la Repubblica, 9 dicembre 2015
«Con Stockhausen fu amore inevitabile». Intervista a Mary Bauermeister
Amare un genio è un destino «implacabile e distruttivo, che toglie il respiro». Eppure rifarebbe tutto daccapo, «perché è esaltante darsi a un uomo col carisma energetico di Karlheinz Stockhausen». Mary Bauermeister racconta di essere ancora innamorata del compositore tedesco, suo defunto marito. Un formidabile megalomane che inventava cattedrali luminose di suoni, partiture per elicotteri volanti e magie elettroniche capaci d’influenzare i Beatles e Miles Davis, Frank Zappa e Brian Eno, i Pink Floyd e Björk, edificando in pratica le basi del suono di fine Novecento. Tirannico e mistico, provocatorio e fanatico, Stockhausen fu segnato profondamente dall’unione con Mary, personaggio d’indefessa e selvaggia forza creativa. Ormai più che ottantenne (è nata a Francoforte nel ’34), la signora appare oggi come una hippie logorata da una lunga e ardente immersione nella vita. I capelli candidi sono sciolti sulla schiena, il corpo alto è insaccato in una giacca orientale. Dal volto emergono i riflessi di una bellezza che pare fosse irresistibile, come lo era la sua indole invasata e avventurosa. A Roma Mary è giunta su invito di Romaeuropa, che di recente l’ha coinvolta in un concerto di cui idealmente era protagonista. Eseguito dall’ensemble Voxnova al Macro Testaccio La Pelanda, il programma includeva un brano che le dedicò Stockhausen, Stimmung, scandito da versi colmi di sensualità, e un pezzo vocale della stessa Bauermeister, Aus den Skizzenbücher 1960.
Quando e come conobbe Stockhausen?
«Accadde nel 1957. Io avevo 23 anni e lui 29. Lo vidi per strada a Colonia e il mio cuore si fermò. Sentivo d’imbattermi in un’anima che da millenni era vicina alla mia. Il nostro amore era inevitabile anche se aveva una moglie, tre figli e un quarto in arrivo. Dal momento in cui gli ho aperto me stessa mi sono persa in lui».
Si sa che Stockhausen ebbe molte amanti, anche in contemporanea e senza sotterfugi.
«L’amore gli era necessario quanto la musica e Dio. Fu io a convincerlo a non nascondere il nostro rapporto alla moglie Doris. E lei, che non voleva perderlo, accettò un matrimonio a tre».
Un ménage triangolare?
«Andò molto bene, dopo le prime resistenze. Doris aveva sei anni più di lui e dieci più di me, e il suo tratto materno ci tranquillizzava. Io presi le distanze dalla mia personale possessività. Nel momento in cui decisi che era quella la mia vita, potevo anche preparare loro la prima colazione. La gelosia è legata al sesso, e quando la parte spirituale prevale su quella fisica io penso: ora sono un essere umano. Abbiamo convissuto con rispettivo convincimento, anche perché intellettualmente Stockhausen era solo mio. Il nostro dialogo artistico era esclusivo».
In cosa consisteva l’intesa?
«Karlheinz mi ha fatto diventare musicista e accanto a me lui si è lanciato in arti come il disegno erotico e la poesia. Ho modellato costumi per le messe in scena di suoi lavori importanti come Sirius e Licht, e insieme abbiamo firmato installazioni. Creammo un pezzo teatrale intitolato Originale nel ’61, e la reciproca ispirazione è stata ricchissima per entrambi. Dall’avanguardia più dura, grazie al mio influsso, Stockhausen si spostò verso orizzonti non dogmatici, come dimostrano le solari esplorazioni armoniche di Stimmung, composto nel ’68 dopo un nostro soggiorno messicano. L’anno prima ci eravamo sposati a San Francisco. In Messico lui s’innamorò di un’altra mentre io ero incinta del secondo figlio. Con la mia enorme pancia mi misi a riflettere sulla situazione e decisi di lanciarmi l’ego alle spalle. D’altronde tutti gli uomini sono infedeli e poligami. Il resto è ipocrisia».
Come artista lei è considerata una delle maggiori esponenti del movimento Fluxus, che promulgava happening di arte “totale”. E sue opere di arti visive sono al MoMa, al Guggenheim e nel Ludwig Museum di Colonia.
«Ho vissuto un’epoca eccitante e anarchica. Il mio studio di Colonia, nella Lintgasse, era il punto di riferimento di Nam June Paik, Joseph Beuys, Christo e Adorno. A New York mi sono legata al mondo della Pop Art e ad artisti come Rauschenberg e Jasper Johns. Con John Cage andavo a cercare funghi e giocavo a scacchi».
Nella sua autobiografia, lei ha scritto che la musica di Stockhausen nasceva dal dolore e l’amore era la cura.
«Fu la guerra a devastarlo. Il padre cadde al fronte e la madre venne uccisa in manicomio durante il nazismo. Karlheinz ha ripetuto all’infinito lo schema a tre della sua infanzia, quando andava a visitare la madre in ospedale mentre il padre viveva con la governante. Ha sempre avuto una o più donne che desiderava e un’altra che equivaleva alla casa. Doris era la casa e io il desiderio. Più tardi io divenni la casa e altre assunsero il mio ruolo. Dopo essersi separato prima da Doris e poi da me, Stockhausen ha continuato a vivere con due partner, come le musiciste con cui abitò fino alla morte nel 2007».
Ha avuto due figli con Stockhausen, Julika e Simon. Poi, per lei, sono arrivati nuovi compagni e altri due figli. L’hanno aiutata ad affrancarsi dal suo idolo?
«Ho attraversato con pienezza relazioni successive. Ma il completo riconoscimento di sé nell’altro l’ho provato solo con Stockhausen. Abbiamo condiviso l’intera gamma di sentimenti che una persona può innescare in un’altra: dal massimo dell’eros ai vertici della spiritualità».