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 2015  dicembre 09 Mercoledì calendario

Parigi resiste al Front National

L’ondata di estrema destra non si è abbattuta sulla capitale come sul resto del paese. Si è quasi infranta contro le mura di Parigi, come un fiume in piena contro un argine. I voti al Front National sono stati infatti espressi con parsimonia nei venti arrondissements (distretti municipali) della metropoli, la quale conta due milioni e mezzo di abitanti. Nell’insieme della Francia il partito di Marine Le Pen ha ottenuto il 28% al primo turno delle regionali di domenica scorsa. Sulle rive della Senna si è dovuto accontentare di un terzo: 9,65%. Un quoziente modesto che figura al quarto posto, dopo quello del centro destra, dei socialisti e dei Verdi. Parigi ha deluso la famiglia Le Pen. E ha rassicurato molti francesi. Alcuni miei vicini di casa, in un arrondissement dove il risultato del FN è stato ancora più misero (7,32%) rispetto a quello nazionale, dicono che «i barbari sono stati respinti». Altri sostengono invece che la metà dei parigini «ha snobbato le urne». E aggiungono «meglio così, potevano fare dei danni». Altri ancora paventano che «l’estrema destra riservi l’ultimo assalto a Parigi, detestato centro del potere». C’è anche chi è fiero: «Parigi ha resistito». Sono pareri in cui si alternano humor e inquietudine. Ai quali va aggiunta una precisazione. La Parigi intra muros è un’isola urbana in cui vive una ristretta popolazione privilegiata, oltre a quella addetta ai servizi dei quartieri popolari, per lo più magrebini. E in essa affluiscono ogni mattina e se ne vanno ogni sera milioni di uomini e donne residenti nell’ampia regione circostante, l’Ile de France. La società parigina, come quella di altri grandi centri urbani (Lione o Bordeaux), con la notevole eccezione di Marsiglia, si è puntualmente espressa in favore dell’Europa e si è rivelata meno sensibile ai richiami populisti. Anzi li ha respinti. Anche in questa occasione. Un tempo popolare e amante delle barricate, la capitale si è soprattutto imborghesita, e vi risiede un campione abbastanza significativo dell’attuale elettorato di sinistra, composto da una classe media professionale. Non a caso il sindaco attuale è una socialista, come il suo predecessore. Insomma questa è un’importante porzione di Francia che non si lascia sedurre da Marine e da Marion, le due Le Pen, la zia e la nipote. Anche l’11° arrondissement, dove sono avvenuti i massacri di gennaio a Charlie Hebdo e di novembre al Bataclan, ha lesinato i voti al Front National. Non gli ha dato più del 7,49%. Neppure un terzo del risultato nazionale che traumatizza la società democratica. Le emozioni per il sangue versato dai terroristi non hanno favorito il partito islamofobo. Questa seconda Francia riequilibra la situazione che l’attualità, attizzata da due voti, quello negativo espresso domenica scorsa e quello incerto dei ballottaggi di domenica prossima, rende inquietante. Marine Le Pen non può contare su questa Francia, in larga parte urbana. Per alimentare il suo sogno di diventare un giorno la prima donna presidente della Quinta Repubblica. Per ora la sua Francia è l’altra: quella in cui l’estrema destra raccoglie i voti di molti operai un tempo comunisti e socialisti, e di parte della classe media impoverita e impaurita dall’immigrazione. E tuttavia le élites che un tempo respingevano in blocco il Front National bussano alla sua porta. Alti funzionari, laureati della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (l’Ena), dalla quale escono ministri e dirigenti d’azienda, e delle Grandes écoles, fabbriche di tecnici e di insegnanti, sono sempre più attirati da una forza politica dinamica che ai loro occhi sembra ormai in grado di offrire buone occasioni. Per non parlare degli intellettuali “non più universali ma sovranisti”, in definitiva provinciali, in compunta osservazione del fenomeno Le Pen, che potrebbe salvare l’identità nazionale dal detestato multiculturalismo. Ho scoperto in una rivista di filosofia che Antonio Gramsci è stato adottato dagli intellettuali “sovranisti” che apprezzano le pagine in cui parla di come si raggiunge l’egemonia culturale. Sono tutti sintomi che annunciano l’ingresso imminente del Front National nella società democratica che finora lo respingeva? È quel che temono i partiti in queste ore indaffarati nel preparare la controffensiva destinata a limitare l’avanzata del Front National, dal 6 dicembre prima formazione politica di Francia in seguito ai voti ottenuti al primo turno delle elezioni regionali. Dalle 18 di ieri le liste dei candidati ai ballottaggi di domenica sono ufficiali. Il capo del centro destra, Nicolas Sarkozy, ha ribadito il suo rifiuto di unirsi ai socialisti per decidere quali candidati, dei due partiti, siano i più adatti ad affrontare, nelle varie situazioni, il Front National. I socialisti hanno allora deciso di propria iniziativa di ritirare i loro uomini in tre regioni, nel Nord, nell’Est e in Provenza, e hanno invitato gli elettori a esprimersi in favore del rappresentante del centro destra per sconfiggere il Front National. È stata un’iniziativa generosa di cui resta incerto l’esito, poiché chi ha votato a sinistra al primo turno potrebbe rifiutare l’appoggio all’esponente di destra, sia pure democratico. La sinistra ha nel frattempo deciso di unirsi: gli esponenti del partito socialista, del Front de Gauche (la sinistra della sinistra, di cui fanno parte i comunisti) e dei Verdi hanno raggiunto faticosamente un accordo per affrontare insieme il voto in otto regioni. Soltanto per la Bretagna non è stata trovata un’intesa. L’unità della sinistra dovrebbe favorire i socialisti in regioni che sembravano fuori dalla loro portata.