Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2015
Petrolio in caduta libera. Il barile sta sotto i 38 dollari
Inizio settimana all’insegna dei forti ribassi sui mercati petroliferi. A pesare sui prezzi, che in dodici mesi hanno perso oltre il 35% e che sono scesi ai minimida quasi sette anni, è sempre l’ampiezza dell’offerta, accompagnata da una crescita della domanda inferiore alle attese, da scorte mondiali elevatissime e dall’incapacità di reazione dei produttori che non vogliono (o non possono) ridurre le estrazioni. Basti pensare che venerdì si è chiuso a Vienna il vertice Opec – il cartello dei Paesi esportatori – dove è stato deciso di lasciare invariate le estrazioni a 30 milioni di barili al giorno (si veda Il Sole 24 Ore di sabato 5 dicembre). L’Opec, che copre circa il 35% della produzione mondiale, sembra quindi aver attualmente smarrito la propria capacità di dettare la direzione dei prezzi.
Così, in assenza di un taglio produttivo da parte del cartello, il barile continua a cedere terreno. Basti pensare che ieri il Brent – il greggio di riferimento dei mercati europei – durante la seduta ha toccato un minimo di 40,60 dollari al barile, oltre il 6% in meno di venerdì; andamento simile per il nordamericano Wti, che ieri ha lasciato sul parterre quasi il 6% per avvicinarsi a quota 37,5 dollari. E le prospettive per una ripresa, almeno per il breve-medio periodo, non appaiono delle migliori, tanto che qualcuno (gli analisti della Caprock Risk Management, nel Maryland) parlano per il Wti di possibili nuove cadute anche fino a 32 dollari. E questo anche in vista della ripresa dell’export iraniano una volta cadute definitivamente le sanzioni internazionali.
Quanto al futuro del settore, giusto ieri a Doha (Qatar), durante l’International Petroleum Technology Conference i responsabili di alcune major hanno rilasciato previsioni non del tutto incoraggianti. «La produzione mondiale sta crescendo più rapidamente della domanda e questo trend difficilmente potrà invertirsi durante il prossimo anno». Lo ha dichiarato ieri Patrick Pouyanne, il ceo della Total, ricordando che «il mercato attualmente è in surplus e la capacità di estrazione continuerà a salire a sulla scia di investimenti avviati nel 2013 e nel 2014». La maggior parte di questi progetti diventerà operativa tra il 2016 e il 2018. Solo per quest’anno la produzione mondiale di greggio e condensati viene indicata in crescita di 1,7-1,8 milioni di barili al giorno rispetto al 2014 (è uno dei maggiori incrementi degli ultimi venti anni). Per questo «non prevediamo una ripresa dei prezzi nel 2016».«Dobbiamo quindi riuscire a superare questa fase contenendo al massimo le spese – ha aggiunto Pouyenne – in vista della maggior produzione in arrivo..... Il mio lavoro è assicurare la possibilità di fare utili qualunque sia il prezzo del greggio e la risposta corretta alla quale Total sta lavorando è quella di abbassare il punto di pareggio del gruppo».
Da notare comunque che un leggero rallentamento delle estrazioni dovrebbe registrarsi durante il prossimo anno nei Paesi dell’Ocse, grazie al calo della produzione di shale oil negli Usa. L’estrazione di petrolio non convenzionale è caratterizzata da costi produttivi decisamente elevati ai prezzi di vendita attuali molti produttori del comparto, nonostante molti recuperi di efficienza, non riescono a sopravvivere.
Leggermente più ottimistiche sono le previsioni – sempre rilasciate ieri a Doha – di altri due big, ConocoPhillips e Saudi Aramco (Arabia Saudita), che si attendono una leggera ripesa dei prezzi nel 2016 proprio grazie alla minore offerta di shale oil da parte degli Usa. «La produzione americana di greggio non convenzionale è in calo – ha Ryan Lance, ceo di ConocoPhillips -. Negli ultimi mesi è già scesa di circa 500mila bg, e altri 500mila potrebbero essere sottratti al mercato l’anno prossimo. Questo, Secondo Amin Asser, ceo di Saudi Aramco, assieme alla ripresa in atto nella domanda mondiale, dovrebbe dare il via nel 2016 a un processo di riequilibrio del mercato.