Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 08 Martedì calendario

In morte di Krizia

Gian Luigi Paracchini sul Corriere della Sera
C’erano tre argomenti di cui Krizia non amava parlare: la minigonna, che sosteneva d’aver lanciato negli anni 60 non meno di Mary Quant, il carattere fumantino, figlio d’un temibile perfezionismo, e (da almeno un paio di decenni) l’età, perché come spiegava «dentro resto la stessa ragazza entusiasta e curiosa».
Ora che Krizia, come tutti conoscevano Mariuccia Mandelli, bergamasca tosta classe 1925, se n’è andata l’altra sera per un malore, viene facile ricordare quanto temesse la pensione più che la morte e quanto avesse programmato di lavorare fino a 90 anni, obiettivo mancato di poco quando nel febbraio 2014 il suo marchio è passato ai cinesi di Shenzen Marisfrolg Fashion. Con lei esce di scena una capostipite del gusto italiano per lo stile (poi rubricato in Made in Italy ), ma anche una figura femminile che ha saputo precorrere i tempi a prescindere dall’altezza dei tacchi e da certi dettagli aggressivi delle sue creazioni. Nello spirito, Mariuccia è stata un progetto di donna indipendente, determinata, fuori dagli schemi, fin da bambina quando, con pragmatismo lombardo, considerava la bambola un mini-manichino per testare la sua inventiva.
L’aspettativa dei suoi era farne una signorina di buoni studi (spedita in Svizzera) e pronta a un’agiata vita familiare. Invece, dopo qualche anno di maestra nelle brume di Cassano d’Adda e il trasferimento a Milano dove gira in Lambretta, cambia drasticamente direzione. Forse è proprio in quei pochi anni di sillabario e calamaio che Mariuccia, accompagnando le amiche a comprare abiti, e trovandoli quasi tutti orrendamente inadeguati, comincia la mutazione in Krizia, nome pescato dai dialoghi di Platone. Accantona dunque il progetto «signora maestra» e con l’amica Flora Dolci produce abbigliamento che regali un’aria più giovanile, ma soprattutto nuova, disinvolta. Sono gli anni 50, quelli delle speranze dopo la guerra. L’affascinante Mariuccia, già con inizio di frangetta, ma non ancora con i maxigioielli (soprattutto anelli) dopo imprescindibili, frequenta Brera incrociando artisti come Fontana, Guttuso e gente dello spettacolo come Gorni Kramer e Lelio Luttazzi. È proprio Luttazzi che trasferendosi a Roma le cede un appartamentino in via Mario Pagano che diventa il suo primo atelier. Da lì Krizia sale da sola la scala del successo: a fine anni 50 si butta sugli abiti con stampe di frutta poi ecco la fase del bicromico bianco-nero e via via, come nel caso degli hot pants, sempre con maggiore piglio imprenditoriale grazie all’incontro con Aldo Pinto, sposato in Giamaica, che diventa la sua devota anima sentimental-manageriale e che l’altra sera nella casa milanese le era accanto, anche se malato da tempo.
Stregata dal lavoro, ma con il debole della cultura, che non l’ha mai lasciata. A casa del regista Francesco Rosi, che aveva sposato sua sorella Giancarla, conosce Luchino Visconti e altri grandi. Coltiva cinema, letteratura, architettura e arte: nelle citazioni sui tessuti degli abiti (Schifano, Kandinsky) e negli incontri personali. Il suo ritratto multiplo firmato da Andy Warhol resta fra i più popolari dell’artista pop. Poi c’è l’impegno allo Spazio Krizia, nella sede di via Manin, aperta dalla stilista al pubblico, dove passano Arthur Miller, David Leavitt, Doris Lessing, Dario Fo, Ettore Sottsass, Susan Sontag e dove una certa Milano di buon cognome le si riunisce attorno per il concerto di Natale incluso panettone con crema al mascarpone e canditi.
Il mondo della moda non è tenerello, ma non le manca mai il rispetto perché Mariuccia è già Krizia quando gli altri cominciano a essere qualcuno: c’è una sua vecchia foto in piscina, in apparente atteggiamento da maestra con colleghi fra cui Ferrè e Armani, che oggi così la ricorda: «Imprenditrice pionieristica, immaginazione inarrestabile, carattere forte, stilista ironica con gusto borghese e trasgressivo».
I momenti-no? Quando le fu contestato d’aver cavalcato la Milano da bere socialista, anche se lei spiegava d’aver incontrato Craxi solo alle prime scaligere. O quando è inciampata, con altri colleghi, nell’accusa di corruzione alla Guardia di Finanza nell’ambito di «Mani Pulite», salvo poi essere prosciolta completamente.
Non c’è intervista in cui non le sia stato chiesto se avesse nostalgia dei figli. «Sì – era la risposta – ma il lavoro mi ha distratto e non mi sono accorta che il tempo passava».
•••
Laura Asnaghi su Repubblica

