La Stampa, 8 dicembre 2015
Il caso portoghese, dove la sinistra è riuscita ad unirsi nel nome della fine dell’austerità.
Ai confini dell’Europa è in corso un esperimento audace. In Portogallo le sinistre si sono coalizzate, mettendo da parte 40 anni di guerra nemmeno troppo fredda. La sfida è seria e rischiosissima: il nuovo premier socialista Antonio Costa, già sindaco di Lisbona, ha convinto i comunisti (molto ortodossi) e la sinistra radicale del Bloco (una sorta di Syriza) a votare la fiducia, sulla base di un programma che promette di chiudere la stagione dell’austerità. I socialisti, dopo il fallimento di ogni ipotesi di grande coalizione con la destra che aveva vinto le elezioni, governano con un monocolore, più qualche esterno, ma l’appoggio esterno per il momento resiste.
Il Portogallo non è un Paese qualunque, la troika proprio qui ha imposto per la prima volta le sue dure ricette. I risultati hanno soddisfatto Bruxelles e Francoforte (molto meno i portoghesi), ma la cura non è (o, almeno, non sarebbe) finita. Così, prima di assegnare l’incarico a Costa, il presidente della Repubblica Cavaco Silva ha obbligato il socialista a firmare una lettera nella quale si esplicitava il rispetto degli impegni europei. Tra i vincoli di Bruxelles e le promesse elettorali la distanza è tale che governare sarà durissimo. Anche se Costa evita prudentemente di sfidare l’Europa in stile Tsipras.