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 2015  dicembre 07 Lunedì calendario

Autodifesa di Filippo Nogarin, sindaco di Livorno, in una lunga intervista a Libero

Vi veri veniversum vivus vici».
Mi dica che cos’è?
«Con la forza della verità, da vivo ho conquistato l’universo. È la massima latina dello scrittore Aleister Crowley nel film “V come Vendetta”, mio cult. Parla della ribellione di un perseguitato anarchico contro il partito unico che controlla politica, informazione e pensiero e di come egli riesce a coinvolgere nella sua lotta tutta la popolazione restituendo ai cittadini la libertà. Campeggia sul mio profilo Skype».
L’ha caricata la sera della vittoria, quando sconfisse il Pd e divenne sindaco?
«No, molto prima. Anche se il parallelismo con la liberazione di Livorno ci sta tutto».
Confessi, le piace fare il duro?
«Un duro io? Ma se sono dolcissimo. Il Fatto mi ha dato addirittura di democristiano perché cerco sempre la mediazione».
Ah scusi, mi avranno tratto in inganno le dimissioni al grido «Filippo fermati» del suo assessore, da lei liquidato come «inefficace».
«E che c’entra? Io sono uomo di dialogo ma non significa che non porti avanti con forza quel che ritengo giusto. Lo scontro poi è un ottimo sintomo, significa che c’è vita, c’è attività».
Vabbeh, allora saranno state le dimissioni dei due consiglieri grillini e del presidente del consiglio comunale. O forse il suo aspetto: la pelata, il corpo massiccio, la mascella in Italia sono ancora evocativi…
«Ahahahahah, è del tutto fuori strada. Primo, sembro un omone ma in realtà sono piccolino. Secondo, votavo Verdi, Democrazia Proletaria, Radicali. Mi aggiravo in quell’aria critica a cui non piaceva per nulla quello che accadeva e ancora accade in Italia».
Eppure a sinistra non si può dire che la amino molto…
«Per usare un’immagine cara ai compagni, la mia vittoria è stato un 25 aprile della città, un urlo di rivolta, la fine della schiavitù dopo sessant’anni di governo rosso. La sera della mia elezione c’è stata una grande festa di piazza. Un sogno, ma per alcuni è iniziato un incubo. Ho visto gente piangere incredula. Disperati, ripetevano che ci doveva essere per forza un errore».
Com’è stato possibile espugnare la roccaforte, che ha dato addirittura i natali al Partito Comunista?
«La gente non ne poteva più, aveva bisogno di scaricare le energie negative di un sistema incrostato. Il Pd livornese ha perso perché era diventato un comitato d’affari, come nella peggior tradizione democristiana. In più era isolato, controtempo, rigidamente bersaniano nella Regione di Renzi».
Con questa storia dei rifiuti gliela stanno facendo pagare?
«Secondo lei? La raccolta rifiuti è un servizio essenziale che non dovrebbe essere interrotto, così come forma di lotta i lavoratori hanno deciso di non scioperare ma di entrare in stato di agitazione rimanendo in azienda in stato di agitazione permanente. È bastato un giorno di non raccolta per creare forte disagio in città e quasi a comando certa stampa ha iniziato uma pubblicazione massiva delle stesse quattro foto d’immondizia per strada. L’Unità, che noi contribuenti paghiamo, ha aperto con il titolo “Spazzatura a Cinquestelle”. A seguire servizi nei tg e messa in rete».
È la stampa, bellezza…
«È una campagna denigratoria orchestrata dall’alto. Chi non si rassegna a perdere il potere e i propri privilegi ha creato ad arte una situazione di tensione per cavalcarla. E nessuno a dire la verità e tirare fuori i numeri».
Siamo qui per farlo…
«L’AAMPS ha perso solo negli ultimi quattro anni 105 milioni di euro, ripianati dai livornesi. La società è stata usata come ufficio di collocamento e centro di potere e smaltimento prebende. Ma le pare una situazione che può andare avanti? Il concordato preventivo è l’unica soluzione, bisogna togliere la società a certi sindacalisti e al Pd, metterla in mano al tribunale, commissariarla e risanarla».
E allora perché i sindacati non sono d’accordo?
«L’AAMPS è una società di nettezza urbana ma l’80% di chi ci lavora non vede un rifiuto nemmeno per sbaglio. Io voglio valorizzare chi esce con i mezzi e rinegoziare i privilegi dei vertici. Sa che quelli AAMPS guadagnano mediamente il doppio dei parigrado in Comune?»
Gli operai la pensano come lei?
«Gli operai sanno di lavorare per una società in profondo rosso. Io comprendo che possano avere paura ma la verità è che certi sindacalisti della Cgil e l’apparato Pd sfruttano i loro timori per terrorizzarli ingannarli».
E i livornesi la fischiano quando gira per le strade piene di rifiuti?
«E ridagli... Il grosso dei rifiuti è stato rimosso rapidamente e i livornesi mi incoraggiano. Sono stufi di mantenere con le loro tasse i mandarini dell’AAMPS. Altrimenti, non avrebbero votato Cinquestelle».
Beh ma lei è stato eletto grazie ai voti di Forza Italia, al primo turno aveva ottenuto solo il 19%...
