Corriere della Sera, 8 dicembre 2015
Tags : Fecondazione artificiale • Fecondazione eterologa • Gravidanza per altri • Surrogazione di maternità • Utero in affitto
La questione dell’utero in affitto. Se sia un atto d’amore o l’ennesima prepotenza sul corpo delle donne, come vuole un gruppo di femministe
IL campo di battaglia è sempre lo stesso, il corpo delle donne. È così dai tempi dell’aborto, della fecondazione assistita e adesso della maternità surrogata, o utero in affitto, come lo chiama chi ne chiede la messa al bando. Un campo in cui si incrociano i predicatori della maternità naturale, certi tiratori scelti della bioetica e, fra mille lacerazioni, il mondo del femminismo. L’ultima miccia è stata accesa da Senonoraquando-libere: «Rifiutiamo di considerare la “maternità surrogata” un atto di libertà o di amore», si legge nell’appello. «Non possiamo accettare che le donne tornino a essere oggetti a disposizione». Seguono le firme di intellettuali e artisti. Dacia Maraini oggi si smarca: «Ho firmato, ma la mia è stata una scelta frettolosa – ammette – sono perplessa, serve un confronto più profondo».
È sempre sfruttamento o può essere libera scelta generare un figlio per altri? Dobbiamo accettare i limiti posti alla scienza dalla natura o è necessario aprire la legislazione italiana a realtà diverse e già esistenti? Soprattutto, che spazio hanno – nel dibattito – i diritti dei bambini? Il diritto di non essere discriminati a seconda di come si è venuti al mondo? La materia è delicata, ovunque tocchi, qualcuno si sente ferito. «Esaminiamo un caso reale – dice Maurizio Mori, docente di Bioetica all’università di Torino – due sorelle, una giovane malata di tumore e l’altra sana che ha due bambini. Anche la prima vorrebbe un figlio, ma i medici le dicono che è pericoloso. La sorella le va in soccorso offrendosi per la maternità: come lo chiamiamo se non un gesto di solidarietà e d’amore? Perché impedirlo?».
GPA O UTERO IN AFFITTO
«Non sono i nomi a essere diversi, ma le cose di cui parlano», dice Andrea Rubera, che ha avuto tre bambini in Canada insieme al suo compagno. Quando si parla di utero in affitto si pensa subito agli episodi di sfruttamento di donne del terzo mondo. All’India, dove alcune cliniche offrono prezzi concorrenziali e le cronache raccontano di ragazze costrette a divenire madri per conto d’altri senza adeguate tutele sanitarie. La “gestazione per altri” cui si accede in Canada o negli Stati Uniti – di cui si sono avvalse alcune coppie di omosessuali italiani e cui fanno ricorso ben più spesso coppie etero – segue invece regole precise a garanzia delle donne. Per alcune femministe si tratta comunque di pratiche da condannare perché mercificano donne e bambini.
LA QUESTIONE ECONOMICA
Andrea e il compagno sono andati in Canada, dove tutte le persone coinvolte (aspiranti genitori, donatrice dell’ovulo e portatrice) sono sottoposte a colloqui con medici, psichiatri e assistenti sociali. Con il nulla osta sono entrati in un database e sono stati scelti da una donna lesbica che ha due figli e voleva offrire quest’esperienza ad altri (in Canada la surrogacy è “altruistica”, senza compenso). «Al battesimo dei bambini lei ha raccontato di essersi sentita loro “complice”, colei che li ha custoditi per 9 mesi prima di darli ai loro genitori». Claudio Rossi Marcelli nel 2011 ha scritto un libro “Hello daddy!” per raccontare la storia sua e del suo compagno che oggi vivono in Danimarca e hanno tre figli: «In America ci sono agenzie che si occupano di selezionare le possibili madri e hanno criteri precisi di età, reddito e salute per le donne che si offrono». La questione economica esiste: «Noi abbiamo pagato 20mila dollari, ma poi ci sono le spese mediche e le spese legali per i certificati di nascita, non c’è dubbio che i costi lievitino». Fino ad arrivare a? «Circa 100mila euro».
OMOSESSUALI DISCRIMINATI
Secondo alcuni la battaglia contro la gpa discrimina i gay a favore delle lesbiche, che possono avere figli senza bisogno della surrogacy. Cristina Gramolini presidente di Arcilesbica Lombardia e firmataria dell’appello di Senonoraquando-Libere – lo ritiene un falso problema: «Non è che a noi lesbiche viene attribuito un privilegio da norme fraudolente, non dobbiamo sentirci in colpa perché in quanto donne ci risulta più facile essere madri. Soprattutto, non per questo dobbiamo giustificare forme di commercializzazione degli esseri umani».
I DIRITTI DEI BAMBINI
Il dibattito in corso è stato usato – soprattutto dal centrodestra, ma anche da alcuni esponenti pd – per rimettere in discussione il ddl sulle unioni civili. A rischio è la parte sulla stepchild adoption, la possibilità di adottare il figlio del partner che si vorrebbe stralciare dal testo. «Una legge cattiva come la legge 40 sulla fecondazione assistita – dice il senatore Sergio Lo Giudice – conteneva un punto di civiltà: pur vietando l’eterologa, sanciva che nei casi in cui una coppia fosse andata all’estero per farla, il partner non poteva disconoscere il bambino. Il legislatore assumeva come priorità assoluta l’interesse del figlio. È la stessa cosa che stiamo cercando di fare con la stepchild adoption: garantire a tutti i bimbi gli stessi diritti. Assicurare loro due genitori. Fare in modo che nel caso a quello naturale accada qualcosa, colui che resta possa essere considerato suo padre». Lo Giudice ha un bimbo di un anno e mezzo con il suo compagno. «Lo abbiamo fatto nascere grazie a una donna californiana con cui siamo in continuo contatto e che presto andremo a trovare. Quando arriverà il momento delle domande, gli diremo tutto, non c’è nulla di cui dobbiamo vergognarci». Spiega Andrea Rubera: «Artemisia che oggi ha 4 anni, è mia figlia biologica. Jacopo e Cloe, che ne hanno 2, sono figli del mio compagno. Quando siamo in Canada, dove siamo sposati, siamo una famiglia e loro sono fratelli. Bastano 9 ore di volo per tornare qui e ritrovarci come due single che vivono insieme con bimbi che non sono considerati fratelli tra loro. Se Dario andasse via coi gemellini io non avrei diritti su di loro e i bambini non avrebbero la mia tutela. Lo stesso se io portassi via Artemisia. Per andare a prenderli a scuola dobbiamo firmarci le deleghe, come per le tate». Un problema che vivono tutti i giorni Marilena Grassadonia, presidente delle famiglie Arcobaleno, e la sua compagna. Hanno tre bambini, ma Flavio, nato da Marilena, non è considerato per la legge italiana fratello di Diego e Jordi: «Non a caso abbiamo varato la campagna Figli senza diritti. Sono figli voluti, cittadini italiani, vogliamo porci il problema di come tutelarli al di là dei folli dibattiti sulle biologie?»