MILANO. ERA una donna irrefrenabile, vulcanica, così libera da condizionamenti che gli americani l’avevano ribattezzata “Crazy Krizia”. L’altra sera, nella sua casa milanese, è morta Mariuccia Mandelli, in arte Krizia. Aveva 90 anni, a gennaio sarebbero stati 91. La sua carriera da stilista è stata tra le più longeve del “fashion system”, più di 57 anni. Nel 1995 alla Triennale i 40 furono celebrati in una mostra col contributo della costumista Gabriella Pescucci e dello scenografo Dante Ferretti. Da qualche anno s’era ritirata e nel 2014 aveva venduto il marchio a Zhu ChongYun, una delle donne più ricche della Cina. «Ha fatto conoscere la bellezza e l’eleganza dello stile italiano e milanese nel mondo» ha detto ieri il sindaco di Milano Giuliano Pisapia mentre il presidente del consiglio Matteo Renzi l’ha ricordata come “protagonista assoluta della moda”. Mariuccia Mandelli, che aveva scelto come nome d’arte Krizia ispirandosi ai dialoghi di Platone sulla vanità, era nata a Bergamo, il padre era un ferroviere. Aveva fatto le magistrali ma era attratta dalla moda. Così, con l’amica Flora Dolci si lanciò nell’avventura. In un appartamento messo a disposizione dal musicista Lelio Luttazzi creò un laboratorio con una macchina da cucire, un tavolo e alcune lavoranti. E lì nacquero le prime creazioni. A venderle pensava lei: riempiva una valigia e girava le boutique più prestigiose. A Torino, a fine anni 50, al Samia, il mercato dell’abbigliamento, il suo stand fu preso d’assalto dai compratori, i settimanali femminili puntarono i fari su lei e la sua moda che piaceva tanto anche agli americani. Krizia decollò e chiamò come consulenti Walter Albini e Karl Lagerfeld, destinati a loro volta a diventare grandi stilisti. Ma lei, donna intraprendente e con un carattere a volte tagliente, non perse mai il controllo sulle sue collezioni: sceglieva e calibrava tutto per dare alla sua donna un’impronta determinata. Krizia sorprese e affascinò con le sue maglie tricottate, ma anche con gli hot pants. Nel ’64 fu chiamata a sfilare a Palazzo Pitti dove mostrò i suoi celebri abiti plissé, ispirati al grattacielo Chrysler di New York. Nel ’68 incontrò Aldo Pinto che diventò suo marito, una coppia solida anche sul piano professionale. Proprio in questo periodo Krizia iniziò a disegnare le maglie coi felini. Leopardi, tigri, pantere, che lei temeva moltissimo. Ma nonostante questo la pantera diventò il suo simbolo. Una passione coltivata insieme all’arte moderna e contemporanea. Negli anni 70, Krizia lasciò Firenze per Milano dove, grazie a Beppe Modenese, nacque la passerella del “made in Italy” cavalcata, tra gli altri, da Missoni, Biagiotti, Ferrè e poi anche da Armani e Versace.

A Milano, il suo quartier generale di via Manin, inaugurato nell’84, divenne sede delle sue sfilate e punto di riferimento culturale e politico per la Milano laica. Lo “spazio Krizia” ha ospitato importanti mostre, concerti (un rito quello di Natale), dibattiti, presentazioni di libri, in particolare della casa editrice Tartaruga, di cui era socia. Nell’86 fu nominata Commendatore della Repubblica e al culmine della fama incappò nell’inchiesta Mani Pulite, accusata di aver versato tangenti alla Guardia di Finanza. Ma ne uscì assolta con fomula piena. Krizia è stata anche una femminista convinta, schierata a sinistra (era socialista).

Ha ha vissuto la moda con grande passione, affiancata per molti anni dalla cugina Rossella Mauri. Eclettica e instancabile, ha disegnato di tutto. Su licenza, ha prodotto occhiali, borse, piastrelle, cravatte, orologi e persino uno spumante. Così la ricorda Giorgio Armani: «È stata tra i grandi protagonisti della trasformazione di Milano in capitale della moda. Era una donna dall’immaginazione inarrestabile e dal carattere forte, pronta alla polemica e alla battaglia. Abbiamo condiviso alcune scelte di fondo del nostro settore, discusso in disaccordo totale su altre. Ha rappresentato con ironia l’anima pop del fashion e un certo gusto borghese che rivelava una voglia di trasgressione».

•••

Natalia Aspesi su Repubblica

LA Mariuccia era diventata subito un’amica, al di là del fatto che ci eravamo conosciute per lavoro e lei stava diventando una delle prime grandi firme della nostra moda, prima di Armani e degli altri.

