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 2015  dicembre 06 Domenica calendario

Il Milan, Belen e i gossip: confessioni di Marco Borriello

Da quando esiste il pallone, gli attaccanti contano gelosamente i propri gol e per aggiungerne uno molti di loro commetterebbero quasi ogni tipo di nefandezza. Marco Borriello non li ha mai contati e domenica scorsa non sapeva di aver segnato il numero 100 da professionista. «Me l’hanno detto dopo la gara» conferma ridendo. Borriello non ha mai contato i gol ma se li è goduti tutti, questione di stile di vita. Alla quantità Marco preferisce la qualità, da sempre e in ogni ambito: le case (è appassionato di arredamento, gli appartamenti di Milano e Ibiza sono da sogno), la moda (altra passione), le donne ovviamente. E il calcio: ha giocato a Milano, Roma, Torino, Londra. Ha un ricco bagaglio che per qualche mese ha messo a disposizione del Carpi. Oggi Borriello ritrova il Milan: un viaggio nel tempo che facciamo con lui.
Borriello, quante sliding doors ha vissuto?
«Qualcuna, ma non rimpiango niente. La strada che ho preso mi ha arricchito a livello personale. Sono stato al Milan per sei stagioni. Ho giocato poco, tranne nella stagione di Leonardo, ma ho vissuto con dei campioni: è stata una scuola di vita. Non rimpiango nemmeno di essere andato a Roma. E poi i cambiamenti mi hanno fatto crescere. Adesso ho ancora molte motivazioni. Però, pensandoci bene, un rimpianto ce l’ho: non aver giocato in coppia con Totti. Eravamo considerati in alternativa. Peccato che la Roma non mi abbia dato fiducia. Sarei rimasto lì per tanti anni, ma non giocavo mai: poi cosa avrei raccontato ai nipotini...?».
La sua carriera è stata un po’ compromessa dal gossip?
«Ho cercato di fregarmene di quello che pensava la gente, ma a tratti ho sofferto. La mia immagine è stata legata al gossip solo perché sono stato fidanzato con Belen, che è la showgirl più famosa degli ultimi 50 anni insieme alla Carrà. Non so se tutto questo mi abbia danneggiato, ma sicuramente ha creato una visione distorta di me: tanti luoghi comuni, ma sono stato sempre un professionista esemplare che ha vissuto e vive tuttora per il suo lavoro. Adesso grazie ai social forse riesco a farmi conoscere meglio. Fortunatamente i dirigenti competenti mi hanno sempre apprezzato».
Ventinove aprile 2001: primo gol tra i professionisti.
«Giocavo nella Triestina, segnai di testa al Novara in C2».
Adesso i gol sono 101. Diciamolo: pochi.
«Vero. Ma ci sono stati anni di panchina e tribuna. Va bene così. Tutto mi ha fatto crescere».
Soprattutto mancano 24.899 gol per arrivare al totale di quella frase meravigliosa: «Sto in panchina io che ho fatto 25.000 gol». Ha rivisto la scena su youtube?
«Certo. E rido ogni volta. Fu uno sfogo sano per un’arrabbiatura sana. Ottavi di Champions, Roma-Shakhtar, nel girone avevo fatto 4 gol in 6 partite, eppure ero di nuovo in panchina».
Restando a Roma, il suo gol al Chievo regalò il record delle 10 vittorie consecutive a inizio campionato. Garcia sognava lo scudetto. Cosa manca?
«A Trigoria si respira la storia. Roma è un ambiente bellissimo, ma anche difficilissimo per le pressioni. Bisogna tenere i nervi saldi. Non c’è in Italia una squadra così ricca di talento. Però si vede che manca qualcosa: io so cosa, ma non glielo posso dire».
Lei è napoletano: ricorda la festa per gli scudetti di Maradona?
