National Geographic, 7 dicembre 2015
Indagine sulla donna più potente del mondo, la Vergine Maria
Sono le 17.40, è il momento dell’apparizione. In una piccola chiesa cattolica di Medjugorje, in Bosnia-Erzegovina, Ivan Dragicevic avanza lungo la navata, si inginocchia davanti all’altare, china il capo per un secondo poi, sorridendo, alza lo sguardo verso il cielo. Sussurra qualcosa, ascolta con attenzione e si rimette a sussurrare. In questi dieci minuti non ha mai battuto le palpebre. E iniziata la sua conversazione quotidiana con la Madonna.
Dragicevic è uno dei sei giovani pastori a cui la Madonna sarebbe apparsa per la prima volta nel 1981. Presentandosi alle quattro ragazze e ai due ragazzi come la “Regina della pace”, la Vergine Maria avrebbe dato loro il primo delle migliaia di messaggi in cui raccomanda ai fedeli di pregare più spesso e chiede ai peccatori di pentirsi. Dragicevic aveva 16 anni e Medjugorje, che all’epoca faceva parte della Jugoslavia comunista, non era ancora il centro dei miracoli e delle conversioni che negli ultimi trent’anni sarebbe stato visitato da 30 milioni di pellegrini.
Sono a Medjugorje con un gruppo di americani dell’area di Boston, tra cui due uomini e due donne con un tumore al quarto stadio. A guidarci è Arthur Boyle, 59 anni e padre di 13 figli, che venne qui la prima volta nel settembre del 2000. Malato di cancro con la prospettiva di pochi mesi di vita, era talmente sconsolato che non avrebbe mai fatto quel viaggio se due amici non avessero insistito. Eppure già la prima sera, dopo essersi confessato nella chiesa di San Giacomo, aveva provato un grande sollievo psicologico.
«L’ansia e la depressione erano sparite», racconta. «Hai presente quando giochi a fare la lotta in piscina con qualcuno sulle spalle? Il tuo compagno scende e tu ti senti finalmente leggero e libero. Ero sbalordito e pensavo: “Ma cosa mi è successo? Perché mi sento cosi?”».
La mattina dopo Boyle si trovava in una gioielleria insieme ai suoi amici Rob e Kevin quando incontrò Vicka Ivankovic-Mijatovic, un’altra dei veggenti, e le chiese aiuto. La donna gli posò una mano sulla testa e chiese alla Madonna di intercedere con Dio per farlo guarire. Boyle racconta di aver provato una strana sensazione anche lì nel negozio. «Iniziò a pregare per me. Rob e Kevin mi toccarono e il calore che sprigionava dal mio corpo li fece sudare».
Tornato a Boston una settimana dopo, si sottopose a una TAC al Massachusetts General Hospital e scoprì che il tumore era quasi del tutto scomparso. Da allora Boyle è tornato a Medjugorje 13 volte. «Faccio una vita normale», dice. «Mi piacciono l’hockey e la birra. Gioco a golf». Ma, prosegue, «altre cose sono cambiate. Oggi sento il dovere di parlare del potere di guarigione di Gesù e della forza dell’intercessione della Madonna».
Essere devoti alla Madonna e pregare per la sua intercessione è un fenomeno diffuso in tutto il mondo. L’idea che la Madonna possa intercedere con Gesù ha origine dal racconto del miracolo delle nozze di Cana, quando, secondo il Vangelo di Giovanni, la madre disse al figlio: “Non hanno più vino”, e lo indusse a compiere il primo miracolo. Nel 431, durante il terzo concilio ecumenico tenutosi a Efeso, fu accettato ufficialmente l’appellativo di Theotókos (letteralmente colei che genera Dio). Da allora nessuna donna è stata celebrata come Maria.
Simbolo universale di amore materno, ma anche di sofferenza e sacrificio, Maria è un collegamento con il soprannaturale più accessibile rispetto ad altri insegnamenti ufficiali della chiesa cattolica. Il suo mantello offre sicurezza e protezione. Quando una volta gli è stato chiesto che cosa significasse la Madonna per lui, papa Francesco ha risposto: «E la mia mamá».
