8 dicembre 2015
In morte di Tonino Milite
Franco Manzoni sul Corriere della Sera
Umile, generoso, un genio dal carattere mite ma deciso, Tonino Milite sapeva declinare nella vita il motto oraziano a lui così caro dell’ aurea mediocritas. Intellettuale, poeta, pittore, è scomparso ieri a Milano a 73 anni. Celebre per aver brevettato la bandiera arcobaleno nel 1981, simbolo ormai nel mondo del pacifismo, confessava di aver avuto questa idea dopo aver accompagnato il figlio di sua moglie, Mario Calabresi, nominato direttore di «Repubblica», a una manifestazione. Si stupì di riuscire a trovare solo bandiere di partito e non una che rappresentasse la volontà comune di schierarsi contro la guerra.
Aveva esposto le proprie opere visive alla Triennale di Milano, al Mart di Rovereto, al Museo d’arte di Lugano. Nato a Tirana, in Albania, nel 1942, Milite aveva studiato a Lucca e all’Accademia di Brera di Milano. Aveva iniziato la carriera come illustratore, allievo prediletto di Bruno Munari.
Sposato con Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, aveva pubblicato numerose sillogi poetiche, come Dubi ti amo (1997), L’intermittenza del giallo (2005), MeTeOra (2008), L’ora stupita (2011). Narrava che aveva iniziato a scrivere in treno, concepito come un limbo, luogo di intermezzo fra partenza e arrivo. Dal verso «Spingendo la notte più in là» di Milite, l’uomo che lo ha cresciuto, nel 2007 Mario Calabresi, che ieri ha ricordato lo stesso Milite con un tweet, ha tratto il titolo del suo libro dedicato alle vittime del terrorismo.
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Chiara Gatti su Repubblica
MILANO Come pittore ha creato un universo magico, dai colori fluo, popolato di creature misteriose, a metà strada fra incisioni rupestri ed entità aliene con corpi di luce trasparenti. Come poeta, ci ha regalato versi ermetici ma pieni di dolcezza. Simili a lui, che parlava poco; un uomo allo stesso tempo rigoroso e gentile, severo e ironico. È morto ieri mattina a Milano Tonino Milite. Aveva 73 anni ed era nato nel 1942 in Albania, a Tirana, durante una trasferta all’estero di suo padre, che lavorava in polizia. Dopo una adolescenza trascorsa a Lucca, terra della sua famiglia da generazioni, approdò a Milano. Erano i primi anni Settanta e ci arrivò in autostop, reduce da un viaggio in Sudamerica. Si iscrisse all’Accademia di Brera e iniziò a frequentare il mondo effervescente degli studi e delle gallerie. Vivere a Milano, negli anni Settanta, voleva dire arte, design, industria: il top dell’estro italiano e la massima armonia fra artisti, progettisti, editori. Un laboratorio delle creatività guidato da nomi straordinari. Uno fra tutti: Bruno Munari, genio politecnico, pittore, designer, grafico e scrittore, a cui Milite guardò come a un maestro. Conosceva bene il suo lavoro, l’intelligenza allegra, la capacità di mettere in dialogo il proprio lato infantile, privo di sovrastrutture, con una grande serietà nella ricerca di forme nuove, espressive e pedagogiche. Anche lui era un po’ fanciullo e un po’ ingegnere. Disegnava, già all’epoca, fantasie extraterrestri, gingilli meccanici memori della scuola futurista di Depero. Ai margini dei fogli o delle tele, trascriveva titoli che sembravano piccole sciarade, neologismi o anagrammi, destinati col tempo a diventare (micro)poesie a tutti gli effetti. Con Munari la sintonia fu immediata. Collaborarono a lungo nei famosi laboratori didattici, il progetto leggendario di educazione in libertà. Mosso dallo stesso desiderio di coltivare la leggerezza e lo stupore, Milite costruì il suo microcosmo immaginario, convinto che, fra i colori e i versi, non ci fosse differenza e che l’unico legante si chiamasse poesia. Affascinato dai ritmi delle parole e dei toni, dei suoni e della visione, disegnò anche la celebre bandiera arcobaleno, progettata nel 1981 quando, durante una manifestazione pacifista in largo Cairoli, a Milano, si accorse che ogni vessillo era legato a un movimento politico diverso