La Stampa, 8 dicembre 2015
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La prima della Scala con i cecchini sui tetti
La Scala, così, non si era mai vista. Anche chi va alla «prima» di Sant’Ambroeus dai tempi di Toscanini racconta che controlli del genere, a memoria d’uomo, non c’erano mai stati. Mai si erano visti i cecchini sui tetti di piazza Scala, mai dame e cavalieri erano stati passati al metal detector.
Inevitabile, certo. Erano mesi che su questo 7 dicembre si accumulavano gli allarmi. Effetto-Parigi, per iniziare, a meno di un mese dalle stragi islamiste e dalle minacce dell’Isis anche contro l’Italia. Poi, erano previste le consuete contestazioni annunciate da chi, legittimamente per carità, usa l’unica serata in cui l’opera finisce in prima pagina per amplificare le sue proteste. Infine, si è saputo soltanto ieri mattina che Matteo Renzi sarebbe venuto, unico rappresentante dello Stato perché Sergio Mattarella deve partecipare, questa mattina a Roma, a un’altra «prima», quella del Giubileo.
Risultato: un’inaugurazione blindata, e stavolta sul serio. Sì, perché blindata, in effetti, la Scala il 7 lo è da sempre, almeno dai famosi lanci di uova (non marce, però, come da mitologia sbagliata) di Capanna nel ‘68, che segnarono la fine dell’età dell’innocenza della «prima» come festa cittadina. Ma di solito ci si limita a transennare la piazza per lasciare qualche centinaio di metri d’intervallo fra i dimostranti infreddoliti e gli happy few ingioiellati. Ieri è stata tutta un’altra musica, e non solo perché la «Giovanna d’Arco» di Verdi mancava dalla Scala da centocinquant’anni tondi. Verifiche e sorveglianza tutt’altro che discrete o accennate. Anzi, belle toste, come se la minaccia fosse molto concreta e reale (e forse, purtroppo, è proprio così).
E allora tanto vale raccontare questa Scala di guerra in prima persona, perché nessuno, proprio nessuno, si è potuto sottrarre ai controlli. Per cominciare, il taxi che conteneva il soprascritto è stato bloccato dai vigili in piazza Cavour, all’inizio di via Manzoni, a un chilometro almeno dal teatro, e ho dovuto farmela a piedi, poco male. Poi, secondo stop, stavolta pedonale, con le transenne presidiate da carabinieri provvisti di attrezzatura antisommossa, di giubbotti antiproiettile, di mitra e della consueta ferma cortesia dell’Arma poco dopo l’albergo Manzoni, a qualche metro dalla lapide che ricorda che Verdi morì lì. E qui si è dovuto esibire per la prima volta il biglietto e un documento, con ulteriori verifiche se il biglietto non era nominativo.
I molto pubblicizzati metal detector in effetti non c’erano, o almeno non c’erano nell’usuale forma di cabine, quelle appena collocate alle porte d’ingresso dell’Opéra di Parigi. C’erano quelli portatili, «a mano». Quindi preghiera di svuotare le tasche, esibire telefonini e chiavi di casa, aprire il valigiotto del computer, estrarre il pc e così via. Ah, e per verificare che al posto della fascia dello smoking uno non avesse una cintura esplosiva, obbligo di sbottonare e aprire cappotto e giacca: forse indispensabile ma, con queste temperature siberiane, sicuramente poco piacevole.
Per inciso qui, allo sbarramento di via Manzoni, sono finiti nei guai un paio di professori dell’orchestra, di quelli giovani e sportivi che girano in bicicletta per Milano anche d’inverno. Avevano ovviamente solo il badge dei dipendenti della Scala e ci hanno messo un po’ a spiegare che dovevano andare a suonare. E in ogni caso li hanno fatti passare solo previa apertura delle custodie dei violini.
Finalmente si è arrivati in teatro. Qui per antica consuetudine i giornalisti entrano dall’ingresso degli artisti, da dove salgono in Sala gialla, quella dove si svolgono i Consigli d’amministrazione e le conferenze, per l’occasione trasformata in sala stampa. Ma, prima di entrare in teatro, altra inquisizione: biglietto, documento, tasche svuotate (niente bis del metal detector, però). Solo dopo aver ottemperato si accedeva al Tempio, e peggio per i colleghi che non avevano calcolato il tempo e non si erano mossi con anticipo.
Intorno, uno scenario da guerra. Tutto il paesaggio nel quale dovremo fatalmente abituarci a convivere, e anche presto: poliziotti con il mitra, tiratori scelti con il fucile, cani antibomba e così via. Mobilitati almeno seicento agenti. Intanto fuori i manifestanti della Confederazione Unitaria di Base hanno avuto la bella idea di lanciare fumogeni. Sono seguiti quelli che in giornalese si chiamano «attimi di tensione» ma senza altri guai, e soprattutto senza guai seri. Tutto sommato, bene così.