Le sue presunte apparizioni, riferite per lo più da bambini molto poveri residenti in zone remote o dilaniate dalla guerra, hanno rafforzato l’aura di mistero che la circonda. E davanti all’impossibilità di far vacillare le convinzioni di quei bambini – soprattutto quando i loro racconti sono accompagnati da “segni” inspiegabili come il sole che ruota o la comparsa improvvisa di sorgenti d’acqua – il senso di meraviglia aumenta.
Maria è dappertutto: alcuni fiori, come gli occhi della Madonna, sono dedicati a lei; nel football americano esiste persino un passaggio lungo denominato “Hail Mary” (Ave Maria); l’icona della Nostra Signora di Guadalupe, in Messico, è una delle immagini femminili più diffuse al mondo. Maria richiama milioni di credenti ogni anno nei santuari di Fatima, in Portogallo, e di Knock, in Irlanda, sostenendo il turismo religioso che conta un fatturato annuo di miliardi di dollari e un indotto di migliaia di posti di lavoro. La Madonna ha ispirato la creazione di molte opere d’arte e di architettura (pensiamo alla Pietà di Michelangelo o alla cattedrale di Notre-Dame), oltre a poemi, preghiere, riti e composizioni musicali (il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi). Maria è anche la confidente spirituale di miliardi di persone, anche le più sole e dimenticate.
Anche i musulmani la considerano la più sacra tra le donne, e nel Corano il nome Maryam compare più volte che non Maria nella Bibbia. Nel Nuovo Testamento Maria parla solo quattro volte. La prima durante l’Annunciazione, quando, come si legge nel Vangelo di Luca, le appare l’angelo Gabriele per dirle che darà alla luce “il Figlio dell’Altissimo”. Maria risponde: “Eccomi, sono la serva del Signore”. Il suo unico discorso di una certa lunghezza, sempre in Luca, è il poetico Magnificat, pronunciato all’inizio della gravidanza: “La mia anima magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”.
E così è stato.
Eppure le notizie sulla sua vita non sono molte. Gli studiosi di mariologia hanno appreso ciò che sanno dai testi sacri dell’ebraismo, da testi mediterranei del I secolo, dal Nuovo Testamento e dagli scavi archeologici. Nella Bibbia si legge che Maria viveva a Nazareth nell’epoca in cui il territorio ebraico era controllato dai romani. Quando rimase incinta, il promesso sposo Giuseppe, che faceva il falegname, pensò segretamente di lasciarla ma un angelo gli apparve in sogno e lo convinse a non farlo. La nascita di Gesù è raccontata solo nei vangeli di Luca e Matteo, anche se in Marco e Giovanni si trovano vari riferimenti alla madre di Cristo.
I vangeli furono scritti in periodi diversi, da 40 a 65 anni dopo la morte di Cristo e gli apostoli non erano biografi, osserva padre Bertrand Buby, autore di un’opera in tre volumi intitolata Mary of Galilee e illustre membro del consiglio di facoltà dell’International Marian Research Institute della University of Dayton, in Ohio. «Per questo non ci si deve aspettare che siano esaurienti riguardo a Maria. Gli evangelisti ricostruirono la sua vita in base al sentito dire».
Alcuni tra i saggi di mariologia più recenti puntano l’attenzione sulla figura di Maria in quanto madre ebrea. Nella sua tesi di dottorato in teologia al Marian Instiute, María Enriqueta García spiega come, al pari delle madri ebree che accendono le candele di Shabbat, la Madonna sia il nostro tramite per arrivare a Gesù, che è la luce del mondo. «Il rapporto tra Maria e noi non è come tutti gli altri: è sacro».
Nel primo millennio dopo Cristo, quando il cristianesimo diventò la religione ufficiale dell’Impero Romano e cominciò a diffondersi in Europa, Maria veniva ritratta come una figura imperiale, con le tipiche vesti reali color oro e porpora. A partire dal XII secolo, osserva Miri Rubin, medievalista della Queen Mary University di Londra, il suo personaggio «ha subito una trasformazione radicale», diventando una figura materna, più gentile e accessibile. Nei conventi e nei monasteri, assumeva un ruolo di sostituta della madre per i novizi che spesso entravano in convento in tenera età. «E così il suo amore per il figlio», prosegue Rubin, «è diventato l’essenza del racconto religioso».
