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 2015  dicembre 09 Mercoledì calendario

L’Italia, il mercato delle armi e la lotta al terrorismo

Dopo alcuni anni di disattenzione, le esportazioni italiane di equipaggiamenti militari, in particolare verso il Medio Oriente, sono tornate a richiamare una certa attenzione. Ma, come per il passato, questo sta avvenendo sulla base di informazioni parziali, confuse e difficilmente verificabili perché, nonostante le centinaia di pagine e le migliaia di dati forniti della relazione annuale del Governo al Parlamento, manca un chiaro quadro di sintesi che chiarisca in quali settori e verso quali paesi vanno le esportazioni italiane. Lo stesso Parlamento nell’unica occasione in cui dieci anni fa l’ha seriamente discussa, ha stigmatizzato la scarsa chiarezza dei dati forniti. Nel dibattito spesso si confondono le “autorizzazioni” ad esportare (che possono svilupparsi su più anni e con un certo ritardo temporale) con le “esportazioni effettuate” che misurano le movimentazioni. Ancora peggio è per i programmi di collaborazione internazionale perché la relazione italiana registra le parti realizzate in Italia come prodotti “esportati”, ma in realtà la vera esportazione la fa un altro: ad esempio, gli Eurofighter venduti all’Arabia Saudita sono realizzati ed esportati dal Regno Unito, anche se poi sono contabilizzati parzialmente nei dati italiani. 
L’Italia ha un ruolo limitato nel mercato degli armamenti: in quest’ultimo decennio siamo oscillati fra l’ottavo e il nono posto con una quota fra il 2 e il 3% del mercato, quindi più indietro rispetto al peso della nostra produzione industriale. La media nel periodo 2010-14 è stata di 2,3 miliardi all’anno per le autorizzazioni e di 2,7 per le esportazioni effettuate, evidenziando la mancata acquisizione di nuovi contratti. Le nostre maggiori esportazioni si concentrano su addestratori, velivoli da trasporto tattico, elicotteri e veicoli ruotati blindati da trasporto. 
Non a caso ha fatto scalpore la vendita di 28 Eurofighter al Kuwait, il cui contratto dovrebbe essere firmato entro fine anno e le cui consegne cominceranno a fine decennio. È, infatti, la prima importante vendita militare italiana nella storia recente. Questa fornitura dovrebbe essere vista sul piano della nostra politica internazionale perché la politica esportativa di equipaggiamenti militari ne fa parte, come in tutti i Paesi industrializzati. L’instabilità e le minacce che caratterizzano il nuovo scenario internazionale spingono, infatti, tutti i Paesi a consolidare le loro capacità di sicurezza e difesa attraverso maggiori investimenti e un più stretto rapporto con i Paesi fornitori. Per questo gli accordi si stanno progressivamente spostando dal piano esclusivamente commerciale a quello intergovernativo che garantisce una collaborazione politica e militare (compreso l’addestramento tecnico ed operativo, il supporto logistico, il successivo aggiornamento). 
È in questa ottica che devono essere valutate anche le nostre esportazioni militari verso Nord Africa e Medio Oriente. La nostra politica ha in questo momento tre precisi obiettivi: contrastare l’ISIS e i movimenti terroristici; riportare pace e sicurezza in Siria, Iraq, Libia e Yemen; consolidare i Paesi dell’area (anche per coinvolgerli direttamente nella ricostruzione della stabilità dell’intera regione). Qualcuno sostiene che questi sono Paesi in guerra e che la nostra normativa li escluderebbe di conseguenza dal poter essere destinatari di esportazioni militari. In realtà, sul piano giuridico nessuno di questi Paesi è formalmente in una condizione di “conflitto armato” che presuppone lo scontro fra due o più stati e che, comunque, deve essere valutato alla luce del diritto alla difesa, riconosciuto dall’Onu, e degli obblighi internazionali. La legge italiana, pensata prima della caduta del Muro di Berlino, non ha potuto tener conto dei moderni conflitti asimmetrici e dei movimenti terroristici che attaccano militarmente. Ad esempio l’Arabia Saudita sta combattendo, in applicazione di specifiche risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e della Lega Araba, per sostenere il legittimo governo dello Yemen, spodestato da un colpo di stato. 
In questo momento il maggiore pericolo per la sicurezza è rappresentato dall’ISIS e dai gruppi terroristici affiliati. È convinzione comune che solo sconfiggendo ed eliminando questa organizzazione fanatica e terrorista, si potrà stabilizzare il Medio Oriente (affrontandone pacificamente i numerosi problemi) e si potranno contrastare i terroristi che stanno insanguinando anche il territorio europeo. Per farlo è essenziale l’intervento dei Paesi arabi perché questo è anche un conflitto religioso intra-musulmano, oltre che etnico e politico-economico. Rafforzare militarmente i Paesi a noi più vicini è, quindi, nel nostro interesse. Lo facciamo addestrandone le forze armate e di sicurezza, ma anche equipaggiandole. Sarebbe bene che chi critica l’attuale vendita degli Eurofighter al Kuwait non dimenticasse che la prima guerra del Golfo nel 1991 cominciò con la sua invasione da parte dell’Iraq di Saddam Hussein e che per liberarlo dovette intervenire una coalizione a guida americana con la partecipazione anche dell’Italia (e l’abbattimento di un nostro Tornado).