Le Scienze, 7 dicembre 2015
Prevenire gli omicidi, scientificamente
La violenza è un grande problema per la società moderna, e in particolare per le città. Nel 1992 sono stato eletto sindaco della mia città natale, Cali, in Colombia, e all’epoca gli omicidi dilagavano. Poche persone vedevano l’assassinio come un pressante problema sanitario, e una di quelle persone ero io, forse grazie al PhD in epidemiologia che avevo ottenuto alla Harvard School of Public Health.
Avevo deciso di applicare metodi statistici usati da esperti di salute pubblica per identificare le cause di omicidio e capire quali cambiamenti sociali e politici potevano migliorare la situazione.
All’inizio del mio primo mandato i cittadini di Cali e del resto del paese pensavano, sbagliando, che ci fosse poco da fare perché noi colombiani eravamo «geneticamente violenti». Altri scettici erano convinti che i crimini violenti non potessero diminuire senza prima attuare profondi cambiamenti che avessero effetto su questioni socioeconomiche come disoccupazione e scolarizzazione. La mia amministrazione ha dimostrato che tutte quelle persone avevano torto.
Abbiamo sviluppato una banca dati epidemiologica sui vari fattori sociali che aumentano in modo significativo il rischio che avvenga un omicidio. Abbiamo anche incluso aspetti sottili del comportamento umano, come il desiderio di andare armati in determinati luoghi o la tendenza a bere alcolici in certi giorni. Questa massa di informazioni esaustive e dettagliate ci ha portato a nuove leggi e programmi basati su dati, non su opinioni politiche.
Il metodo ha funzionato. Nel 1994 il tasso di omicidi nella mia città, popolata allora da quasi 1,8 milioni di persone, era sceso da 124 a 86 ogni 100.000 abitanti in soli tre anni, dopo aver identificato le cause principali e aver applicato i programmi. Un declino ancora più grande si è verificato nell’arco di nove anni a Bogotà, dopo che la nostra capitale ha adottato gli stessi metodi. E quando sono stato eletto sindaco di Cali per la seconda volta alla fine del 2011, dopo quasi 18 anni di assenza, ho ripreso lo stesso approccio e sono riuscito a ridurre di nuovo il tasso di omicidi. Ora voglio raccontarvi come i big data e l’analisi scientifica possono aiutarci a risolvere anche i problemi sociali radicati.
Alle radici del problema
All’inizio del mio primo mandato ho fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi epidemiologo: ho elaborato una mappa di casi. Ho appeso una cartina di Cali in ufficio e ho attaccato puntine di colori diversi ovunque si fosse verificato un omicidio, una ferita grave, un incidente d’auto, un furto in casa o un altro evento violento. Dopo aver visto la mappa, il giornalista di una testata locale aveva fatto questo titolo: Il sindaco Guerrero vuole mettere un freno alla violenza con l’agopuntura. Evidentemente, anche per giornalisti svegli era strano guardare agli omicidi in modo statistico. Ma per me aveva senso: se i metodi epidemiologici possono trovare la causa di una malattia medica, possono trovare le cause di una malattia della società.
Usare la statistica è stato cruciale perché la Colombia aveva una lunga storia di violenza che aveva lasciato impressioni sbagliate. A partire dalla fine degli anni quaranta La Violencia, una feroce lotta di potere tra i due partiti politici più importanti del paese, aveva causato oltre 200.000 omicidi in oltre dieci anni. Poi sono seguiti decenni di guerrilla. La tolleranza culturale per risposte violente ai conflitti era così grande che quando sono diventato sindaco spesso finivano in omicidio anche litigi tra vicini o persone coinvolte in un incidente d’auto. Nel 1991 Medellin, la seconda città della Colombia, aveva registrato 380 omicidi per 100.000 abitanti (per fare un paragone, il tasso nazionale in Cile era di 2,9).
Il mio approccio epidemiologico è iniziato con la definizione di «violenza» data dall’Organizzazione mondiale della Sanità: l’uso della forza con l’intenzione di ferire o uccidere. Questa definizione esclude incidenti e violenza psicologica o politica.