Era bella, alta, con le sue storie d’amore tempestose, un grande amore per la sua mamma e un rapporto fiammeggiante con la sorella Giancarla che viveva a Roma nel mondo del cinema e avrebbe sposato il regista Gianfranco Rosi. Pur essendo tutte e due di sinistra, come Rosi, le sorelle litigavano continuamente al telefono soprattutto per la politica, anche perché non era facile non litigare con Mariuccia, che improvvisamente si scaldava e non la smetteva più.

L’ammiravo per il suo accanimento nel lavoro. Per i racconti di come aveva cominciato, lasciando la sua Bergamo per girare tra i negozi di Milano con una valigia piena di suoi modelli. Per l’eccezionalità delle sue creazioni leggiadre, femminili, certe volte fatate, e comunque sempre diverse dal gusto corrente, che nascevano con l’aiuto della giovane assistente Anna Dominici: che a un certo punto se ne andò e alla Krizia cominciarono ad alternarsi stilisti già noti o che poi sarebbero diventati famosi, Walter Albini, Karl Lagerfeld, Quirino Conti. Elbaz.

Intanto era finalmente arrivato il grande amore, quello solido, da sposare, il suo Aldo, Aldo Pinto, di una importante famiglia di Alessandria d’Egitto che aveva dovuto lasciare perché ebreo e che nel lavoro dell’azienda milanese, ormai ingigantita, era diventato il suo miglior collaboratore.

Alla Mariuccia si perdonava molto anche per la sua generosità grandiosa, che si arrestava solo quando temeva di essere sfruttata. Le sue case di Milano, della Sardegna, di Appiano Gentile, arredate con gusto sicuro e piene di raccolte preziose e di libri, erano sempre aperte ad amici e cortigiani.

Per i miei 50 anni diede in campagna, attorno alla piscina, una festa notturna indimenticabile. Poi senza ragione i nostri rapporti si allentarono, forse perché stavamo invecchiando, e la stanchezza degli anni ci separava.

•••

Sara Ricotta Voza sulla Stampa

Da gran sciura milanese - anche se nata bergamasca - Krizia se ne è andata la vigilia di Sant’Ambrogio nel suo bell’attico in Porta Romana, stesso isolato di Dario Fo e Franca Rame. Se ne è andata all’improvviso per un malore, accanto al marito Aldo Pinto, splendido novantenne come lei.

Li avevamo visti a casa loro qualche anno fa per un’intervista prima di quella che sarebbe stata la sua ultima sfilata. Lei parlava sotto il ritratto che le aveva fatto Andy Warhol, lui andava e veniva lentamente, tenendola d’occhio passando da una stanza all’altra. L’udito era un problema per entrambi, non si sentivano granché ma si sorridevano molto e si vedeva che dietro la grande stilista c’era un grande uomo e un grande matrimonio. «Un’unione fantastica, piena di grande amore e niente corna» ci disse, «Lui viene da una famiglia cosmopolita, parla inglese francese e arabo, è stata una spalla importante». Un bel riconoscimento per una che non accordava grandi meriti a chiunque altro che non fosse lei. «Ho sempre fatto tutto io, quando ho cominciato a prendere direttori generali erano uno peggio dell’altro…».

E che abbia fatto tutto lei è letterale, a cominciare dalla prima collezione di 100 vestiti per bambola con cui si conquistò l’ammirazione delle amiche e delle loro mamme, che le dicevano «Tu sei più povera ma vesti meglio di tutte noi». Invece di risentirsi, la giovane Mariuccia Mandelli la prese come un’iniezione di autostima e continuò a coltivare il talento della moda con gli studi da maestra perché, come diceva la madre, «prima bisogna lavorare». Ma avrebbe lasciato presto la lavagna per Milano, dove aprì un laboratorio con l’amica Flora Dolci. «Facevamo gonne e vestitini, io li mettevo in valigia e li portavo nei negozi». Nel 1957 il primo salto vero, con i suoi abiti a macrostampe di frutta al Samia di Torino, il salone di quella che allora si chiamava «moda pronta». «Si preferisce la parola francese prêt-à-porter ma è nato in Italia», ci spiegò, lei che era aperta al mondo ma le lingue straniere preferiva farle parlare al marito. Le dicevano che era arrivata «con due stampe e aveva fatto il botto», così nel ’64 era già al Pitti, dove sfila e vince, prima donna a ricevere un premio che l’ultima volta era stato assegnato a Emilio Pucci. Poi sarà un crescendo fino agli Anni Ottanta e al boom del made in Italy, di cui sarà uno dei «commendatori» (nominati nell’86) con Armani-Ferrè-Versace-Valentino

