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 2015  dicembre 09 Mercoledì calendario

Cronaca dell’apertura della Porta Santa

Alle 8 e mezza del mattino, la vecchia Focus scura targata SCV, Stato Città del Vaticano, aspetta a Santa Marta «Alfa1», nome in codice del Papa, per portarlo in sacrestia. Il cardinal Bertone con gli occhiali fumé scende dall’attico con la terrazza ridipinta di giallo, si unisce a Sodano, Re, Ruini e agli altri decani della Curia, si dispone alla destra dell’altare.
Sul ponte Vittorio Emanuele cinque volanti, due moto e dodici carabinieri con i mitra spianati. Alle pendici del Gianicolo due blindati della polizia. L’esercito è schierato in mimetica a Porta del Perugino, dove passano le auto degli invitati: basta mostrare un pass cartaceo. Su via della Conciliazione si allungano le file ai metal-detector, zitte, ordinate. Piove. I vigili disposti a fare gli straordinari osservano appoggiati alle auto. Oltre le mura, le guardie svizzere con la mantellina invernale e i gendarmi vaticani con le Harley Davidson bianche, coordinati da un gigante calvo in giacca blu, il comandante Giani. Alfa1 è pronto. Nella basilica deserta lo attendono Mattarella con la figlia Laura, più indietro Renzi con la moglie Agnese, per un saluto. Poi il Papa indossa la veste bianca dai fregi verdi e oro, e alle 9 e 30 spunta per ultimo sul sagrato. Il cardinale Ravasi nota il contrasto con Giovanni Paolo II, che aprì il Giubileo del 2000 con un piviale coloratissimo: «Allora la Chiesa cercava la massima solennità per inaugurare il suo terzo millennio. In questi 15 anni è cambiato tutto: la crisi, la “terza guerra mondiale a pezzettini”. Ora la Chiesa cerca la massima sobrietà». Padre Georg con i paramenti viola da vescovo prende congedo dai gentiluomini e dagli ambasciatori, in un tripudio di medaglie, cordoni e alte uniformi: sta andando a prendere Ratzinger, che si è ritirato in preghiera. 
Francesco a inizio giornata appare più stanco di quanto sarà alla fine. Quasi avesse due volti. Quello serio, trattenuto, con gli occhiali, attraverso cui osserva i cardinali quasi perplessi, come se questo Giubileo non li riguardasse; e quello sorridente, disteso, senza occhiali, con cui saluta dal finestrino della Focus la folla lungo il percorso verso piazza di Spagna e Santa Maria Maggiore, felice di stare in mezzo ai fedeli, con quel suo modo di indicare un volto tra tanti dando a ognuno la sensazione che si stia rivolgendo proprio a lui, in una Roma fredda e spettrale al mattino, viva e animata la sera. E in effetti il Giubileo della Misericordia è un’idea fortemente voluta da Francesco: un Papa che si è spinto molto oltre il mandato ricevuto due anni e mezzo fa da un conclave che pensava a un cambiamento, non a una rivoluzione. 
Bergoglio scende le scale della basilica sostenuto dal cerimoniere Marini. Appare quasi smarrito. Alla sua vista il respiro delle suore si fa affannoso. Spande incenso, due gabbiani scendono sul baldacchino. I sacerdoti dalle vesti bianche filmano con telefonini e iPad. La piazza alla fine si riempie, e non solo dei mille giornalisti da 78 Paesi. È come se la paura avesse fatto selezione: meno turisti e curiosi, più devoti e pellegrini; almeno 50 mila. Volontari con la pettorina dell’Unipol, sponsor del Giubileo, dalle bandiere rosse di via Stalingrado alle fontane di San Pietro. Due aerei di linea violano la no-fly zone, il primo passa sopra la cupola in direzione Nord, il secondo in direzione Sud, il prefetto Gabrielli alza la testa preoccupato, al suo fianco Tronca con fascia tricolore: la città è commissariata, Bergoglio non voleva Marino tra i piedi per il Giubileo ed è stato accontentato. La folla è invitata a non sventolare cartelli né bandiere. 