«Che è già più del 16 di Pizzarotti. Io ho rivolto un appello a tutti i cittadini, perché i voti non sono di proprietà dei partiti ma degli elettori. Il Pd livornese pensava di essere un contenitore di consensi dovuti e per questo ha perso. Si illudeva che la città fosse quasi una sua proprietà, basta pensare alla vicenda dell’ospedale».
Quale ospedale?
«Quello che siamo riusciti a sventare. Era un appalto succulento. Non serviva, costava e avrebbe svenduto servizi sanitari essenziali girandoli all’esterno. Solita storia di saccheggio della città. Io ho ben altri progetti».
A cosa pensa?
«Livorno potenzialmente è ricca, ha tradizione industriale, un porto efficientissimo, una comunità ebraica attiva e inserita, è commercialmente vitale. Ma chi arriva in città la giudica povera. Certo, perché i suoi soldi sono stati bruciati nel mantenimento di un apparato sovietico con villa al mare. Va rilanciata turisticamente, siamo più belli di Pisa, che a parte Piazza dei Miracoli è una cittadina».
Certo che al Pd ha proprio dichiarato guerra: fare aprire l’Esselunga dà l’idea di uno che gode a camminare sui piedi dei compagni...
«Ed è così. Caprotti ha comprato il terreno 14 anni fa e per tutelare gli interessi di Coop non gli avevano mai dato l’autorizzazione. Monoaffarismo a beneficio dei soliti noti. Fare aprire Esselunga è stato un atto di giustizia. Ho fatto un accordo che farà il bene di Livorno: 200 posti di lavoro, obbligo di privilegiare negli acquisti il mercato ittico e ortofrutticolo cittadino, buoni acquisto spendibili anche in piccoli esercizi al posto delle fidaty card».
Quanto fatica, ma chi gliel’ha fatto fare di candidarsi?
«Fino a poche settimane prima non pensavo sarebbe mai accaduto. È stato un percorso».
Quando è iniziato?
«Dormo poco e la notte navigo spesso su Internet, così mi sono avvicinato al blog di Grillo e al Meet Up e sono diventato un attivista. Al Vaffa-day di Torino c’ero, grazie a quel momento catartico siamo passati dalla protesta all’azione. Poi quando sono arrivate le elezioni Comunali a Livorno, ho aiutato a scrivere il programma».
E ha vinto le primarie?
«In una carrozzeria, dove per anni ci siamo riuniti. Ci siamo ritrovati in cinque a fare le “graticole”. Chiunque poteva rivolgere ai candidati ogni genere di domanda. Mi hanno chiesto se avevo l’amante e se andavo in curva allo stadio. Alla fine i militanti hanno optato per me».
Si ricandiderebbe?
«Sinceramente, è molto dura e sono molto stanco. Lavoro 15 ore al giorno e non ho più una vita mia. Due mesi fa è nata mia figlia Camilla ma quasi non riesco a vederla. Per non parlare degli amici. Ero un velista, di quelli veri, da gara, barche monoposto, ma chi ha più tempo di prendere il mare? Essere sindaco è un’esperienza unica e per farlo ho rinunciato a un incarico a Valencia da ingegnere aerospaziale, la mia professione, tanto per smentire chi dice che i grillini sono impreparati. Lavoro pensando che faccio qualcosa per il futuro anche di Camilla ma quanta fatica».
Sa che dopo questa affermazione al Pd già stappano lo spumante?
«Perché non sanno che quando sono stanco do il meglio di me».
È giusto che Grillo levi il suo nome dal simbolo di Cinquestelle?
«È una dimostrazione di coerenza di Beppe: ha sempre detto che quando il movimento sarebbe cresciuto lui avrebbe fatto un passo indietro».
Ma chi può essere il prossimo leader di M5s?
«Nessuno, non è nella nostra vocazione avere un leader. Quando governeremo, avremo un premier ma sarà molto diverso da Renzi o da Berlusconi. Avrà un incarico operativo che eserciterà con modalità condivisa».
Ma scusi, mi vuol dire che lei a Livorno non è il leader di M5s?
«Infatti non lo sono. Io sono semplicemente colui che amministra nel nome e per conto dei cittadini».
Beh, questo però avrebbe potuto dirlo anche Mao di sé…
 «Ma a dissentire si finiva ben peggio dei miei assessori».
Se il Consiglio boccia il suo piano si dimette o media?
«Dimettermi no. E poi non ci saranno problemi, avrò la maggioranza».
Il presepe lo fa?
«Lo faccio in casa mia, in Comune non l’ho mai visto e non inizierò io. Veniamo qui per lavorare».
Reddito di cittadinanza?
«Lo faremo, un regalo ai livornesi entro Natale: 500 euro al mese a chi dimostra di rispondere a requisiti di reale indigenza. Ma io preferisco chiamarlo reddito di dignità».
Il livornese che spara al ladro che gli entra in casa lo processa?
«Certo che lo processo, ma se c’è la legittima difesa lo assolvo. Comunque il problema sta a monte, nell’inefficienza della magistratura e nella mancanza di pene certe. La domanda è semplice ma implica una risposta che non può che essere complessa».
E gli scontrini, li presenta?
«Mettiamola così, se viene a trovarmi, si mangia alla livornese ma si paga alla romana, con i soldi degli elettori non si scherza. Se però viene a casa mia, offro io. E glielo consiglio, sono un cuoco sopraffino, la cucina è il mio hobby, dopo la fotografia, per cui ho una passione che sfiora la nevrosi».