Perché piaceva? Perché anticipava. «La mia vergogna più grande era copiare, così cercavo idee nelle boutiques strane a Parigi e Londra, non parlando inglese». Così nascono le sue «invenzioni»: gli hot pants, la maglieria a intarsio, gli abiti scultura, l’animalier, il plissé. E non anticipava solo idee moda, ha fatto prima cose che tutti gli altri faranno molto dopo. Tipo le mille licenze a cominciare dai profumi, un resort ai tropici (il KClub), un luogo bello (lo Spazio Krizia) dove ospitava eventi culturali, il concerto di Natale e ci veniva il «tout-Milan» compreso Umberto Eco. Sapeva di essere una «comandona», «rompo le balle ma ora sono anche un po’ stanca» ci disse. Ma non pensò a un successore. «Mi chiedo se debba trovarlo, non che sia gelosa, è che quel Krizia non sarò io».

È stato il successore a cercare lei, nei panni di una imprenditrice cinese altrettanto volitiva che ha sempre ammirato Krizia e comprato marchio, Spazio e tutto, e sfila a Milano disegnando collezioni che si ispirano ai must della stilista ora scomparsa. Domani i funerali in sant’Angelo, chiesa francescana come i sandali che lei portava in  casa, con le calze a righe colorate.

•••

Egle Santolini sulla Stampa

Una donna lombarda di nerbo, sostenuta dal coraggio e, come diceva lei, «dalla costanza, dalle fatiche e dalla passione». Soprattutto, Krizia (il nome l’aveva preso a prestito dal dialogo incompiuto di Platone sulla Vanità femminile) ha dimostrato con molto anticipo rispetto agli altri come la moda non fosse soltanto un abito da infilarsi addosso ma un’affermazione estetica complessiva: la prima ad aprire uno spazio culturale che porta il suo nome, la prima a concepire un albergo da lei disegnato da cima a fondo, nel paradiso tropicale di Barbuda.

Gli amici milanesi, oggi, raccontano con nostalgia di quando Mariuccia Mandelli era una ragazza di Bergamo con la valigia, anzi «la valigetta», in giro per negozi a piazzare i suoi primi abiti e le sue prime camicie, ideate con l’amica Flora Dolci. Era la Milano del boom economico che si raccoglieva attorno alla Triennale, alla facoltà di Architettura e agli studi dei designer, nel momento di passaggio dalla sartoria artigianale alla mistica del Made in Italy: dove Giorgio Armani diventa sarto dopo esser stato vetrinista della Rinascente, Brunetta Mateldi ritrae a china e con precisione da entomologa le signore della città per l’«Espresso» e Walter Albini, dandy e supremo disegnatore, s’ispira all’America folle del «Grande Gatsby» di Francis Scott Fitzgerald.

La Mariuccia con la valigia dei primi Anni Sessanta, precedente al grande exploit di Firenze del 1964 con la vittoria al Premio della Moda, è in fondo una sorella di Valentina Rosselli, la fotografa a fumetti creata dalla matita di Guido Crepax, che lavora come un uomo ma non sacrifica un grammo della propria femminilità: la frangetta alla Louise Brooks che rimarrà per sempre fissata nei multipli di Andy Warhol, gli occhi caldi e intelligenti, un gusto per la lettura e il senso del bello, un attaccamento al dovere di stampo calvinista che non l’abbandonerà fin quasi alla fine. «Crazy Krizia», certo, come la chiameranno a New York. Ma anche Krizia con i piedi per terra e il senso del mercato.

La scelta dello pseudonimo, di sapore classico, è già una dichiarazione d’intenti. E scrittori, pittori, intellettuali e architetti rimarranno per sempre gli amici più cari di Mariuccia e di suo marito Aldo Pinto: Inge Feltrinelli prima di tutto, e poi Silvana Mauri Ottieri, Giorgio Bocca e Silvia Giacomoni, Carla Vanni storico direttore di «Grazia», il designer Ingo Maurer, riuniti sul prediletto mare di Sardegna, nel silenzio e nella quiete di cui aveva un bisogno quasi animale.

La qualifica di stilista le sta stretta fin da subito, e infatti Mariuccia s’inventa un mondo intorno fatto di bei quadri e nutrienti conversazioni: una passione che culminerà, negli Anni Settanta, con l’apertura dello Spazio Krizia di via Manin, specie di salotto allargato dove gli scrittori fan la fila per presentare i propri libri e che, durante il Salone del Mobile, si riempie di novità e di curiosi. Non si è negata neppure lo slancio della passione politica: da sempre femminista e di sinistra, nel 2011 ha militato nelle fila di Libertà e Giustizia, appoggiando la campagna di Giuliano Pisapia a sindaco di Milano. Ma aveva cominciato a morire, raccontano i più fedeli, quando se ne andò, nell’aprile 2010, l’amatissima sorella Giancarla Rosi.