Corriere della Sera, 9 dicembre 2015
Sveglia all’alba, reperibilità e localizzazione. Così l’antidoping condiziona la vita degli sportivi (e dei loro partner)
«La nostra vita trascorre tra i campi di allenamento, le caserme dove dormiamo e le gare. Sapevano dove venire a controllarci, potevano evitarci quest’umiliazione». Così Fabrizio Donato, bronzo olimpico 2012 nel salto triplo, ha commentato il maxi deferimento (26 atleti) al Tribunale Antidoping che ha squassato l’atletica leggera italiana. Non per doping ma per allegra gestione dei moduli «whereabouts» con cui gli ispettori dell’antidoping localizzano gli atleti per controllarli.
«Dieci minuti ogni sera davanti al computer e il telefonino sempre carico. Stare in regola con la localizzazione è angosciante ma necessario per l’immagine del nostro sport». Elia Viviani, veronese, è pistard e ciclista di alto livello. Corre con il Team Sky ed è soggetto al più restrittivo sistema di controllo per atleti al mondo: Adams acronimo di Anti-Doping Administration & Management System. «Io faccio tutto da solo ma ci sono colleghi che ingaggiano un collaboratore solo per Adams». Nel 2011 Mark Cavendish, re dello sprint, rischiò la squalifica per una dimenticanza del suo assistente: era volato in Sicilia a girare un video ma risultava nella sua casa di Lucca. Il ghostwriter fu licenziato in tronco. Nel 2012 due dimenticanze costarono la squalifica ai francesi Baugé e Offredo. Sfuggiti a un controllo? No, il primo si allenava con la Nazionale, il secondo gareggiava. L’Unione Ciclistica Internazionale non sentì ragione: non erano dove avevano detto di essere.
Aggiornare il sistema non è uno scherzo con 100 giorni di gara, 40 di viaggi e fino a 60 di ritiri a stagione. «Adams – spiega Viviani – si compila trimestralmente ma va aggiornato continuamente. Le regole base sono due. Primo, per un’ora al giorno a tua scelta devi restare buono a casa o in albergo ad aspettare l’eventuale controllo. Molti scelgono la fascia 6/7 del mattino, quando fare pipì è più facile. Secondo, dalle 5 alle 24, allenamento a parte, non devi mai essere a più di un’ora da casa. Se arriva l’ispettore e non ci sei ti telefona tre volte. Se non rispondi o non torni entro 60 minuti, scatta il mancato controllo. Vuoi andare a fare la spesa lontano o a dormire dalla morosa? Entri nel sistema (anche con lo smartphone) e inserisci luogo e orario: vengono a controllarti lì».
Nel 2008 Damiano Cunego passò qualche brutto momento per aver invitato a cena (in un ristorante attiguo all’albergo toscano dove era in ritiro) compagni e tifosi. I controlli arrivarono alle 22, lui finì sui giornali e dovette chiarirsi col Coni, all’epoca incaricato dei test. Viviani nel 2015 ha subito sei controlli a casa, altrettanti durante i ritiri e una decina in competizione. «Sono venuti Uci, Wada e Coni. Tutto ok – spiega – ma ogni tanto ho l’angoscia di aver sbagliato a digitare l’indirizzo della trattoria dove vado a cena e corro al computer».
Nel caso di Elia Viviani, la reperibilità è una questione familiare: anche la fidanzata, Elena Cecchini, pistard azzurra, deve rendere conto dei suoi spostamenti. Non semplici, visto che la coppia totalizza quasi 500 giorni l’anno lontano da casa.