La Stampa, 9 dicembre 2015
L’Arabia Saudita ospita un summit tra gli oppositori di Assad. E si schiera con la Turchia contro la Russia
L’Arabia Saudita forma una propria coalizione, le milizie curde progettano l’autonomia e la Russia stringe le redini delle forze filo-Assad: lo scenario tattico del conflitto siriano muta sotto l’impatto del duello strategico fra Mosca e Ankara.
Il summit di Riad
Sono oltre cento i leader sunniti siriani, militari e politici, riuniti a Riad su invito di re Salman perché l’intento dell’Arabia Saudita è, come dice il ministro Adel Al-Turaifi, «risolvere la crisi». Sulla carta l’invito è teso a formare un «blocco politico» destinato a essere protagonista della fase della transizione disegnata dalla conferenza di Vienna. Ma basta guardare alla lista degli invitati per accorgersi che c’è molto di più.
Il re sfida lo Zar
Attorno al tavolo presieduto dal ministro degli Esteri Adel Al-Jubeir siedono i rappresentati di «Ahrar al-Sham», la milizia salafita armata da Ankara che appartiene all’Esercito della conquista (Jaysh al-Fatah) nato grazie all’intesa fra re Salman e Recep Tayyp Erdogan. Sono le milizie islamiche contro cui si concentrano i raid russi. I «gruppi terroristici» che Vladimir Putin ritiene appoggiati dalla Turchia attraverso la regione di frontiera abitata dai turcomanni che il Sukhoi-24 russo stava monitorando quando è stato abbattuto dagli F16 turchi. Con l’invito ad «Ahrar al-Sham» re Salman sottolinea il sostegno a Erdogan impegnato nel duello con Putin. E sfida anche Washington, che evita di cooperare con «Ahrar al-Sham» perché la considera vicina ad Al-Nusrsa, emanazione diretta di Al Qaeda.
Coalizione sunnita
A Riad c’è anche «Jaysh al-Islam», l’Esercito dell’Islam di Zahran Alloush che opera nella provincia di Damasco, fautore di un proprio Stato Islamico. Assieme a tali gruppi fondamentalisti, Riad mette attorno al tavolo l’Alleanza del Sud, che opera nel Sud, una dozzina di alti ufficiali della Coalizione nazionale siriana, il maggior gruppo dell’opposizione filo-occidentale guidato da Khaled Khoja, i Comitati di coordinamento regionale, l’Esercito di liberazione siriano composto di disertori ed ex baathisti laici, e il movimento trasversale «Costruiamo lo Stato siriano» di Louay Hussein. Ciò significa riunire tutte le anime della costellazione sunnita in Siria, che rappresenta la maggioranza della popolazione e dunque si candida a guidare il dopo-Assad. Unica assente, Al Nusra per i legami con Al Qaeda, la cui importanza militare però si è ridotta a seguito dei raid.
Il patto fra i curdi
Riad ha scelto di non invitare i curdi sebbene il partito «Pyd» e la sua milizia armata «Ypg» siano al momento i più efficaci avversari tanto dello Stato Islamico (Isis) che del regime di Assad. È una decisione frutto del patto con Erdogan – che considera i curdi siriani una minaccia alla sicurezza nazionale – a cui i leader di «Pyd», «Ypg» e dei loro alleati nelle Forze democratiche siriane – sostenute dagli Usa – reagiscono con un contro-summit nella provincia di Haasaka per stringere un coordinamento, non solo militare ma politico, teso a gettare le basi di un’area destinata a reclamare la totale autonomia da qualsiasi esito della transizione disegnata a Vienna.
Contromossa russa
Davanti alle fazioni sunnite che si compattano, Mosca reagisce rafforzando il proprio ruolo alla guida della coalizione pro-Assad, a scapito di Teheran. Sono due gli elementi che lo suggeriscono: l’ordine dato alle forze siriane di ridurre l’indipendenza d’azione delle milizie sciite e la decisione di creare una seconda base aerea russa ad Al-Sharyat, vicino Homs, in un’area militare finora gestita da iraniani ed Hezbollah.