Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 09 Mercoledì calendario

Gian Antonio Stella ricorda Krizia

«Cosa resterà, poi? Straccetti». Non occorreva capire qualcosa di moda per trovare formidabile Mariuccia Mandelli. Anzi, la dimensione che forse non è emersa del tutto nei pezzi su Krizia è, oltre la spigolosità del carattere a volte contundente, la simpatia che sapeva essere cameratesca, l’irruenza spiritosa e più ancora il rifiuto un po’ snob di prendersi troppo sul serio. Come un giorno in cui nella sua casa in Sardegna sospirava sul passar degli anni: «Per la prima volta, perché prima non avevo rimpianti, mi sono sentita addosso la malinconia di non avere fatto figli. Non era mai il momento. Prima ero troppo giovane, poi troppo occupata, poi troppo avanti... Così vengono quei momenti in cui ti fermi, guardi il mare e ti chiedi: cosa resterà? Perché questo sarebbero i figli: un piccolo pezzo di te che ti lasci dietro. Ecco, di me resteranno forse quattro straccetti». Quegli straccetti, già esposti alla Triennale, stavano per finire alla «Grey Art Gallery» della New York University in una mostra a cura dello scenografo Dante Ferretti e dalla costumista Gabriella Pescucci, vincitori di quattro Oscar e una miriade di premi. Ma lei faceva spallucce: «Boh…». Snobismo? Sicuramente. Spiritoso, però. Assicurava di vedere «in giro miliardari volgarissimi e ragazze col vestito della Upim dal comportamento regale». Confessava d’avere l’orticaria all’idea di vestire modelle troppo belle, troppo sensuali, con «troppe curve»: «Naomi Campbell non la chiamerei mai. Puoi metterle addosso anche un saio ma resta sempre una pantera». Ammiccava d’essersi divertita a «ritoccare» la Barbie: «Se c’è una cosa che detesto è la Barbie. Finalmente ci hanno chiesto di vestirla e io, zac, le ho subito tagliato i capelli, questa chioma enorme... Poi le ho piallato il seno, le ho messo delle cose sportive e vedesse che bellina…». Spiegava di avere un rapporto difficile col lusso: «Il lusso è denaro. Una cosa fastidiosa. Come una certa idea della “moda”. Io non faccio cose “alla moda”. Ogni tanto qualche amica mi fa: “Mariuccia, cosa va quest’anno?”. Rispondo: “Lo chiedi a me?”. Dice: “Se non lo sai tu che fai la moda...”. Eh no. Non in quel senso almeno». Viveva la contraddizione fino in fondo: «Sono contenta di non occuparmi delle vendite: se sento il prezzo dei miei vestiti vorrei nascondermi sotto il tavolo. Difatti non me li dicono neanche…». Dicevano che fosse a volte così aggressiva e litigiosa, nelle sue passioni, da essere insopportabile. Ma averne, di donne così. Averne…