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 2015  dicembre 09 Mercoledì calendario

2016, gli esperimenti che spiegheranno l’universo

Deap e Clean. E perfino Picasso. E poi Atlas, Magic e Veritas. E anche IceCube e Admx. I fisici giocano con parole e con sigle, come se appartenessero a un linguaggio altrettanto esoterico delle loro matematiche. Navigando nel sito del team coordinato dal professor Gianfranco Bertone – https://iop.fnwi.uva.nl/grappa – è inevitabile sorprendersi. Il globo terrestre che appare è punteggiato dai bizzarri nomi di esperimenti che rimandano ad altri mondi e ad altre dimensioni. Sono molti, quei test. Coinvolgono migliaia di scienziati e tecnici, mettono in azione macchine sofisticate, a volte di dimensioni colossali. Con un obiettivo che sa di metafisica: scoprire che cosa sia la materia oscura, vale a dire la «struttura» che tiene insieme l’Universo e ce lo fa vedere così com’è.
Bertone dirige una squadra multinazionale di esplorazione e scoperta e stasera, alla Scuola Normale Superiore di Pisa, in una conferenza della serie «Vis», le «Virtual immersions in science», racconterà la sua esperienza, che è un esempio di Big Science, la megascienza del XXI secolo. Fare ricerca oggi è un’avventura globalizzata e iper-competitiva e nel caso dello studio della materia oscura ha un’ulteriore caratteristica: evoca le atmosfere del thriller. «Ci sono molti sospetti sulla scena – ironizza dal suo ufficio all’Università di Amsterdam – e intanto il nostro gruppo sta mettendo insieme i pezzi del puzzle». Poi – si spera – prenderà forma la risposta. Che può non essere lontana, anche se sarà da «brainstorming». Forse i primi lampi si manifesteranno già nel 2016.
«Ecco perché ci sono forti aspettative», rivela Bertone dal centro d’eccellenza olandese che guida e che si chiama – ennesimo nome che non si dimentica – «Grappa», acronimo di «GRavitation and AstroParticle Physics». I pezzi ai quali si riferisce è l’insieme cangiante delle equazioni teoriche e dei dati provenienti dai test, mentre il risultato finale del puzzle è proprio la materia oscura. Non l’avrebbero chiamata così se non fosse tanto elusiva. «La materia oscura, insieme con l’energia oscura, è il prezzo da pagare per riconciliare le osservazioni che si fanno sulle caratteristiche sull’Universo con le assunzioni della Relatività generale e con le sue descrizioni della gravità su larga scala – sottolinea Bertone -. È quindi un peccato che, finora, non si sia trovato nulla: dobbiamo postulare qualcosa di cui non abbiamo alcun controllo». È la ragione per cui gli esperimenti la tallonano secondo logiche diverse, ma con un identico obiettivo».
Tutti i test si stanno avvicinando al massimo delle prestazioni. Succede con la nuova fase dell’acceleratore Lhc al Cern e lo stesso con gli strumenti di rilevazione diretta e con quelli di rilevazione indiretta. «Rappresentano altrettante finestre che si aprono: se Lhc aumenterà ancora l’energia delle collisioni e potrebbe presto rivelare l’esistenza di particelle mai osservate prima, oltre il Modello Standard, Xenon 1t ai Laboratori del Gran Sasso dell’Infn accresce la sensibilità di un fattore 100, esplorando l’interazione della materia oscura con la materia ordinaria. Ulteriori test, quelli del terzo gruppo, come il satellite Fermi e il rilevatore Ams sulla Stazione Spaziale, osservano invece regioni specifiche al centro della galassia, dove avviene un processo di annichilazione: qui la materia oscura si converte in materia ordinaria, come i fotoni, vale a dire la luce». Domanda inevitabile: e se non si trovasse nulla? «In questo caso – risponde Bertone – si dovrebbe scartare un’idea nata negli Anni 80 e che ipotizza l’esistenza delle particelle “wimps”: loro sono candidate perfette per spiegare la materia oscura, risolvendo in un colpo solo sia gli enigmi della Nuova Fisica, quella, appunto, che val al di là delle conoscenze classiche, sia quelli su scala cosmologica e quindi su che cosa tenga insieme le galassie».

Se, al contrario, l’atteso «qualcosa» finalmente emergerà, vorrà dire che si sono materializzate particelle diverse da quelle già note e di conseguenza si genererà una cascata di altri interrogativi: «Quanto contribuiscono alla materia oscura? A una parte oppure a tutto? Quali sono le possibili implicazioni, oltre che le applicazioni, di queste nuove particelle?».
Che sia fatta di «wimps» o di assioni o di altro ancora, la materia oscura ci serve. Se non esistesse – conclude Bertone – «l’Universo sarebbe totalmente diverso. Vedremmo allora le stelle delle galassie “sparate” nello spazio». Ci serve nel macro e nel micro. Per giustificare il funzionamento del cosmo e allo stesso tempo per decifrare la materia: «Perché esistono bosoni e fermioni o perché la forza elettromagnetica sia diversa dalla forza di gravitazione».
Il conto alla rovescia è partito e il team di Bertone si dice pronto alla sfida di combinare i dati con le teorie. Il thriller prevede di riuscire a intrappolare il colpevole. Prima o poi.