Corriere della Sera, 9 dicembre 2015
Delitto di Garlasco, venerdì si saprà la verità sulla morte di Chiara
Rita conta le ore che mancano a venerdì. «Aspetteremo a casa, stavolta. Tutti e tre, uniti come sempre. Aspetteremo di sapere da una voce al telefono oppure dalla televisione, poco importa. Quello che conta, e quello che mi sento di dire oggi come mamma di Chiara, è che finalmente arrivi la giustizia che stiamo aspettando da quasi otto anni e mezzo. Non mi sembra vero che sia passato tutto questo tempo da quel giorno...».
Quel giorno, 13 agosto del 2007. Rita era in vacanza in montagna con suo marito Giuseppe. Una telefonata, la corsa per tornare a casa, la disperazione, l’inizio di un tempo che non sarebbe stato mai più quello di prima: il tempo senza sua figlia Chiara, 26 anni, uccisa a colpi in testa con un’arma mai trovata quella mattina d’agosto nella casa di famiglia, a Garlasco, in provincia di Pavia.
Venerdì i giudici della Cassazione decideranno una volta per tutte la sorte dell’uomo che è stato accusato e condannato per l’omicidio: Alberto Stasi, che oggi è un commercialista di 32 anni (libero) e che all’epoca era il fidanzato di Chiara, laureando alla Bocconi.
«Non l’ho uccisa io, sono innocente» ripete lui da sempre. Gli hanno creduto in primo grado, poi di nuovo in appello. Ma la Cassazione ha azzerato la doppia assoluzione rinviando di nuovo tutto in Corte d’appello per chiedere una valutazione più attenta degli indizi. Risultato: un nuovo processo chiuso con una condanna a sedici anni di carcere dopo continui colpi di scena in aula. Da quel processo sono partiti nuovi ricorsi in Cassazione e venerdì, appunto, sarà il giorno che deciderà la sorte di Alberto.
I giudici potrebbero semplicemente confermare i sedici anni di condanna. Potrebbero assolverlo. Oppure – lo scenario peggiore per lui – potrebbero confermare la condanna e accogliere anche il ricorso della Procura generale che insiste nel chiedere 30 anni di reclusione, fin qui esclusi perché i giudici dell’appello-bis non hanno tenuto conto dell’aggravante della crudeltà. Appare remota, invece, la possibilità che si rimetta tutto di nuovo in discussione annullando la condanna a 16 anni e rinviando ancora una volta il caso alla Corte d’Appello.
«Siamo consapevoli di essere arrivati alla fine» riassume Rita. «O giustizia per sempre o ingiustizia per sempre. Fino a questo punto ho cercato di non pensarci, ma più si avvicina il giorno e più diventa impossibile non farlo. Io, mio marito e mio figlio Marco siamo qui, sereni, comunque vada a finire». Le settimane di Rita sono scandite dalle visite al cimitero, dai pensieri e dalle parole per Chiara, come se lei fosse davanti ai suoi occhi, come se potesse davvero sentirla. «Le dico sempre “ti prego, guida tu i giudici”, e questa volta è più importante di sempre. Le ho detto “fallo per noi, ma soprattutto per te”. Perché lei, prima di noi, ha bisogno di avere la giustizia che non ha avuto finora». La stessa giustizia che Alberto invoca dalla parte opposta: per chiedere di essere assolto. «Penso spesso all’ipotesi di una condanna» aveva spiegato lui stesso in un’intervista al Corriere prima del processo d’appello-bis. «Ci penso e la vivo con una paura enorme, non perché ho fatto qualcosa di male ma per i possibili errori giudiziari che un processo come questo può generare... per me sarebbe una vita annientata, azzerata». Dieci mesi più tardi è arrivata la condanna, la sua vita al punto zero.
Per la prima volta, mentre il giudice leggeva la formula della condanna – «La Corte dichiara Stasi Alberto responsabile...» – accanto a lui in aula non c’era suo padre Nicola, morto a dicembre del 2013 per un malattia, a 57 anni. Gli era sempre stato vicino, lo aveva sostenuto, seguito a ogni udienza, ma quel giorno Alberto era solo mentre il giudice gli diceva che le due assoluzioni precedenti non contavano nulla, che non erano bastate a salvarlo.
Probabilmente venerdì non sarà in aula. Difficile reggere il peso di un’eventuale conferma della condanna, anche perché l’esecuzione della pena, in quel caso, potrebbe essere immediata. Vivrà in apnea, Alberto. Senza respiro fino alla lettura della sentenza. Conta le ore come fa Rita, lui spera nella libertà, lei nella giustizia.