Nonostante la preoccupazione dei media per i conflitti armati, nel 1991 solo il 36 percento delle morti in Colombia era dovuto alla guerriglia, che faceva vittime soprattutto nelle aree rurali. Avevo ipotizzato che gli spacciatori di droga fossero i primi colpevoli del restante 64 per cento. Ma una volta analizzati gli omicidi avvenuti a Cali in termini di chi era stato coinvolto, dove e quando, era emerso che vittime e aggressori erano prevalentemente giovani uomini disoccupati, con un basso livello di scolarizzazione, provenienti dalle zone più povere della città, spesso coinvolti in lotte tra gang. Inoltre avevamo trovato che le armi da fuoco erano state usate in quasi l’80 per cento degli omicidi. Quando poi abbiamo scoperto che due terzi dei casi erano avvenuti nei fine settimana, abbiamo deciso di mappare i livelli di alcolemia delle vittime: più della metà si era intossicato. Questi fatti puntavano il dito contro la disintegrazione sociale più che lo spaccio.
Il traffico di droga aveva un effetto, ma non era la causa diretta della maggior parte degli omicidi. Analizzando i dati abbiamo capito che era una specie di HIV della società: come il virus attacca i meccanismi di difesa e rende il corpo più vulnerabile alle infezioni, così gli spacciatori attaccano polizia e sistemi giudiziari e politici, i meccanismi di difesa della società. Queste istituzioni indebolite sono emerse come fattore di rischio per la violenza: la polizia aveva identificato un sospetto solo nel sei per cento dei casi, e il sistema giudiziario ne aveva processati ancora meno.
I bambini inoltre erano spesso esposti a violenze e maltrattamenti, e la violenza era un contenuto prevalente nei media. In una cultura di violenza, diseguaglianza economica e sicurezza pubblica inefficace, le persone uccidevano e venivano uccise, spesso sotto l’influenza dell’alcool, per conflitti come vicini rumorosi o un debito da saldare.
Cambiare cultura
Il nostro obiettivo era scoprire i fattori di rischio che potevamo controllare in modo diretto. Visto che le armi da fuoco erano usate nella stragrande maggioranza degli omicidi e che i casi erano spesso associati al consumo eccessivo di alcool, a novembre 1993 ho cambiato le leggi su armi e alcool.
In Colombia le pistole sono prodotte e vendute dall’Esercito, quindi le autorità militari si erano opposte alla mia idea di una proibizione permanente al permesso di porto d’armi. Però avevano accettato di sospendere i permessi nei luoghi pubblici in giorni che i dati indicavano come a rischio elevato, ovvero quelli in genere associati a elevati consumi di alcool. Queste date includevano la vigilia di Capodanno e (inaspettatamente) la festa della mamma, ma anche tutti i 15 e i 30 del mese, quando gli impiegati ricevono lo stipendio, che coincidessero con un venerdì.
Ho anche limitato la vendita di bevande alcoliche dopo le 2 di notte nei luoghi pubblici. A fronte delle forti proteste dei locali notturni, ho proposto un periodo di prova: se i casi di ferite e morti violente non fossero diminuiti nei primi tre mesi, avrei revocato le nuove regole. Dopo appena due settimane gli ospedali hanno riportato una riduzione dei ricoveri d’emergenza dovuti a fatti violenti che non era pensabile tornare indietro: la legge è rimasta fino alla fine del mio mandato.
Una strategia epidemiologica richiede una valutazione degli interventi. Dopo qualche mese abbiamo calcolato che nei giorni in cui vendite di alcool e permessi di porto d’armi erano sottoposti a limiti più stringenti, gli omicidi calavano del 35 per cento rispetto ai giorni in cui nessuna delle due iniziative era adottata. Se limitavamo solo il porto d’armi, la riduzione era del 14 per cento.
Altri interventi hanno incluso un aumento del numero di pubblici ministeri e di agenti di polizia in pattuglia, aggiornando la loro dotazione con strumenti di videosorveglianza, auto e ricetrasmittenti. Per sostenere queste persone nel loro difficile lavoro, abbiamo avviato un programma finanziato con fondi privati per aiutare gli agenti ad acquistare casa e abbiamo fornito computer e corsi di formazione al personale giudiziario impegnato nella prevenzione, così sono finiti a processo più sospetti.