Le poche notizie su Maria che si ricavano dai testi sacri fanno sì che «su di lei si possa proiettare qualsiasi tipo di valore culturale», sostiene Amy-Jill Levine, docente di studi neotestamentari ed ebraici alla Vanderbilt University. «È una costruzione culturale», dichiara Rubin. «Può essere la madre addolorata, la giovane vergine, la figura divina. Se Gesù è l’uomo ideale, Maria è la donna ideale», aggiunge Levine.
All’epoca della Riforma (1517-1648), l’immagine della Madonna come intermediaria si indebolì, perché i protestanti credevano nel rapporto diretto tra l’uomo e Dio. Ma a partire dai primi del Cinquecento, in seguito alla conquista spagnola delle Americhe, Maria trovò milioni di nuovi fedeli, e lo stesso accadde in tempi più recenti con la diffusione del cattolicesimo in Africa.
Kibeho, una piccola città nel Ruanda meridionale, è nota come il luogo in cui la Madonna è apparsa a tre ragazzine, preannunciando loro lo spargimento di sangue e l’orrore del genocidio che avrebbe sconvolto il paese nel 1994. Gli attacchi della maggioranza Hutu alla minoranza Tutsi provocarono la morte di oltre 800 mila persone in soli tre mesi. Nel marzo del 1982 il vescovo della diocesi chiese a Venant Ntabomvura, un medico, di recarsi presso un collegio femminile della cittadina per visitare tre allieve che dicevano di vedere la Madonna e di parlare con lei. Stando al racconto di Ntabomvura, un cortese otorinolaringoiatra che oggi ha 89 anni e lavora ancora, Alphonsine Mumureke aveva avuto le prime visioni nel novembre precedente. Durante le apparizioni, prosegue il medico, «parlava con qualcuno esattamente come se stesse chiacchierando al telefono».
Maria apparve prima ad Alphonsine, poi ad Anathalie Mukamazimpaka e infine a Marie Claire Mukangango. Le ragazze dicevano di parlare per ore con la Madonna, che si era presentata loro come Nyina wa Jambo, la Madre del Verbo. Gli “incontri” avvenivano così spesso che le giovani la chiamavano «mamma».
Incontro Anathalie una sera al crepuscolo nella sua modesta casa, piena di rosari e di statue della Vergine Maria, vicino alla sua vecchia scuola.
«La prima volta che mi è apparsa», mi racconta, «stavo recitando il Rosario e lei mi ha chiamato per nome. “Nathalie, figlia mia”, mi ha detto. Era una donna molto bella, tra i venti e i trent’anni. Parlava in lingua kinyarwanda, con una voce tenue e calma. Indossava un abito bianco e un velo azzurro. Non mi ha mai detto perché avesse scelto proprio me, ma mi ha spiegato che può apparire a chi vuole, quando vuole e in qualsiasi luogo». Non ha mai menzionato una religione particolare, prosegue Anathalie, «ha solo chiesto di amarla così come lei ama noi».
Maria fece la sua terribile profezia nel 1982, in una giornata che avrebbe dovuto essere particolarmente felice: era il 15 agosto, la festa dell’Assunzione. Ntabomvura era presente e insieme a lui Gaspard Garula, che viveva lì vicino. Le ragazze piangevano perché, dicevano, anche la Madonna era in lacrime. Garuka ricorda che Alphonsine «cadde più di una volta perché vedeva scene orribili. A un certo punto arrivò persino a chiedere: “Per favore non farmelo vedere più”».
La previsione di Maria «corrispondeva esattamente a ciò che ho visto durante il genocidio 12 anni più tardi», assicura Anathalie. «Assassini armati di lance, incendi, teschi umani e teste decapitate. Ho visto tombe di massa immerse nell’oscurità. Il sangue che scorreva a fiumi. E tutto era stato previsto». Anathalie riuscì a fuggire dal Ruanda, trovando rifugio prima nella Repubblica Democratica del Congo e poi in Kenya. Alphonsine si fece suora in Italia. Marie Claire fu uccisa durante il genocidio. Il 29 giugno 2001, quasi vent’anni dopo la prima visione di Alphonsine, il vescovo del Ruanda Augustin Misago e il Vaticano diedero l’approvazione definitiva: per la Chiesa, Maria è davvero apparsa a Kibeho.
