati dal numero di anziani ricoverati d’urgenza con fratture spesso gravi che risultano provocate da vertigini, effetto secondario di troppe medicine.
Racconta un altro di questo dottori che cominciano a dubitare della saggezza di bombardare i loro pazienti per controllare condizioni e disturbi cronici non gravi, di una donna con una lieve ipertensione arteriosa che rifiutò la sua ricetta per il solito diuretico. «Senta, dottore», gli disse, «mi trovano la pressione alta da quando avevo 40 anni e ogni volta che mi si abbassa, comincio a vacillare e a perdere l’equilibrio. Ho 81 anni e ho più paura di cadere che di avere un colpo». Il medico le diede ragione.
Si allarga, senza che le facoltà di Medicina lo approvino o lo insegnino, un movimento spontaneo fra i medici della nuova generazione per prescrivere meno farmaci o per tentare, nei limiti della sicurezza, di eliminare quelli già assunti da anni. E scoprire che le condizioni generali del paziente non soltanto non peggiorano, ma migliorano, avendo risparmiato a loro i sempre imprevedibili effetti incrociati dei cocktail di pillole.
Cercano di capire quanta roba in meno e non quanta in più gli assistiti possano ingerire, dicono, curando per sottrazione e non per addizione. E sarebbe una piccola rivoluzione anche finanziaria, perché il conto di quei 4 miliardi di ricette aumenta di 50 miliardi di dollari all’anno e sta sfondando sia il borsellino dell’assicurazione pubblica che quello dei privati. Siamo un popolo di ipermedicati: il 70% degli americani prende almeno un medicinale da ricetta al giorno. Serve urgentemente una pillola per disintossicarci.