Abbiamo aperto anche due Case della Giustizia nei quartieri più violenti alla periferia di Cali, dove tutte le forze dell’ordine erano attive 24 ore al giorno (in precedenza questi servizi erano presenti solo in centro città e durante gli orari di ufficio). Questo cambiamento è stato utile nel ridurre i casi di violenza domestica perché le indagini potevano iniziare non appena i medici confermavano le ferite della vittima, riducendo il rischio che le donne si lasciassero convincere dai mariti a ritirare le denunce. Per offrire ai giovani maschi dei quartieri poveri maggiori opportunità di istruzione, ricreative, di reddito e di collegamenti sociali ho lanciato DESEPAZ, un programma mirato a ristabilire la sicurezza pubblica migliorando la coesione di un quartiere. Come parte del programma abbiamo aperto «case per giovani» in diverse comunità, dove le persone potevano socializzare e riunirsi attorno ad attività culturali o sportive. Alcuni impiegati comunali hanno insegnato ai giovani membri di gang come gestire piccole imprese. Il comune ha addirittura dato lavoro a una di queste imprese dedicata alla produzione del selciato con cui pavimentare le strade.
Migliorare i dati
Presto abbiamo capito che i dati su cui lavoravamo non erano sempre coerenti tra loro. Per esempio, nella mia prima riunione sulla sicurezza, nel luglio 1992, è stato chiaro che polizia e tribunali definivano l’omicidio in due modi diversi, il che complicava i nostri sforzi per stabilire le cause delle morti. Per risolvere la questione ho stabilito incontri settimanali per la sicurezza con funzionari di polizia, tribunali e delle autorità forensi, membri dell’Instituto de Investigación y Desarrollo en Prevención de la Violencia y Promoción de la Convivencia Social – CISALVA dell’Università di Valle, responsabili della sicurezza pubblica e dell’ente municipale per gli studi statistici. Ogni settimana io e i comandanti di polizia ricevevamo informazioni aggiornate. Tenendo l’incontro ogni settimana del mio mandato, i dati sono diventati più coerenti. Gli incontri del «consiglio di sicurezza» sono diventati «osservatori sul crimine», qualche volta chiamati «osservatori sulla società».
CISALVA, il cui obiettivo è fare ricerca per la prevenzione del crimine, ha continuato ad aggiornare i dati usati nei nostri incontri per 22 anni, creando quello che, per quanto ne so, è l’insieme di dati affidabile più longevo sulla violenza in qualsiasi città in Colombia.
In base a questo miglioramento nell’analisi dei fattori di rischio, abbiamo iniziato gli interventi a fine 1993 e li abbiamo ampliati prima della fine del mio mandato a dicembre 1994. Il mio successore ha proseguito il lavoro. Così a Cali il tasso di omicidi è sceso da 124 per 100.000 abitanti nel 1994 a 112 nel 1995, 100 nel 1996 e 86 nel 1997. È difficile dire quanto di questo declino sia stato un risultato diretto dei nostri interventi, perché anche il governo all’epoca stava cambiando politica di contrasto ai cartelli della droga. Ma una valutazione dei casi di Cali e Bogotà ha confermato un ruolo importante per l’approccio epidemiologico. Credo che questo in parte sia vero perché il tasso di omicidi è salito in fretta quando i sindaci eletti dopo il mio successore non hanno mantenuto misure impopolari come le restrizioni sul consumo di alcol.
L’esperienza di Bogotà, la città più grande del paese, conferma l’utilità del metodo con grandi volumi di dati. Antanas Mockus è diventato sindaco nel gennaio 1995 e ha migliorato la nostra strategia. I suoi interventi più importanti sono stati l’aumento di dieci volte del budget per la polizia, l’offerta agli agenti di strumenti per capire meglio il crimine violento, lo sviluppo di centri di detenzione temporanea per colpevoli di reati minori e la creazione della figura governativa del sottosegretario alla prevenzione della violenza. Riguardo alle politiche sociali, Mockus ha ricostruito spazi pubblici fatiscenti e triplicato gli investimenti in scuola e sanità.