MICHAEL O’NEILL, 39 anni, laureato in ingegneria meccanica e design del prodotto alla Stanford University, ha creato un’enorme banca dati sulla Vergine Maria. Il suo sito, MiracleHunter.com, raccoglie tutte le apparizioni note della Madonna a partire dall’anno 40. L’analisi sistematica e la documentazione degli episodi soprannaturali iniziarono con il Concilio di Trento, la risposta della Chiesa Cattolica alla Riforma protestante, più di 450 anni fa. Delle oltre 2.000 apparizioni di cui si ha notizia da allora, solo 28, secondo MiracleHunter, sono state approvate dai vescovi della diocesi locale, che sono i primi a dover decidere sulla credibilità dei “veggenti”. Sedici di queste sono state riconosciute anche dal Vaticano.
Nel libro che ha pubblicato da poco e che si intitola Exploring the Miraculous, O’Neill descrive la scrupolosa procedura attraverso cui il Vaticano stabilisce se un’apparizione è miracolosa. Innanzitutto vengono valutati la sincerità e l’equilibrio mentale del veggente. Chiunque sia sospettato di voler ottenere fama o ricchezze dal presunto contatto con la Vergine Maria viene ignorato o condannato. Medjugorje è uno dei circa 20 casi in attesa dell’approvazione del Vaticano. Il vescovo della diocesi non ha mai dato credito alle apparizioni, trovandosi in disaccordo con i frati francescani che reggono la parrocchia e credono fermamente nel miracolo delle visioni. Per risolvere la questione il Vaticano ha istituito una commissione d’inchiesta che ha concluso i suoi lavori nel 2014.
Il Vaticano non approverebbe mai una presunta apparizione il cui messaggio contraddicesse gli insegnamenti della chiesa e i cattolici non sono tenuti a credere nelle apparizioni. Molti, inclusi diversi sacerdoti, rimangono scettici. «È difficile distinguere ciò che viene dalla Madonna e ciò che è frutto dell’interpretazione dei veggenti», afferma padre Johann Roten, direttore della sezione progetti speciali e ricerca della Marian Library della University of Dayton, che contiene centinaia di migliaia di volumi sulla Madonna. Alla fine ciascuno decide in base alla fede.
«I miracoli trascendono le leggi della natura» sostiene Robert Spitzer, il gesuita che dirige il Magis Center, in California, che stando a quanto si legge sul sito web si propone di conciliare fede, fisica e filosofia. «La scienza, per parte sua, studia proprio le leggi fisiche. Così, ci troviamo davanti a un paradosso. È possibile elaborare un test scientifico per i miracoli? La risposta è no. La scienza può verificare solo le leggi fisiche o i loro effetti».
Anche i veggenti sono stati sottoposti a batterie di test scientifici nell’ambito del processo investigativo avviato dalla chiesa. Si è tentato, per esempio, di spingere i veggenti di Medjugorje a battere le palpebre o a reagire a rumori forti durante le apparizioni. Nel 2001 la rivista peer-reviewed Journal far Scientific Exploration ha descritto il “parziale e variabile distacco [dei veggenti] dal mondo esterno nel momento dell’esperienza”. Le sensazioni ottiche o sonore estreme raggiungevano normalmente il loro cervello, ma “la corteccia cerebrale non recepiva la trasmissione degli stimoli neuronali di tipo acustico e visivo”. Fino a oggi la scienza non ha una spiegazione per il fenomeno.
Nel linguaggio medico ciò che voi e io potremmo chiamare miracolo viene spesso definito come “remissione spontanea” di una patologia grave. Frank McGovern, il chirurgo urologo di Boston che aveva fatto il possibile per Arthur Boyle, mi ha spiegato che la scomparsa del cancro è un’evenienza «rara», ma statisticamente possibile.
Il calore intenso provato da Boyle quando Vicka Ivankovic-Mijatovic gli tenne la mano sulla testa ha avuto un ruolo nella sua guarigione? Secondo lo studio intitolato Hyperthermia in Cancer Treatment: A Primer e pubblicato nel 2006, “è stato dimostrato che in alcuni casi di cancro la regressione spontanea è associata all’induzione di uno stato febbrile e all’attivazione dell’immunità”.
