la Repubblica, 9 dicembre 2015
Chiudere frontiere e web: le ricette di Donald Trump contro l’Isis
Dopo l’Islam se la prende anche con Internet. Per Donald Trump, vulcanico (e discusso) candidato-miliardario che sta cambiando il volto delle primarie repubblicane, gli Stati Uniti dovrebbero prendere in seria considerazione l’ipotesi di «chiudere la Rete e i social media». Almeno «in alcune zone», precisa, consapevole di aver toccato un altro tasto delicato. Poche ore dopo aver chiesto «il blocco delle frontiere» per tutti i musulmani che intendono entrare negli Stati Uniti, Trump lancia l’ennesima provocazione. Per «fermare il reclutamento» dei jihadisti online occorre prendere drastiche misure («stiamo perdendo un sacco di persone a causa di Internet, dobbiamo fare qualcosa, subito») e lui si candida a incontrare rapidamente Bill Gates («dobbiamo parlare con chi capisce davvero cosa stia succedendo»). E per chi «invocherà la libertà di parola» ha già pronta la risposta: «Sono dei pazzi, siamo pieni di pazzi». In attesa di reazioni dalla Silicon Valley, ha iniziato a fare i conti con la valanga di critiche piovutegli addosso dopo la proposta di una «totale e completa chiusura» dei confini Usa per chiunque segua la religione di Maometto. Trump, che è di gran lunga (nonostante le previsioni di opinionisti e pundit che affollano le reti all- news) il candidato del Grand Old Party a oggi più accreditato per sfidare Hillary Clinton (anche se in Iowa ieri per la prima volta è stato superato nei sondaggi da Ted Cruz) non si è fatto intimidire e ha rilanciato con un’aggiunta: la messa al bando dei viaggi all’estero per tutti i musulmani d’America, che del resto lui vuole anche schedare e spiare con videocamere nelle moschee. «È un’idea riprovevole, preconcetta e divisiva, ditelo a Donald Trump: l’odio non è un valore americano», replica con un tweet Hillary. La sua proposta «lo squalifica come possibile presidente», lo liquida il portavoce di Obama (Josh Earnest) che invita tutti i candidati repubblicani a prendere le distanze da Trump «perché quello che ha detto è offensivo, tossico e moralmente inaccettabile». Bollando poi il magnate dei grattacieli – con un inusuale (per la Casa Bianca) attacco personale: un «imbonitore carnevalesco dai capelli finti», la cui campagna elettorale è da «cestino della storia». Raccogliendo l’invito e preoccupati di perdere voti tra l’elettorato moderato, (quasi) tutti i leader del Gop hanno preso le distanze. «Questo non è conservatorismo», ha detto Paul Ryan, House Speaker del partito. Critici i candidati alla Casa Bianca come Chris Christie, Jeb Bush, e Marco Rubio. Lindsey Graham lo accusa di «mettere a rischio i nostri soldati e i nostri diplomatici in giro per il mondo» e perfino un falco come l’ex vice presidente Dick Cheney attacca una proposta che «va contro tutto ciò per il quale ci battiamo e in cui crediamo». Unico assente, forse non a caso, Ted Cruz, il candidato che ha superato Trump in Iowa, il primo Stato dove si conteranno voti reali il prossimo 1 febbraio. Che lo elogia: «Ha portato l’attenzione dell’America sulla necessità di rendere sicure le frontiere». Trump non si preoccupa, convinto come è che parlare alla pancia dell’America gli sia più utile che dannoso. Tanto che sulla MsNbc (la rete liberal che per opposte ragioni fa il tifo per lui) precisa sorridendo che il blocco potrebbe essere «temporaneo», che per i leader islamici si potrebbe fare «qualche eccezione», che comunque lui è sulla linea di Franklin Delano Roosevelt quando decise di combattere «Hitler, Mussolini e il Giappone». Con zuccherino finale per i musulmani d’America: «Vi amiamo, vogliamo collaborare con voi». Critiche a Trump anche dall’Europa. «Come altri alimenta l’odio» ha twittato il premier francese Valls. «Inutile e sbagliato», ha detto il premier britannico Cameron.