Mockus ha imposto anche una restrizione su alcolici e armi da fuoco, ottenendo presto una riduzione dei tassi di omicidio come a Cali. A Bogotà il metodo epidemiologico è stato adottato da tre amministrazioni consecutive, per un totale di nove anni, dal 1995 al 2003. In quell’arco di tempo gli omicidi sono passati da 59 per 100.000 abitanti a 25. Come per Cali, alcuni miglioramenti potrebbero essere stati aiutati da cambiamenti a livello nazionale.
Nuove strategie alla prova dei vent’anni
In Colombia un sindaco non può essere eletto due volte di seguito. E avevo comunque altri progetti: alla fine del primo mandato mi sono dedicato alla ricerca sul controllo della violenza urbana e a comunicare che è un obiettivo possibile. Ho lavorato per la Pan American Health Organization a Washington, contribuendo a creare l’Inter-American Coalition for the Prevention of Violence, e ho aiutato Cali, Medellin e Bogotà a ottenere un prestito dall’Inter-American Development Bank per scoraggiare la violenza. Dopo tre anni sono tornato a Cali per lanciare VallenPaz, organizzazione dedicata alla creazione di programmi economici nelle regioni rurali della Colombia sud-occidentale, come alternative alla tentazione dei soldi da guerriglia e coltivazioni illegali.
Anni dopo, però, ho capito che non esiste immunità permanente dalla politica. Mi sono ricandidato e ho iniziato un nuovo mandato il 1° gennaio 2012, trovando una città diversa. Cali era cresciuta da 1,8 milioni di abitanti nel 1994 a 2,4 milioni. La maggior parte dei nuovi arrivati erano immigrati provenienti dalla costa pacifica e dalle zone rurali circostanti. Dopo anni di amministrazioni incompetenti e un sindaco rimosso dalla carica, l’autostima generale era bassa e la disoccupazione era cresciuta dal 6,9 per cento del 1994 al 13 percento del 2013. I principali cartelli della droga erano stati smantellati negli anni novanta, e si erano frammentati in piccoli gruppi che lavoravano in modo indipendente in varie città, soprattutto Medellin e Cali. Lo spaccio era ancora presente ed erano emerse nuove forme di crimine, come un pizzo alle aziende locali per avere la protezione delle gang e la guerra per il controllo della distribuzione e della vendita di droga nelle città.
La buona notizia era che la polizia colombiana era diventata professionale e affidabile. A livello nazionale il tasso di omicidi era passato da 79 nel 1991 a 36 nel 2011. Ma a Cali rimaneva intorno a 80, contro il 22 di Bogotà e il 70 di Medellin.
Ho subito ricominciato a tenere gli incontri settimanali del consiglio di sicurezza. Analizzando i dati, abbiamo scoperto che la proporzione di omicidi dovuti a conflitti interpersonali come litigi o risse da alcool era diminuita rispetto al 1992-1994. Ma gli omicidi classificati come crimine organizzato, quelli che erano premeditati e perpretati con armi sofisticate come mitra, erano il 67 per cento delle morti violente del 2012. I dati indicavano non solo che il crimine organizzato prendeva piede, ma anche che le disparità sociali erano peggiorate rispetto al mio mandato precedente.
Abbiamo presentato i risultati delle analisi al governo, suggerendo la creazione di gruppi specializzati di investigatori, agenti di polizia e pubblici ministeri con l’obiettivo specifico di smantellare le bande criminali. La mia amministrazione ha iniziato anche un ambizioso progetto di investimento sociale per 11 distretti cittadini, dove vivono 800.000 abitanti di cui il 26 per cento in povertà e il 6,5 per cento in povertà estrema.
Il progetto è ancora in vigore. Applica un approccio geografico alla lotta alla povertà, concentrando gli interventi nelle aree più bisognose e incoraggiando i residenti a partecipare. I funzionari locali e statali cercano di far crescere i redditi, allungare gli orari delle scuole, promuovere attività culturali e sportive e migliorare condizioni abitative, strutture ospedaliere e istruzione. Si tengono anche corsi su genitorialità e risoluzione pacifica dei conflitti.