Boyle sostiene che «è stata la fede a farmi entrare in uno stato di pace che ha permesso al mio sistema immunitario di riattivarsi e uccidere il cancro. Tutto questo è accaduto grazie a Dio».
Esistono storie e immagini della Madonna talmente potenti da essere diventate parte integrante dell’identità di un paese. È il caso della Nostra Signora di Guadalupe, la cui effigie apparsa sulla tilma, il mantello di un povero azteco nel 1531, è all’origine dell’identità messicana. Chiunque assista alle manifestazioni d’amore e devozione dei pellegrini nei giorni che culminano nella Festa di Nostra Signora di Guadalupe, trasmessa in diretta in tutto il paese il 12 dicembre, può capire quanto questo popolo sia legato alla sua Madonna.
I messicani ne portarono l’effigie durante la guerra d’indipendenza dalla Spagna del 1819 e durante la rivoluzione del 1910. César Chávez marciò con il suo stendardo durante le lotte per la sindacalizzazione dei lavoratori agricoli della California negli anni Sessanta. La Signora di Guadalupe concesse la benedizione ai mestizos, i tanto disprezzati figli di genitori spagnoli e indios. È il simbolo della raza, la definizione di ciò che significa essere messicani, e proprio grazie alla loro Madonna i messicani hanno sempre pensato di essere speciali.
All’alba dell’11 dicembre, la vigilia della festa di Nostra Signora di Guadalupe, lascio Città del Messico in auto, in direzione della città di Puebla. Sul lato opposto, la strada è gremita di pellegrini: la loro meta è la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe che sorge al centro della capitale.
Esco dall’autostrada in corrispondenza di un accampamento nei boschi dove i pellegrini si fermano a passare la notte. Due altoparlanti portatili sistemati accanto a un piccolo falò diffondono musica mariachi. Un volontario mi spiega che prima della festa lì si servivano anche 5.000 pasti al giorno.
Incontro quattro donne della stessa famiglia ma di generazioni diverse: vengono da Papalotla, una città dello Stato di Tlaxcala, e raccontano di aver camminato per dieci ore al giorno, trascorrendo le notti nel camion guidato da un loro parente. Una donna di 77 anni arriva da Santa Maria, nello Stato di Puebla, insieme al nipote diciannovenne. Un camionista che viene qui tutti gli anni dalla California la mette così: «In fondo, tutti dobbiamo andare a far visita a nostra madre». Quando, la mattina dopo, arrivo davanti alla basilica, un fiume ininterrotto di persone di ogni età sta attraversando la piazza trascinandosi sulle ginocchia, per alzarsi solo al momento di entrare in chiesa: tra loro, Alejandra Anai Hernán de Romero, mamma diciottenne del piccolo Dieguito di sette settimane, nato con una malformazione ai reni. Tanti hanno il volto rigato di lacrime. Molti di coloro con cui parlo sono lì per rendere grazie alla Madonna: hanno fatto un voto e lei ha ascoltato le loro preghiere.
Dietro l’altare principale della basilica, protetto da una teca di vetro, è appeso il tessuto su cui è impressa l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe, oggetto degli sguardi rapiti dei fedeli allineati sul tapis roulant che scorre lì accanto. Secondo la leggenda accettata dalla chiesa, nel 1531 la Vergine di Guadalupe parlò in nahuatl (la lingua azteca) a Juan Diego, un indio battezzato che è stato canonizzato nel 2002. La Madonna gli raccomandò di dire al vescovo che per sua volontà si sarebbe dovuta costruire una chiesa nel sito di Tepeyac, la collina dove un tempo venivano adorate le divinità azteche della terra.
Juan Diego non riuscì a convincere il vescovo, che anzi pretese qualche prova a sostegno di ciò che diceva. Maria gli disse di salire sulla collina, raccogliere alcuni fiori e portarli al vescovo. E sebbene a dicembre lassù non ci fossero fiori, Juan Diego raccolse ugualmente un mazzo di splendide rose e le avvolse nella sua tilma, che si ritiene fosse tessuta in fibra d’agave. Quando finalmente riuscì a incontrare il vescovo, l’uomo aprì il mantello e le rose caddero, rivelando l’immagine della Nostra Signora di Guadalupe. A quanto è dato sapere, si tratta dell’unica volta in cui la Madonna ha lasciato un proprio ritratto.