Alberto Flores D’Arcais
Chiudere le frontiere agli islamici. Tutti gli islamici. Bloccare Internet. Armarci fino ai denti (ancora di più) per reagire alla prossima sparatoria. Donald Trump monopolizza l’attenzione dell’America, il chiasso delle reazioni ai suoi proclami sovrasta il discorso razionale di Barack Obama. Trump ha un sicuro talento da showman, già mostrato nei suoi precedenti mestieri. Per alcuni è un genio del male: se va avanti con queste provocazioni, con la demonizzazione indiscriminata di tutti i m usulmani, regalerà una vittoria ai jihadisti, l’amalgama tra i terroristi e una religione da 1,6 miliardi di seguaci (dei quali 1,8 milioni vivono negli Stati Uniti. Per un pezzo di popolazione americana è l’unico che parla chiaro e forte, calpesta il galateo politically correct, chiama i nemici per nome, può salvare una nazione che Obama condanna al declino. «Ora abbiamo anche noi Marine Le Pen», commenta il New Yorker, quasi a ridimensionare il macho. Fatte le proporzioni, però. Se davvero uno xenofobo megalomane come Trump dovesse vincere l’elezione presidenziale tra un anno, lui guiderebbe la superpotenza mondiale. È uno scenario tuttora improbabile. I brividi che provoca, spiegano le condanne dall’estero: dai conservatori inglesi al governo Netanyahu in Israele, il fronte è vasto. E Trump risale nei sondaggi. Al punto da paralizzare molti suoi rivali per la nomination repubblicana (non tutti), che non osano mettersi contro le folle ululanti. I suoi comizi sono uno spettacolo travolgente, c’è del metodo in quella follìa. Chiudere Internet? Che c’è di strano, non bloccano certi accessi in Cina e in Iran? Appunto. «I musulmani non devono più entrare negli Stati Uniti». È la reazione a San Bernardino, la sparatoria in cui una settimana fa gli auto-indottrinati Syed Farook e Tashfeen Malik fecero 14 morti in California. Trump raccoglie un moto di paura per quel «nemico che vive in mezzo a noi», per «i familiari che non hanno segnalato nulla alla polizia». Alle frontiere gli agenti dell’Immigration Service dovranno fare un interrogatorio religioso, ricacciando indietro i musulmani? Impossibile oltre che anti-costituzionale, ma Trump non s’impaccia di queste complessità: parla a chi vuole soluzioni forti, immediate, per sentirsi rassicurato. Si trincera dietro il precedente di un leader che sconfisse i nazifascismi. Franklin Roosevelt ordinò durante la Seconda guerra mondiale la detenzione di migliaia di immigrati giapponesi, tedeschi, italo-americani, sospetti d’intesa col nemico per la loro origine etnica, anche se molti avevano figli al fronte con la divisa Usa. In seguito, quell’atto ignobile fu condannato da tutti, democratici e repubblicani. Ed è un altro regalo allo Stato Islamico, equipararlo alla minaccia di Hitler più Hirohito più Mussolini. L’America sull’orlo di una crisi di nervi? Chi non crede all’impazzimento di questa nazione, sottolinea che Trump è costretto ad attirare l’attenzione su di sé, sparandole sempre più grosse, perché prima degli attentati di Parigi la sua popolarità aveva imboccato la curva discendente. Le stragi in Francia e in California gli hanno dato l’occasione per rilanciarsi, dato che le sue minacce contro gli immigrati messicani («eleggetemi e deporterò 11 milioni di clandestini») non facevano più notizia. Qualcuno nel suo partito si preoccupa seriamente di una deriva xenofoba che regalerebbe a Hillary Clinton la Casa Bianca. Il presidente repubblicano della Camera, Paul Ryan, commenta secco gli ultimi eccessi di Trump: «Quelle proposte non hanno niente a che fare coi valori del mio partito e del mio Paese». L’America è una fabbrica di cittadini. Dopo cinque anni di Green Card un immigrato può diventare un elettore. Non dimenticherà le parole di Trump. Sull’altro fronte c’è “lo psicoterapeuta-capo”, Obama. Il suo discorso alla nazione dallo Studio Ovale, domenica sera, è stato equilibrato e lucido. Ma non ha offerto rassicuranti soluzioni a breve termine. Ha detto delle verità innegabili. Se l’America non ti lascia imbarcare su un volo perché sei finito su una lista di sospetti terroristi, non dovrebbe consentirti di comprare un’arma da guerra in un supermercato. In Siria non sconfiggeremo durevolmente l’Isis se non ci vanno dei combattenti sunniti a occupare le aree di religione sunnita. Abbiamo bisogno della massima cooperazione da parte delle nostre comunità islamiche, non di spaventarle né di “regalarle” alla propaganda jihadista. La razionalità di Obama si spinge fino a dire che questa non è una battaglia di breve durata. Dobbiamo aspettarci altri attentati. Non abbiamo una ricetta magica. Perfino la sua ex segretaria di Stato, ora che è candidata, è a disagio di fronte alla lucida moderazione del presidente. Hillary sente che anche una parte dell’elettorato democratico vuole di più. «Fare qualcosa». Ma è proprio cedendo a quell’impulso che lei sbagliò nel 2003, e votò a favore della guerra di George Bush in Iraq. Indispettito dalla proposta di «bloccare Internet», il padrone di Amazon Jeff Bezos (che investe anche nelle missioni spaziali) ieri ha proposto di «lanciare Trump oltre la stratosfera». Troppo facile. Il virus-Trump andrà isolato e curato dentro la società americana, una testa alla volta, un voto alla volta.
Federico Rampini