e non ne esisteva uno che li riunisse tutti. Nel 1984 sposò Gemma Capra Calabresi e fece da padre ai tre figli del commissario ucciso. Dal matrimonio nacque un quarto figlio, Uber. Docente di Tecnica dell’illustrazione presso la Scuola d’arte del Castello Sforzesco, alternò alle mostre – allestite fra la Triennale di Milano, il Mart di Rovereto o il Museo d’arte di Lugano – l’attività letteraria: iniziò ad affidare i suoi versi alle stampe, pubblicando negli anni vari libri di poesie. Nel 1997 uscì Dubi ti amo, mentre nel 2001 Garzanti pubblicò una sua opera sulla copertina del volume Il Novecento, nella Storia della letteratura italiana. Dalla raccolta di poesie, uscite per Mondadori, L’intermittenza del giallo, Mario Calabresi trasse il titolo del suo libro autobiografico, citando il verso «spingendo la notte più in là». Proprio Calabresi ieri lo ha ricordato con un tweet: «Poeta, pittore, uomo generoso e creativo. Fece da papà a me e ai miei fratelli portandoci fuori dalla notte». Il titolo di un’altra, recente raccolta, Meteora, contiene un gioco di parole scomposte che dice tutto sulla personalità limpida e intensa di Milite: «Meteora / per me, te, ora».
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Gianni Riotta sulla Stampa
Se il Dalai Lama ha ragione quando dice «La mia religione è semplice: essere gentili», Tonino Milite, il pittore, designer e poeta nato a Tirana nel 1942 e scomparso ieri a Milano, era un uomo molto religioso. Nella sua arte, nei modi, nei versi di MeTeOra (Mondadori) e L’intermittenza del giallo, nella collaborazione con il grafico Bruno Munari, nelle amicizie e nella vita familiare, Milite si poneva con una schiva, divertita, affabile e serena dimestichezza che strideva spesso contro lo snobismo, un po’ cinico, diffuso tra gli intellettuali.
Milite s’era laureato all’Accademia di Brera, allora centro del design e delle arti grafiche in Europa, apprendendo un pragmatismo estetico, comune al suo maestro Munari, per cui disegno, tecnica, progetto artistico non hanno confine, ma intrecciano Bello e Utile. In questo spirito, nei primi anni Ottanta, Tonino Milite disegna la bandiera della pace, usando i colori dell’arcobaleno, senza rivendicarne la paternità, ma vedendola con gioia garrire tra gli studenti. Dedicandosi alla poesia, non aveva dunque percepito alcun salto logico tra disegno e parola, anzi giocava con i testi come scarabocchi, in MeTeOra e nell’Intermittenza del giallo provava a narrare la sospensione esistenziale della vita, nell’attesa di un destino personale indefinitamente rinviato, come lo scandire dell’attesa nel giallo di un semaforo a un crocevia umano.
Milite era uomo di sinistra, libertario progressista senza ideologie o fedeltà settarie di partito, e non pochi, tra amici e parenti, erano rimasti sorpresi (qualcuno sollevando un sopracciglio in disappunto) quando s’era innamorato, e poi aveva sposato, Gemma Calabresi, vedova del commissario Luigi Calabresi, ucciso nel 1972 da un commando di terroristi nel clima di odio seguito alla strage di piazza Fontana del 1969.
Il direttore di questo giornale, Mario Calabresi, ha raccontato nel suo libro Spingendo la notte più in là come la giovane vedova, ridotta alla disperazione dal dolore, portasse i tre figli, piccolissimi, a giocare tra le tombe al cimitero, ormai persuasi fosse una sorta di parco pubblico. Milite si fa carico dei tre bambini, cui dopo si aggiunge un quarto fratello più piccolo, Uber, li scarrozza in gita, li fa cantare, riporta pian piano la serenità. Neppure la malattia, che l’aveva rallentato nei movimenti durante gli ultimi anni, gli impediva, incontrando un amico, di guardarlo negli occhi e proporre idee per incontri, iniziative, nuove opere d’arte. Nell’infinita litania di polemiche e processi, fino alle condanne che seguono dopo decenni l’assassinio di Luigi Calabresi, Tonino Milite non pronuncerà mai una sola parola di odio, di astio, di veleno, fedele al garbo della sua personale «Religione della gentilezza».