Secondo molti storici dell’arte, l’immagine ricalca le descrizioni della Vergine Maria tipiche del Trecento. Negli ultimi decenni, tuttavia, alcuni studiosi hanno individuato nell’icona una combinazione di elementi cattolici e aztechi. Secondo queste interpretazioni un indigeno analfabeta avrebbe subito riconosciuto i simboli di un catechismo non verbale. La donna di carnagione scura ha i capelli neri con la scriminatura al centro, forse un riferimento alla sua verginità, ma indossa una fascia nera intorno alla vita, un segno questo della sua gravidanza. La spilla appuntata sul colletto è una croce, e non la pietra verde delle divinità azteche. Tanto gli occhi abbassati quanto le mani giunte nell’atto di pregare la identificano come essere umano e non divino. La gamba sinistra appena piegata potrebbe alludere a una sorta di passo di danza. L’azzurro del mantello rimanda al concetto di cielo e di divinità degli aztechi, mentre i fiori a quattro petali che decorano la parte centrale della tunica starebbero a simboleggiare la sua natura di madre di Dio.
Tra il 1531 e il 1570 qualcuno decorò ulteriormente l’immagine originale apparsa sulla tilma di Juan Diego. In particolare, sul mantello della Madonna furono aggiunte delle stelle che, secondo uno studio messicano pubblicato nel 1983, sarebbero allineate nella stessa configurazione dell’alba del 12 dicembre 1531, il giorno in cui si presume sia avvenuto il miracoloso episodio. Gli Aztechi adoravano il dio sole e dunque i raggi luccicanti che circondano la figura potrebbero indicare una sua origine celeste e la natura divina della creatura che porta in grembo. Secondo una teoria, in lingua nahuatl la parola Messico deriverebbe da un’espressione che significa “al centro della Luna” e in effetti Maria è ritratta in piedi sopra una mezzaluna nera. Sorretta da un angelo, che a detta di qualcuno ha fattezze indigene, Maria domina sia la luce sia il buio.
La chiesa sostiene che il telo non si è deteriorato, anche se è rimasto appeso nella basilica per oltre un secolo senza alcuna protezione, esposto alla polvere e al fumo. «L’immagine è impressa come una fotografia», spiega Nydia Mirna Rodriguez Alatorre, direttrice del museo della basilica, aggiungendo che nel 1785 un inserviente che puliva la cornice d’argento versò accidentalmente alcune gocce di acido nitrico sul tessuto. L’icona rimase intatta. In un documento giurato di alcuni decenni dopo si legge che l’acido lasciò solo un piccolo segno simile a una macchia d’acqua. Nel 1921 Luciano Pérez Carpio, che lavorava in un ufficio presidenziale preposto a indebolire il potere del cattolicesimo, collocò una bomba in un vaso di fiori posto ai piedi dell’immagine. L’esplosione distrusse l’altare e piegò il crocifisso e i candelabri di bronzo che si trovavano lì vicino. L’icona della Madonna non subì alcun danno.
«Quando finirà la devozione alla Vergine di Guadalupe», dice Rodríguez Alatorre, «scomparirà anche l’identità del Messico».
Maria è l’unica donna cui sia intitolata una sura (un capitolo) del Corano. Secondo il libro sacro dell’IsIam, fu scelta da Dio “fra tutte le donne del mondo” per la sua castità e la sua obbedienza. Come nella Bibbia, anche nel Corano si legge che fu un angelo ad annunciarle la gravidanza. Ma in questo caso non esiste una figura analoga a quella di Giuseppe. «Maryam è la donna più pura e virtuosa dell’universo», afferma Bakr Zaki Awad, preside della facoltà di teologia dell’Università al-Azhar, il più importante centro di insegnamento religioso del Cairo. In Egitto ho incontrato diversi musulmani molto devoti alla Vergine, che non si fanno problemi a visitare le chiese cattoliche e a rivolgerle preghiere in una chiesa o una moschea. Un giorno, al Cairo, vedo due giovani musulmani con il capo coperto dal velo davanti all’antica chiesa copta di Abu Serga, costruita su una grotta che si dice abbia offerto rifugio alla Sacra Famiglia. Sono devote di Maria e ne avevano studiato la vita leggendo il Corano. «La sua storia è molto significativa», mi dice Youra, 21 anni. «La fede in Dio le ha permesso di affrontare tutte le difficoltà della vita. Nel Corano c’è una sura dedicata a lei, per questo eravamo curiose di vedere che cosa accade in questa chiesa», aggiunge Aya, la sua amica.