«Fu bellissimo. Andavo in giro con la Fiat Uno di papà che aveva il tettuccio apribile. Così mostravo il ciuccio pitturato di azzurro. Sono sempre stato tifoso del Napoli. Se non andavo allo stadio seguivo la partita dalla radiolina rossa della Sony di mio padre: portava fortuna».
Napoli può preparare una nuova festa?
«Il Napoli gioca benissimo e Higuain sposta gli equilibri. Però è tutto aperto. Inter, Juve e Roma possono vincere».
Cosa si porta dentro dell’esperienza alla Juve?
«Il concetto che tutti eravamo utili e nessuno indispensabile. Un grandissimo allenatore che dava una carica incredibile. E poi Del Piero e Buffon: intelligenza superiore anche fuori dal campo».
Se lei si fosse allenato un po’ di più con Conte...?
«Magari succederà ancora, chi lo sa... Conte pretende tanto, ma nelle partite importanti mi ha fatto sempre giocare».
Anche in questo caso conosce l’ambiente: la Juve rimonterà?
«Può riuscirci. Le parole di Buffon hanno fatto cambiare tutto: quando il Re Leone ruggisce il branco lo segue. “Fino alla fine forza Juventus”: è questo il motto, è questo che canta la curva».
Stasera ritrova il Milan. È la casa in cui è cresciuto e in cui è tornato prima dell’addio definitivo.
«Lì ho imparato tutto: la cultura del lavoro, la gestione della pressione, il rispetto. Nello spogliatoio mi giravo e vedevo solo capitani di ogni nazionale. Pazzesco. Il ricordo più bello è l’esordio in A. Sento ancora spesso Billy Costacurta e Massimo Ambrosini e ogni tanto vedo Paolo Maldini».
Si sarebbe meritato una vera occasione al Milan?
«Nell’anno di Leonardo ho segnato tanto e siamo andati in Champions. Pensavo di restare, da titolare. Invece mi hanno ceduto. L’anno dopo realizzai a San Siro il gol della vittoria della Roma ed esultai: dissero che ero polemico con i tifosi, ma io ce l’avevo con Galliani. Aveva deciso di vendermi e se non avessi accettato mi avrebbe messo fuori rosa insieme a Huntelaar. Lui voleva prendere Ibrahimovic e Robinho. E diciamoci la verità: al suo posto io avrei fatto lo stesso... Con Galliani ho fatto pace l’estate scorsa a Ibiza».
A Marassi domenica scorsa non ha esultato. Se segna oggi?
«C’è una differenza: con il Genoa ho giocato pochi mesi fa, il Milan mi ha ceduto nel 2010. Non posso promettere di non esultare, ma se accadrà sarà solo per condividere una gioia».
Com’è finito a Carpi?
«Merito di Sean Sogliano che adesso è andato via: mi ha dato fiducia. E poi sono sincero: non avevo la fila dietro, solo un paio di squadre. Però io ho ancora tanto da dare. Sono concentrato su questa stagione e sulla salvezza: abbiamo perso cinque punti a cavallo del 90’ per la scarsa esperienza, ma siamo lì. Nel calcio non si può prevedere il futuro, ma la mia idea è restare a Carpi fino a giugno e poi chissà. Di sicuro giocherò per qualche anno: ho le motivazioni di un ragazzino e qualche golletto vorrei farlo ancora».
Castori che tipo è?
«È un padre, un uomo sincero, schietto, amato alla follia da questa gente. Un valore aggiunto».
Quando si sposa?
«L’otto».
Di che mese?
«Non ha capito. Lotto per non sposarmi... Ahahahahah... In realtà non mi sento ancora maturo per un storia stabile. E sono troppo innamorato del mio lavoro».
Si diverte ancora a curare l’arredamento delle sue case?
«È la mia passione: per il design e per la moda impazzisco. Ho curato molto la casa di Milano, dove ancora abito. Ma dovrebbe vedere quella di Ibiza: è la mia residenza estiva. La prossima intervista la facciamo lì?».