Alla lettura del Vangelo spunta il sole. Francesco si alza reggendosi sul crocefisso, come faceva Wojtyla. La sua omelia è incentrata sulla Vergine – la «giovane ragazza» che incarna il mistero dell’amore e della tenerezza – e sul perdono, che nel lessico di Bergoglio sostituisce l’indulgenza: «I peccati non sono puniti dal giudizio di Dio, sono perdonati dalla sua misericordia». Fotografi misti a tiratori scelti sui tetti. Uomini dei servizi travestiti da mendicanti. Il presidente della Roma James Pallotta. Ora il Papa pronuncia le uniche parole che saranno lette alla luce dell’attualità: «Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato». Ai cardinali ricorda i padri del Concilio, che mezzo secolo fa «spalancarono un’altra porta verso il mondo», e propiziarono «l’incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Allora la Chiesa uscì dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in se stessa per riprendere con entusiasmo il cammino missionario: andare incontro a ogni uomo». Ogni tanto gli scappa una parola in spagnolo: «Là donde vive una persona, la Chiesa è chiamata a raggiungerla». 
I politici si scambiano un segno di pace: Bindi, Alfano, Zingaretti, Storace. Tutti i cardinali sfilano a baciare il Papa. Si prega nelle varie lingue della cristianità, cinese swahili latino malayalam, l’idioma del Kerala; l’intenzione «per i legislatori e i governanti» è in arabo, quella «per i peccatori e i violenti» in francese: «Lo Spirito Santo guidi le loro coscienze a conoscere il dramma e la gravità del male, e i loro cuori a ricevere guarigione e misericordia». Francesco si rianima all’offertorio, quando incontra Sandra, Lucia e altri bambini, insieme con i fedeli arrivati a piedi lungo la via Francigena: Maria segna «l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza». Il cardinale Sodano viene sollevato di peso e portato all’altare. Bergoglio come d’abitudine non dà la comunione per evitare photo-opportunity, i porporati devono prendersi l’ostia da sé. 
Sui maxischermi appare il volto di cera di Ratzinger con il cappotto bianco, sostenuto da padre Georg e dal bastone. La piazza applaude. Francesco fa per abbracciarlo e baciarlo, Benedetto gli poggia le mani sulle spalle. «Aprite la porta della giustizia!» grida il Papa, ma la porta sembra voler resistere, lui spinge, scrolla, insiste, finalmente la spalanca. Si inchina ed entra nella basilica. Lo segue Ratzinger, i due Pontefici stavolta si stringono la mano, a lungo. Ora il sole è alto. 
Ravasi entra tra i primi: «Ricordo il Giubileo del 1950, con Pio XII. Ero qui, avevo otto anni. Si celebrava l’aurora dopo la fine della guerra. Oggi noi opponiamo la nostra misericordia alla loro crudeltà». Varca la Porta Santa l’imam di Venezia, lo stesso che ai funerali di Valeria Solesin disse che tocca all’Islam combattere i terroristi. Ravasi: «Quando dico “loro” intendo gli assassini, non i musulmani. Il primo attributo di Allah è il Misericordioso. Come diceva Hume: gli errori della filosofia sono sempre ridicoli, gli errori delle religioni sempre pericolosi». Si esprime pure Totti: «Faccio il tifo per il desiderio di fratellanza». 
All’Angelus il Papa è decisamente di buon umore, chiede un altro applauso per Benedetto: «Lasciamoci accarezzare dalla mano di Dio. Nulla è più dolce». In piazza ora si vedono i segni dell’identità italiana: cappelli da alpino, distintivi dell’Azione cattolica, striscioni con i nomi delle parrocchie, tricolori, immagini del volto di Gesù come nel Medioevo. Sul Tevere incrociano le moto d’acqua dei sommozzatori. Polizia a cavallo. Dice Francesco: «Ero straniero e mi avete accolto». Lo ripeterà nel pomeriggio in piazza di Spagna, in un clima che definisce di «fiesta», chiedendo la protezione della Vergine per la città di Roma e per i migranti: «Vengo qui a nome delle genti arrivate da molto lontano a cercare pace e lavoro». Si aprono le altre porte sante, nelle carceri, al Cottolengo. A San Pietro comincia lo spettacolo donato da Paul Allen, cofondatore di Microsoft: le foto degli animali in via d’estinzione proiettate sulla basilica, un’arca di Noè nella tempesta. All’Esquilino il Papa abbraccia i malati in carrozzina, solleva i bambini, saluta calorosamente il questore di Roma ringraziandolo per il lavoro della giornata: «Fin qui, tutto bene».