Incontro Nabila Badr, 53 anni, in una chiesa copta sulle sponde del Nilo, in una zona del Cairo chiamata Al Adaweya, uno dei tanti siti egiziani in cui avrebbe sostato la Sacra Famiglia. La donna, sposata e madre di tre figli, organizza eventi per un governatorato vicino alla capitale. Nella sua borsa, oltre al Corano, tiene anche delle medagliette con l’immagine della Vergine. Entrando in una piccola stanza sul retro della chiesa, Badr si unisce ai copti che stanno pregando, accende diverse candele, si inchina e prega davanti a un’icona della Madonna che, si racconta, una volta pianse lacrime di olio. Badr mi spiega che parla spesso con la Madonna raccontandole della sua vita, e che Maria le ha risposto diverse volte, mandandole durante il sonno visioni che poi si sono avverate.
Come molti altri egiziani, Badr crede anche nei jinn, gli spiriti che influenzano la vita degli esseri umani nel bene e nel male, e sostiene di avere un proprio angelo. «Anche lui crede nella Vergine Maria», ha detto. La donna chiede spesso alla Madonna di intercedere per lei e ha composto una poesia in suo onore. «Quando sono giù», prosegue, «prego tanto Dio ma chiedo consiglio anche alla Vergine Maria. Dopo un po’ le cose si sistemano».
Seguendo le tracce di Maria, ho scoperto che spesso è apparsa in zone di crisi come Kibeho o la Bosnia-Erzegovina, per mettere in guardia dai Pericoli o per indicare la via della salvezza. Le sue apparizioni generano guarigioni miracolose, come a Medjugorje, e un’infinità di conversioni religiose. Lourdes, il sito di pellegrinaggi più fattioso del mondo, ai piedi dei Pirenei nella Francia sudoccidentale, è una sorta di fabbrica di miracoli. Dalla metà dell’Ottocento a oggi vi sarebbero avvenute più di 7.000 guarigioni miracolose, di cui però solo 69 sono state riconosciute dalle autorità ecclesiastiche.
Tutto a Lourdes è grandioso: un sito di oltre 40 ettari, sei milioni di visitatori all’anno, una gigantesca basilica sotterranea che può accogliere fino a 25 mila fedeli. La chiesa fu costruita nel 1958 per commemorare il centenario della prima apparizione a Bernadette Soubirous, una contadinella analfabeta di 14 anni (santa Bernadette, canonizzata l’8 dicembre 1933). La grotta di Nostra Signora di Lourdes, con le pietre consumate dal passaggio di milioni di piedi, è il luogo in cui si racconta che la Vergine abbia ordinato a Bernadette di scavare nel fango per far zampillare una sorgente. In quell’acqua miracolosa si bagnano ogni giorno migliaia di persone che arrivano fin lì sulle sedie a rotelle o a piedi, pregando per la guarigione. I volontari spingono les malades sulle carrozzine blu formando lunghissime file che si snodano per le stradine di Lourdes, su cui si affacciano i negozi di articoli religiosi.
Il giorno in cui visito le piscine piove a dirotto e fa freddo. Dopo aver seguito un rigido protocollo sul modo di spogliarsi e avvolgersi un telo intorno al corpo, si scende dentro la vasca con le braccia sorrette da due volontari. «Presenti le sue intenzioni di preghiera, si faccia il segno della croce, poi noi l’aiuteremo a immergersi», mi dice una gentile donna irlandese. Ed ecco il bagno gelato, un momento rincuorante di pace assoluta.