Insieme agli sforzi del governo contro il crimine organizzato, nostri interventi hanno ridotto nuovamente la violenza. Il tasso di omicidi a Cali è passato da 83 nel 2012 a 62 nel 2014, e il calo continua. Nel primo trimestre 2015 il numero di omicidi è stato più basso che nello stesso periodo dei 12 anni precedenti.
L’azione coordinata di polizia e interventi sociali ha avuto un effetto positivo anche sulle altre operazioni contro il crimine. Un ottimo esempio dell’efficacia di questa strategia è Comuna 6, un distretto di Cali dove vivono 212.000 residenti, per la maggior parte con un reddito medio. La mia amministrazione ha implementato con forza una serie coordinata di interventi sociali e di polizia, e gli omicidi si sono ridotti del 44 per cento in un anno, passando da 160 nel 2013 a 89 nel 2014.
L’approccio epidemiologico per ridurre la violenza sta superando test in altre città della Colombia e nel continente americano. Gli osservatori anticrimine, l’evoluzione dei nostri regolari incontri con il consiglio di sicurezza, sono essenziali in questo approccio. Inter-American Development Bank, U.S. Agency for International Development, Banca Mondiale e altre istituzioni hanno già pubblicato raccomandazioni affinché città e Stati creino osservatori di questo tipo prima di chiedere finanziamenti per programmi contro la violenza. Oggi quattro osservatori nazionali e una moltitudine di osservatori a livello municipale si riuniscono sistematicamente in 26 paesi e città del continente.
Secondo uno studio pubblicato su «International Journal of Injury Control and Safety Promotion», gli omicidi sono diminuiti in misura significativa in 22 città colombiane nei tre anni dopo la realizzazione degli osservatori. Gli studi che confrontano città di paesi differenti sono difficili da fare, perché i paesi hanno definizioni diverse dei crimini e criteri differenti per raccogliere informazioni. Per migliorare la situazione, oggi l’Inter-American Development Bank promuove una standardizzazione degli indicatori di violenza in tutto il continente.
Volontà politica, una priorità assoluta
Attuare una strategia epidemiologica per contribuire alla soluzione di problemi sociali può sembrare semplice, ma non lo è. La prima lezione che posso sposare riguarda la necessità di una forte volontà politica, perché una strategia del genere richiede scelte scomode, come vietare le armi o chiudere alcuni locali, attirandosi molte antipatie. Anche rendere pubblici i dati sul crimine può creare un certo disagio, ma è importante farlo, proprio come è importante che gli economisti rendano pubblici dati su disoccupazione o prodotto interno lordo per aggiornare la strategia economica. Oggi vari gruppi no profit – come Bogotà How Are We Doing, Cali How Are We Doing e così via – pubblicano i dati relativi a questioni sociali come violenza o scolarizzazione in diverse città colombiane. Le informazioni raccolte servono a responsabilizzare pubblici ufficiali e sindaci di fronte alle loro comunità.
La seconda lezione è che non esiste un approccio unico per applicare i metodi dell’epidemiologia alle questioni sociali, perché città o paesi hanno fattori di rischio diversi. Ogni contesto richiede un’osservazione basata su dati per guidare i pubblici ufficiali.
Questo processo richiede perseveranza e pazienza. Certi fattori di rischio possono essere controllati in tempi rapidi, per esempio vietando le armi da fuoco o costringendo i bar a chiudere a una certa ora, ma altre misure, come migliorare il lavoro di polizia e tribunali, richiede più tempo. Infine, obiettivi come correggere le disparità economiche o stabilire migliori pratiche genitoriali non richiedono solo tempo e pazienza ma anche risorse notevoli.
La violenza urbana contrasta il progresso della società perché colpisce innanzitutto i poveri, e la lotta al crimine divora una porzione di soldi pubblici che invece potrebbe essere investita per eliminare la povertà. La prevenzione della violenza deve quindi essere una priorità per l’umanità.