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 2015  dicembre 08 Martedì calendario

Il Venezuela con l’inflazione al 200 per cento, fa perdere gli eredi di Chávez. Il presidente Maduro rischia di essere cacciato con un referendum

L’unico risvolto positivo per i chavisti è poter replicare ai sospetti. «Per una volta abbiamo perso, avete visto? Il sistema elettorale in Venezuela è pulito, non ci sono mai state frodi». Per il resto c’è solo il sapore della disfatta, se non della fine di un’epoca.
La vittoria alle legislative di domenica è andata oltre le più rosee previsioni dell’opposizione. Il cartello unico Mud ha conquistato la comoda maggioranza del Congresso, la Camera unica, mettendo per la prima volta il chavismo in minoranza. Finora, prima Hugo Chávez poi Nicolás Maduro, hanno potuto fare il bello e il cattivo tempo con il legislativo, con maggioranze talmente ampie da approvare qualunque cosa, infarcire Corti e authority soltanto con fedelissimi, dire sì alle ripetute richieste di poteri speciali della presidenza. Durante la lunga battaglia contro il cancro che poi lo uccise, Chávez si fece dare tre volte persino l’autorizzazione a guidare il Paese da un ospedale cubano, intubato dopo una operazione. Alla guida del Congresso c’è poi sempre stato un uomo forte del regime, come l’attuale numero due Diosdado Cabello, con il chiaro intento di svuotare qualsiasi voce dissonante con quella dell’esecutivo.
Ora tutto ciò non sarà più possibile, e il «socialismo del XXI secolo» si troverà costretto a condividere il potere, come avviene in molti sistemi presidenziali nel mondo.
Il conteggio della ripartizione dei seggi ha ampliato il distacco: l’opposizione avrebbe 112-114 deputati, oltre il doppio del chavismo, fermo a 51-53 seggi. È un margine che permette ai vincitori persino di mettere mano alla Costituzione, trasformata via via dal governo in senso socialista e accentratore negli ultimi quindici anni.
Quali saranno dunque le priorità della risorta opposizione? La lista delle urgenze è lunghissima, dicono, considerata la gravità della crisi economica, ma è possibile che la prima sia una legge più politica e simbolica, un’amnistia per quelli che vengono considerati prigionieri politici. Sarebbero una settantina gli oppositori in carcere, con in testa Leopoldo López, capo di Voluntad Popular (la cui battagliera moglie Lilian Tintori è un simbolo della vittoria di domenica), poi l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma, l’ex candidato presidenziale Manuel Rosales e alcuni leader studenteschi.
L’oppositore moderato Henrique Capriles sostiene che la priorità è mantenere unito il fronte anti-chavista e invita il presidente Nicolás Maduro a piegarsi alla volontà popolare, espressa dalla nuova maggioranza del Congresso. «L’ho sempre detto che la strada era il voto», ha detto Capriles, il quale dopo aver perso contro Maduro lo scorso anno ha respinto scorciatoie di piazza e forzature preferendo aspettare l’appuntamento con le urne.
L’altro tema che dominerà il Venezuela nei prossimi mesi è quello del referendum revocatorio, una norma costituzionale che permette l’allontanamento di un presidente a metà del suo mandato. È un’arma che l’opposizione usò invano contro Chávez nel 2004 (ne uscì confermato e rafforzato) e il cui esito stavolta sarebbe quasi scontato, visti gli alti indici di impopolarità di Maduro.
Più difficile prevedere le mosse del regime, nel mese che manca all’insediamento del nuovo Congresso. Lo smarrimento per i numeri che continuavano ad arrivare ha fatto ritardare di ore la proclamazione dei risultati. Nella notte di domenica, Maduro ha poi ammesso la sconfitta, ma non la paternità del crollo, che sarebbe invece dovuto, a suo parere, alla «guerra economica» scatenata dalle oligarchie contro il socialismo bolivariano. «Ha trionfato una strategia, il capitalismo selvaggio che nasconde i prodotti di prima necessità o ne manda i prezzi alle stelle, in una guerra senza uguali». Il riferimento è alla dura crisi economica che sta attraversando il Paese, con l’inflazione prossima al 200 per cento all’anno, il crollo previsto del Pil 2015 al 10 per cento e la mancanza di molti beni di consumo. Tra le leggi chaviste che l’opposizione potrebbe cancellare ci sono quelle sul controllo dei prezzi e sugli espropri alle imprese private, entrambe ritenute responsabili del progressivo crollo della produzione industriale e di quella agricola.