Poco dopo la Seconda guerra mondiale, i rappresentanti delle forze armate francesi e tedesche si incontrarono a Lourdes in un gesto di riconciliazione; e ancora oggi a primavera tra le orde di pellegrini si contano diversi gruppi di veterani. Il 14 maggio 2015 mi unisco a un gruppo di 184 soldati feriti – reduci americani delle guerre in Iraq e Afghanistan – e alle loro famiglie. Il loro viaggio, finanziato dall’Ordinariato militare degli Stati Uniti e dai Cavalieri di Colombo, ha come occasione il pellegrinaggio in nome della pace intrapreso ogni anno dai militari di tutto il mondo (i partecipanti di quest’anno venivano da 35 paesi). Per il resto della loro vita, questi uomini e donne coraggiosi e coloro che li assistono dovranno convivere con ferite debilitanti talvolta subite durante più di una missione.
La più attiva del gruppo è una delle donne più straordinarie che abbia mai incontrato: Dorothy A. Perkins, colonnello dell’esercito in pensione, 60 anni, madre di due figli, con un passato da triatleta. L’11 settembre del 2001, il giorno dell’attacco agli Stati Uniti, questa donna dai modi affabili era al comando di un battaglione di 480 soldati a Fort Hood, in Texas. Poiché il suo era l’unico battaglione composto da soldati con esperienza nel campo degli interrogatori e del controspionaggio, Perkins ha avuto l’incarico di supervisionare lo spiegamento delle truppe in cinque paesi e ha mandato un gruppo a Guantanamo per allestire il campo di prigionia. Prima dell’11 settembre, era stata due volte in Iraq, a capo di una squadra di ispettori della Commissione speciale delle Nazioni Unite (UNSCOM) e per oltre dieci anni aveva fatto parte delle forze speciali dell’esercito americano. Nel 2006 e 2007 è stata primo consigliere dell’ambasciatore americano in Iraq in materia di ostaggi.
Cresciuta in una famiglia bianca povera in un quartiere a maggioranza nera di Tacoma, nello Stato di Washington, Perkins non ha ricevuto alcun sostegno dalla madre e dal patrigno alcolista. A dieci anni è stata mandata a lavorare nei campi. Ha imparato il tedesco nell’anno in cui, completata la scuola superiore, ha lavorato come apprendista cameriera in un albergo a gestione familiare sulle Alpi bavaresi. Il suo unico svago erano le passeggiate lungo i sentieri montuosi costellati di altarini dedicati alla Madonna. «La mia fede è parte essenziale del mio modo di vivere», dice. «È una scelta che ho compiuto tanti anni fa». Non avendo una famiglia su cui contare, Perkins si è affidata alla Vergine Maria. «Lei ti dà tutto l’amore di cui hai bisogno. E attraverso di lei sono entrata in più stretto contatto con Gesù».
Perkins ha frequentato per 12 anni la University of San Francisco, una scuola gesuita, ma benché le mancassero solo pochi esami ha preferito trasferirsi e laurearsi all’Università di Albany. Quando era in California ha lavorato nel grande magazzino Macy’s e ha fatto carriera fino ai vertici dell’azienda. Negli anni del college è anche entrata nella Riserva dell’esercito. Dopo aver sposato un berretto verde, si è arruolata a tempo pieno e ha iniziato a lavorare nel controspionaggio. Secondo Perkins, «Lourdes spinge ogni individuo a riflettere sulla propria spiritualità. La vita oggi è frenetica, siamo sopraffatti dai media, prigionieri della nostra quotidianità e raramente ci soffermiamo a pensare a ciò che è più importante, l’integrità dell’anima».
Durante l’affollatissima messa che conclude la cerimonia, un vescovo europeo tiene una predica in francese. «In Medio Oriente e in Africa ci sono già i primi segnali della terza guerra mondiale», dice, elogiando i militari presenti per il loro impegno a favore «della pace, della giustizia e dei diritti umani. Che questa esperienza possa fare di voi dei testimoni di speranza».
A quelle parole mi torna alla mente la scena indimenticabile della fiaccolata che si è tenuta la sera prima: migliaia di pellegrini di ogni parte del mondo, dall’Argentina allo Zimbabwe, che tenevano in silenzio le candele e pregavano. La processione si era conclusa con decine di veterani sulla sedia a rotelle allineati vicino alla Grotta di Nostra Signora di Lourdes. Tante anime desiderose di farsi testimoni di speranza, tante anime unite dalla convinzione che la Vergine Maria stesse illuminando la loro strada.